Parrocchia B.V. Maria del SS. Rosario

San Ferdinando di Puglia (BT)

  
  
  

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Periodico trimestrale dei Chierici Regolari dell'Ordine della Madre di Dio

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1 - LITURGIA DELLE ORE

Una storia -Un nome

La riforma del Vaticano II ha indicato con chiarezza che questa forma così eccellente ed essenziale di preghiera non è riservata al solo clero: «La liturgia delle Ore, come tutte le altre azioni liturgiche, non è un'azione privata, ma appartiene a tutto il Corpo della Chiesa, lo manifesta e influisce in esso» (IGLO, 20).

Si può così costatare che gruppi sempre più numerosi di laici fanno della Liturgia delle Ore la loro forma ordinaria di preghiera in continuità e in connessione con la celebrazione dell'Eucaristia.

Illustrando la Liturgia delle Ore sia nel suo aspetto storico che in quello teologico e spirituale, ci proponiamo questo scopo: «che la mente stessa si trovi in accordo con la voce mediante una celebrazione degna, attenta e fervorosa» e che «questa preghiera sia propria di ciascuno di coloro che vi prendono parte e sia parimenti fonte di pietà e di molteplice grazia divina, e nutrimento dell'orazione personale e dell'azione apostolica» (IGLO, 19).

 

Una storia.

La Liturgia delle Ore è antica quanto la Chiesa. Per pregarla bene può essere utile conoscere il suo lento e graduale processo di formazione avvenuto lungo i secoli.

 

Le origini

Già nell'Antico Testamento troviamo che il popolo d'Israele aveva dei tempi stabiliti per la preghiera (Dan 6,10.23; Sal 54,1 8 ) soprattutto al mattino e al pomeriggio in connessione col sacrificio che si faceva nel tempio di Gerusalemme (Dan 9, 20-21; Esd 9, 46).

Gesù stesso, educato da Maria all'osservanza delle preghiere tradizionali del popolo d'Israele, era solito congiungere strettamente la sua attività quotidiana con la preghiera; anzi, ogni sua azione derivava dalla preghiera. Gli Evangeli ricordano che egli si ritirava spesso nel deserto o sul monte a pregare (Mc 1, 35; 6, 46) alzandosi al mattino presto (Mc 1,35); riferiscono anche che Gesù passava la nottata intera in orazione al Padre (Lc 6, 12; Mt 14,23.25).

Il Maestro ha ordinato anche a noi di fare ciò che egli stesso ha fatto: «pregate», «domandate», «chiedete», «nel mio nome». Volle anche che, sul suo esempio, pregassimo sempre, senza stancarci mai (Lc 18,1; 1 Ts 5,17). Una preghiera umile, vigilante, perseverante, fiduciosa nella bontà del Padre, pura nell'intenzione e rispondente alla natura di Dio (cf IGLO, 5).

Gli Apostoli, a loro volta, non solo continuarono a richiamare il comando del Signore sulla necessità di una preghiera perseverante e assidua (Rom 8,15.26), ma insistono sulla sua grande efficacia per la santificazione (1 Tm 4,5). Li vediamo riunirsi per la preghiera all'ora di terza (At 2,1-15). Lo stesso Pietro «salì verso mezzogiorno sulla terrazza a pregare» (At 10, 9); anche «Pietro e Giovanni salivano al tempio per la preghiera verso te tre del pomeriggio» (At 3, 1).

La comunità cristiana era anch'essa assidua nella preghiera e nell'ascolto dell'insegnamento degli Apostoli (At 2, 42). E questo fin dall'inizio, quando era ancora viva Maria, la Madre di Gesù (At 1, 14).

Sull'esempio di Gesù e degli Apostoli. ben preso la Chiesa primitiva organizzò la propria vita di preghiera destinando tempi determinati alla preghiera comune, come, ad esempio, l'ultima ora del giorno, quando si fa sera e si accende la lucerna, oppure la prima ora, quando la notte, al sorgere del sole, volge al termine.

Questa preghiera, insieme alla celebrazione dell'Eucaristia domenicale, costituiva il duplice pilastro di tutta l'azione orante della comunità; si distingueva per queste particolarità:

* una preghiera «liturgica».

