Parrocchia B.V. Maria del SS. Rosario

San Ferdinando di Puglia (BT)

  
  
  

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Periodico trimestrale dei Chierici Regolari dell'Ordine della Madre di Dio

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“MESSA” è il termine con cui nei riti latini viene chiamata la Celebrazione liturgica dell'Eucaristia.

L’origine del nome deriva dall’acclamazione finale del rito: “Ite missa est”, che, secondo alcuni, potrebbe significare “Andate, (l’Eucarestia) è stata mandata”, con la quale si congedavano i fedeli annunziando loro che l’Eucarestia era stata inviata ai malati.

Un'altra possibile spiegazione di questa formula (come suggerito da Giovanni Garbini nel suo libro "Dio della terra, Dio del cielo") potrebbe essere: ite, (hostia) missa est, “(la vittima) è stata offerta”, cioè “il sacrificio è finito”

Col tempo il participio passato “missa” è stato sostantivato in “Missa”, sostantivo col quale si è poi usualmente chiamata tutta la celebrazione eucaristica.

 

Aspetti e valori essenziali della Messa

(dalla lettera pastorale del card. Giovanni Colombo per la Quaresima 1965: “La riforma liturgica incomincia dalla Messa”).

La Messa è Memoria del Signore Gesù. È ciò che Egli stesso ha insegnato nell'istituzione della Cena eucaristica: «Fate questo in memoria di me» (Lc. 22, 19; I Cor. 11, 24 26). Per poterne realmente fare memoria è necessario che il popolo di Dio impari a conoscere sempre più completamente e sempre più intimamente la persona di Gesù, nella sua preparazione profetica, nella sua attuazione storica, nella sua continuazione mistica, nel suo definitivo trionfo futuro. La liturgia della parola, costituita da tre letture bibliche integrate dall'omelia, non ha altro scopo che questo.

La Messa è presenza reale del Sacrificio del Calvario. La Messa costituisce cioè la realtà rinnovata del Sacrificio della Croce. Quando nella liturgia eucaristica il sacerdote fa il racconto dell'istituzione dell'Eucarestia, non agisce più come portavoce dei fedeli, ma in nome di colui che è il vero protagonista del rito: Cristo. Anzi è più esatto dire che Cristo stesso agisce e parla mediante la persona del sacerdote consacrante, e per la sua onnipotenza si rende presente sotto le sembianze del pane e del vino consacrati.

La Messa è Sacrificio comunitario. Solo il sacerdote ha il potere di consacrare il Corpo e il Sangue del Signore, ma tutto il popolo, che in virtù del battesimo e della cresima è un popolo sacerdotale, ha il potere di ringraziare, di offrire, di implorare. Tutto ciò trova la sua più alta espressione nell’Amen con il quale il popolo risponde alla fine della preghiera eucaristica. Però si manifesta anche in tutto il rito: nei gesti, nelle risposte, nei canti e nelle preghiere comuni.

La Messa è Cena del Signore. La Messa nasce come Cena di un rito nuovo durante la cena di un rito antico. Le parole che costituiscono il suo cuore sono parole di cena: « Prendete e mangiate... Prendete e bevete... ». Perciò la Messa è tutta un'aspirazione verso la Comunione, vi sfocia e in essa si conclude. Nella Comunione il simbolismo e il valore della Messa non si limita più solo alla Cena, ma va oltre, completandosi in un'altra realtà: l'unità del Corpo Mistico, vale a dire la nostra unione con Cristo e in pari tempo la nostra unione con tutti i nostri fratelli.

 

Introduzione

Azione liturgica è, per definizione, la preghiera ufficiale della Chiesa, il servizio che il popolo di Dio unito al suo pastore offre, con l’intento di celebrare il mistero di Cristo. Grazie alla presenza attiva dello Spirito Santo, la liturgia unisce tutta la Chiesa per mezzo del Figlio e la conduce al Padre.

Culto e santificazione sono intimamente connessi. L’iniziativa parte sempre da Dio, ma poi si realizza attraverso la Parola proclamata e accolta, e suscita la risposta di culto.

Così tutta la Chiesa, nella sua pienezza di Corpo mistico di Cristo, partecipa alla santificazione e al culto di Cristo: “Ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun’altra azione della Chiesa, allo stesso titolo e allo stesso grado, ne uguaglia l’efficacia” (SC 7).

Ora, il Concilio Vaticano II ha richiamato ripetutamente l’attenzione affinché sia facilitata la comprensione della liturgia da parte del popolo, in modo che la sua partecipazione possa essere piena e attiva (cf. SC 21).

Per questa ragione è necessario che i riti, nella loro espressione, siano compresi e acquisiti nel loro valore umano, biblico e liturgico. I gesti che si compiono vanno accolti con consapevolezza e valorizzati secondo le esigenze dell’assemblea e le peculiarità delle culture locali, con piena disponibilità a ricevere la ricchezza del dono di Dio.

 

Simboli e gesti durante la celebrazione dell'Eucaristia

Il sacerdote e l'assemblea: sono questi i protagonisti essenziali dell'atto sacro per eccellenza che è il sacrificio eucaristico. La parola "chiesa" indica il raduno d'un gruppo di fedeli in forza di una convocazione, perciò non si tratta soltanto