La forte comunione personale con Cristo si esprimeva anche esternamente con una forte partecipazione alla comunione ecclesiale per cantare insieme le lodi del Signore e celebrare la sua Pasqua. Quando vi era preghiera comune, ciascuno si preoccupava di parteciparvi sentendo un obbligo morale; la non partecipazione era intesa come una «mutilazione» del corpo-comunità: «esorta il popolo a frequentare l'ecclesia e a non mancare mai, ma a riunirsi sempre e a non diminuire la Chiesa quando non vi partecipano, rendendo così mutilato il corpo di Cristo... Non vogliate voi stessi separare il Salvatore dalle sue membra, né tagliare il suo corpo...». (Didascalia degli Apostoli, II sec. ) .

All'interno di questa comunità legittimamente convocata la preghiera era organizzata con molta libertà; si cantavano inni, si recitavano Salmi, si leggevano i libri della Scrittura.

La necessità di «pregare sempre, dovunque, in ogni luogo», come dice Tertulliano, portò a stabilire determinate ore per la preghiera.

* una preghiera «oraria».

Sia la tradizione romana che quella giudaica divideva la giornata secondo alcuni punti di riferimento. I Romani, ad esempio, dividevano il giorno in quattro «ore» partendo dal sorgere del sole (prima, terza, sesta, nona) e la notte in «vigilie», contando cioè i turni di guardia-veglia delle sentinelle (una prima vigilia alla sera, una seconda vigilia a mezzanotte, una terza vigilia al canto del gallo, una quarta vigilia all'aurora).

I cristiani, facendo riferimento a queste ore che poi erano anche il loro «orologio», santificarono dapprima le ore del giorno ed in seguito, soprattutto ad opera dei monaci e degli asceti, anche quelle della notte.

Alla base di questa «preghiera oraria» stava sempre il comando del Signore sulla vigilanza instancabile nella preghiera (Ef 6,18) per non essere sorpresi nel sonno, in qualsiasi ora del giorno o della notte decida di venire il Signore (Mc 13, 33 s).

Così al mattino, dopo il sonno e dinanzi al rinnovarsi del mistero della luce, era spontaneo il pensiero di ringraziare e lodare l'autore della luce facendo salire verso Dio il ringraziamento e la lode.

Alla sera, poi, quando tramontava il sole e nelle case si accendeva la lucerna, si sentiva il bisogno di ringraziare il Signore per il beneficio della luce e per gli altri doni della creazione e della redenzione, con una domanda di aiuto per il tempo della notte. Questo rito «lucernale» era la lode vespertina(cioè del «tramonto del sole») a Colui che è «luce senza tramonto».

Le «Lodi mattutine» e i «Vespri» della sera, furono dunque gli elementi più antichi della «liturgia oraria».

In seguito, verso il IV secolo, con la pace di Costantino e la maggiore libertà di culto, sorsero anche le altre a ore» della giornata: l'ora terza a ricordo e santificazione della Pentecoste (At 2,15), l'ora sesta a ricordo e santificazione della crocifissione del Signore (Mt 27,45), l'ora nona a ricordo e santificazione della sua morte sulla croce (Mt 27,46).

Per le «ore» della notte non si hanno notizie precise in questi primi secoli della Chiesa. Si sa che, sull'esempio della Veglia pasquale e delle Veglie delle grandi solennità, pian piano sorse la pratica facoltativa, presso alcune comunità, di riunioni di preghiera anche durante la notte.

 

Le prime forme di organizzazione (IV-VI secolo)

Terminate le persecuzioni, aumentati i luoghi di culto e il numero dei presbiteri e dei monaci, si sentì il bisogno di determinare meglio sia le formule della preghiera, sia le ore nelle quali pregare. Si ebbe un duplice genere di ufficio:

 

L'ufficio nella cattedrale.

In questo periodo il clero viveva ancora raggruppato in città, attorno al Vescovo. L'uso di celebrare la Messa festiva al di fuori della cattedrale, in periferia, venne più tardi. La cattedrale era dunque il centro della vita liturgica e dell'evangelizzazione di tutta la diocesi.

Ogni giorno, nella Chiesa cattedrale, clero e laici si riunivano al mattino per recitare i Salmi chiamati «laudes» (da cui il nome di «lodi» dato a questa ora di preghiera) e al tramonto del sole (da cui il nome di «Vespri», cioè preghiere al «tramonto del sole»). La celebrazione eucaristica era ancora a ritmo settimanale, cioè la domenica.

 

L'ufficio dei monaci.

Vivendo in una separazione più o meno totale dal mondo e rinunciando ai legami familiari e al possesso dei beni materiali, i monaci e gli asceti avevano una maggiore disponibilità per darsi alla preghiera con una frequenza e una regolarità che i cristiani viventi nel mondo, come lo stesso clero, non potevano certamente realizzare. Nei monasteri, dunque, si sviluppò e si organizzò una preghiera assidua, ben regolata, distribuita nel corso del giorno e della notte. La loro assiduità alla lode divina, realizzando per quanto possibile una salmodia ininterrotta, era un modo di imitare gli Angeli. Come gli angeli, notte e giorno, stanno dinanzi alla maestà di Dio per cantare le sue lodi, così dovevano essere i monaci sulla terra.

Il fervore e la magnificenza degli uffici monastici attiravano i fedeli e portavano il clero ad imitare i monaci nella misura del possibile. Con la nomina a Vescovo di alcuni monaci, la tradizione monastica dell'ufficio contribuì a influenzare la tradizione del clero nella cattedrale.

Avvenne così che anche nelle chiese rette dal clero, oltre alle due ore dell'ufficio del mattino e della sera, si aggiunsero le ore di terza, sesta, nona. Non esisteva ancora un «obbligo» per la partecipazione a questa preghiera dal momento che la comunità pregava sempre anche «per i fratelli assenti», cioè quelli impossibilitati a partecipare alla preghiera comune.

 

Le «ore» nel medioevo

Con l'invio dei monaci missionari in tutta Europa (Gallia, Inghilterra, Germania), gli usi della liturgia delle ore praticati a Roma si diffusero in tutto il continente. All'epoca di Carlo Magno (verso l'anno 800) tutti i chierici hanno l'obbligo di prendere parte all'ufficio completo e quotidiano nella loro Chiesa.

Vengono introdotti, però, alcuni elementi che non sono in perfetta sintonia con il carattere «liturgico» e quindi «comunitario» della preghiera delle ore. L'ufficio dei Santi, ad esempio, rimasto fino ad allora limitato ai luoghi di sepoltura dei martiri, si fuse e si sovrappose all'ufficio quotidiano. All'ufficio liturgico si aggiunsero altri uffici e preghiere devozionali. Il numero dei Salmi da recitare ogni giorno era diventato così pesante e impossibile che ben presto, con la stessa facilità con cui si era accresciuto l'ufficio, si incominciò ad abbreviarlo. Questo fenomeno, tuttavia, era sintomo anche di un certo calo di spiritualità sia presso il clero che presso i monaci. Il sintomo di crisi era manifestato soprattutto dalle assenze al coro. Mentre fino a questo momento non era esistito altro ufficio che quello a cui partecipava l'intera comunità dei chierici o dei monaci, verso il sec. XIII si incomincia a giustificare la recita privata dell'ufficio come supplenza della celebrazione comunitaria e solenne che si fa nel coro. E' in questo tempo che sorgono i cosiddetti «breviari»: piccoli libretti che contengono in forma «abbreviata» e ridotta la lunga officiatura che si soleva fare nel monastero o nella cattedrale. Dal «comunitario» si passa al «privato»; dalla forma «solenne» si passa alla forma «abbreviata». L'ufficio non è più il necessario strumento di santificazione che accomuna agli Angeli, ma il dovere quotidiano da assolvere come «obbligo» sotto pena di peccato mortale.

 

Dal Concilio di Trento al Vaticano II

Entrambi i concili ecumenici hanno affrontato la riforma dell'Ufficio. Quello di Trento, sotto il pontificato di s. Pio V, pubblicò il libro della preghiera delle ore con il titolo di «Breviario».

L'aver conservato questo titolo era segno dello spirito con cui sì era attuata la riforma: non è prevista la celebrazione solenne, ma viene ratificata solo la celebrazione «privata». L'ufficio è uno strumento di pietà individuale. Il carattere liturgico di questa preghiera, così accentuato alla sua origine, cede ora ad una visione «devozionale» riservata prevalentemente al clero. Anche nei monasteri sono obbligati all'ufficio solo i monaci «ordinati», mentre agli altri «fratelli» è riservata la recita del Rosario o il Piccolo Ufficio della B. V. Maria o dei Defunti. Non si ha più traccia neppure di quella presenza dei laici che invece aveva caratterizzato soprattutto l'ufficio della cattedrale fino alle soglie del Medioevo.

Da queste premesse sarà più facile comprendere la grande riforma attuata dal Concilio Vaticano II anche in rapporto all'Ufficio.

La Costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium indicò subito le linee portanti per una radicale riforma del «Breviario» ( SC 83-101 ):

 

  • ridare valore a questa preghiera sottolineandone l'aspetto cristologico ed ecclesiale;
  • non più preghiera riservata al clero, ma aperta a tutti, quindi anche ai laici;
  • non più preghiera «privata» riservata ai ministri ordinati, ma aperta alla comunità e di alto valore pastorale;
  • privilegiare la «qualità» della preghiera sulla «quantità»; pertanto il Salterio doveva essere distribuito in più settimane;
  • riordinare sia le letture bibliche che quelle agiografiche;
  • ridare all'ufficio il suo originario carattere .«orario» ed estenderlo di nuovo anche ai fedeli nella forma «comunitaria» da ritenersi privilegiata.

 

Il 1° novembre 1970, con la Costituzione Apostolica «Laudis canticum», Paolo VI promulgava il nuovo libro liturgico con il nome di «Liturgia delle Ore». Sui contenuti di questo nuovo libro riformato dal Concilio avremo modo di ritornare in seguito. Per il momento soffermiamoci a riflettere sul suo «nome» poiché nel nome nuovo sottostanno idee e contenuti nuovi.

 

2. Un nome

Praticamente, fino al sec. xv con l'invenzione della stampa ad opera di Gutenberg, non si ebbero dei veri e propri libri per la sola preghiera delle Ore. Nel grande coro delle cattedrali come dei monasteri, stava un ampio leggio con sopra il grosso libro dei Salmi ben visibile da tutti. Per rendere più facile la visione del Salmo o dell'antifona, si era soliti dipingere con vivaci colori ed ingrandire le lettere iniziali. Sorsero così quelle meravigliose opere d'arte che sono i Codici miniati. Le altre parti dell'Ufficio, come le letture bibliche e le orazioni, non riguardavano tutta l'assemblea; era sufficiente che ci fosse un libro per il solo lettore o per chi presiedeva.

Nessuno dei partecipanti alla preghiera delle Ore aveva dunque un proprio libro; né era possibile recitare le Ore fuori della comunità, dal momento che non si potevano avere gli strumenti necessari per farlo. Esisteva pertanto un'unica liturgia «comunitaria» ed «oraria» alla quale furono dati di volta in volta alcuni «nomi» molto significativi. Da questi nomi potremo più facilmente individuare il concetto che nelle varie epoche si è avuto di questa preghiera oraria.

 

Opus Dei

Al tempo di s. Benedetto (480-547) tutta la vita monastica era considerata un «opus Dei», cioè un'opera divina. Il grande fondatore del monachesimo occidentale, però, volle trasferire questo titolo alla preghiera delle Ore per sottolineare che questa preghiera ha un duplice significato:

è un'opera: un avvenimento, qualcosa che si fa, che si porta a compimento. E' un prolungamento di quell'unica «opera» creatrice e redentrice di Dio che culmina nella Pasqua di morte e risurrezione di nostro Signore. Come Dio continuamente è all'opera per noi uomini e per la nostra salvezza, così anche noi dobbiamo operare, soprattutto con la preghiera, affinché l'azione misericordiosa e preveniente di Dio trovi spazio e compimento anche nell'opera di ogni uomo. Quando recitiamo la preghiera delle Ore ciascuno dovrebbe dire: con questa preghiera attuo l'opera pasquale di Cristo in me e nella Chiesa.

Per questo s. Benedetto voleva che «nulla fosse anteposto a quest'opera divina» che è appunto la preghiera delle Ore.

di Dio: prima ancora di essere umana, questa preghiera è «divina», è di Dio. Ce lo ricorda il ritornello dell'Invitatorio all'inizio di ogni giornata: «Signore, apri le mie labbra: e la mia bocca proclami la tua lode». Quasi a dire: se non sei Tu a donarmi il Santo Spirito della preghiera (cf Rm 8, 26), se non sei Tu a mettere sulle mie labbra le Tue stesse Parole (i Salmi, la Scrittura)... che cosa potrei dire al mio Signore? Senza l'aiuto di Dio non possiamo far nulla, neppure pregare. I Padri hanno spiegato che «Dio dona la preghiera a chi prega» (Evagrio). Possiamo dunque riassumere questi concetti dicendo che la preghiera delle Ore è una «collaborazione» tra l'agire di Dio in noi con il dono della sua opera di salvezza, e l'agire di noi in Lui con la nostra risposta che culmina appunto nella lode e nell'accoglienza di questo dono.

 

Sacrificio della lode

Già nella tradizione biblica, a seguito della distruzione del culto materiale ed esteriore del tempio, il popolo di Israele comprese che il Signore non poteva gradire il sacrificio di vittime «animali», esterne all'uomo, ma gradiva invece «sacrifici spirituali» che nascono dal profondo dell'uomo, da un cuore fedele e contrito (cf Is 1,10-20; Am 5,21 Sal 50,9-15). L'esperienza purificatrice dell'esilio insegnò che il vero sacrificio gradito dal Signore è la conversione del cuore espressa esternamente con labbra che lodano il Sonore:

  • «Offri a Dio il sacrificio della lode per adempiere a Dio i tuoi voti... Chi offre il sacrificio di lode, costui mi onora, a chi cammina rettamente, farò godere della divina salvezza» (Sal 50/49, 14.23).
  • «Il mio sacrificio, o Dio, è uno spirito contrito; un cuore contrito ed umiliato, tu non disprezzi, o Dio» ( Sal 51/50, 19).

In un contesto di purificazione matura dunque l'idea che il Signore non gradisce tanto il levarsi in alto dell'incenso, quanto piuttosto il culto della lode espresso con il gesto delle mani levate in alto per la preghiera:

  • «Stia la mia preghiera come incenso davanti a te, l'elevazione delle mie mani come il sacrificio della sera» (Sal 141/140,2).

La tradizione rabbinica espresse questi alti concetti con le parole di Rabbì Phineas il quale, riferendosi ai tempi in cui sarebbe comparso il Messia, diceva: «Cesseranno tutte le preghiere, ma non cesserà la preghiera di ringraziamento; nel tempo futuro cesseranno tutti i sacrifici, ma non cesserà il sacrificio della lode».

La tradizione cristiana continuò ed elevò questo valore «sacrificale» della preghiera di lode-ringraziamento che culmina nell'Eucaristia e si dilata a tutte le ore del giorno mediante la preghiera delle Ore. Scrive in proposito Tertulliano: «Noi siamo veri adoratori e veri sacerdoti, che pregando nello Spirito eleviamo a Dio la nostra orazione quale ostia gradita e accettabile a Dio» (De oratione, 28). E s. Agostino aggiunge: «Nella lode c'è il grido di chi confessa, nel cantico c'è l'affetto di chi ama» (In Ps. 72, 1).

 

Breviario

Abbiamo già detto, parlando della storia della preghiera delle Ore, che il termine «Breviario» comincia a comparire verso il secolo X con i primi tentativi di «abbreviare» l'antico ufficio, ritenuto troppo lungo, e soprattutto per permettere la recita «privata» dell'ufficio.

Con la nascita degli Ordini itineranti, come i Francescani e i Domenicani, sorse anche la necessità di fornire questi Frati di un libretto che contenesse le parti essenziali dell'Ufficio, non potendo ovviamente portarsi dietro i voluminosi codici usati nel coro. Si chiamò dunque «Breviario» quel libretto che conteneva in sintesi tutti gli elementi necessari per recitare le Ore di una determinata festa o di un ristretto spazio di tempo. La mentalità dell'epoca, che favoriva la devozione privata rispetto a quella comunitaria, unita all'idea dell'«obbligo», favorì il diffondersi di questi «breviari» fino ad essere accolti come «modello» dalla riforma tridentina al tempo di Pio V (1568).

Era evidente che, con la riforma del Vaticano II e tenuto conto degli svariati adattamenti che questa preghiera delle Ore aveva subíto lungo i secoli fino ad alterarne a volte la medesima struttura, il nome di «Breviario» dato a questo libro liturgico non poteva più essere mantenuto. Non si poteva certo indicare la «qualità» di una preghiera facendo riferimento alla sua «quantità» !

La riforma liturgica ha deciso pertanto che il nuovo nome da dare a questo libro liturgico fosse «Liturgia delle Ore».

 

Liturgia delle Ore

Il nuovo nome della preghiera delle Ore si compone dunque di due parole che si completano a vicenda: «Liturgia» e «delle ore».

Liturgia. Già nel titolo si vuol indicare con estrema chiarezza che questa preghiera non è un atto privato o individuale «riservato» ad alcune persone a ciò deputate dal sacramento dell'Ordine. E' un atto liturgico, un atto della Chiesa e quindi destinato a tutti i membri della Chiesa. La deputazione non dipende più dall'Ordine, ma dal Battesimo. La sua celebrazione ordinaria non è più nel «privato», ma nella «comunità». Essendo dunque una azione liturgica, la Liturgia delle Ore diventa: diritto-dovere di ogni battezzato; partecipazione all'ufficio sacerdotale di Cristo; azione che appartiene a tutto il Corpo della Chiesa: in essa è veramente presente e opera la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica, apostolica; genuina fonte di vita cristiana, nutrimento della preghiera personale.

Delle Ore. Questo richiamo alle «ore» sta a significare che scopo primario di questa azione liturgica è la santificazione della giornata e del tempo. Dal momento che viviamo nel tempo e siamo come impastati nel tempo, santificare le «ore» equivale a santificare la nostra stessa esistenza umana per renderla esistenza divina. Santificando il tempo con la preghiera permettiamo a tutta la nostra vita di diventare una «liturgia» perenne mediante la quale ci consacriamo in servizio di amore a Dio e ai fratelli. Ed infine, dal momento che Cristo con la sua incarnazione e con la sua Pasqua ha fatto di questo nostro tempo un «tempo di salvezza», pregando le «Ore» noi «pasqualizziamo» il tempo; lo svuotiamo di ciò che è vecchio e mortale e lo riempiamo della novità che è Cristo e della sua eternità di Signore Risorto.

Santificare le Ore equivale ad essere già ammessi alla lode perenne e gloriosa dei Santi dal momento che con questa preghiera noi partecipiamo al sommo onore della Sposa di Cristo; lodando il Signore noi stiamo già davanti al trono di Dio in nome della Madre Chiesa.

«Una storia», «un nome» che ci hanno permesso di guardare indietro nella secolare vita della Chiesa e di individuare le tradizioni genuine della sua attività orante.

 

Diceva Paolo VI:

«Si levi, dunque, con il sussidio del nuovo libro della Liturgia delle ore, più solenne e più bella la lode di Dio nella Chiesa del nostro tempo. Si associ a quella che viene cantata nelle sedi celesti dai santi e dagli angeli, e accrescendosi incessantemente in perfezione nei giorni di questo terrestre esilio, muova con nuovo slancio incontro a quella lode perfetta che per tutta l'eternità è attribuita a Colui che siede sul trono e all'Agnello» (Laudis canticum, 8).

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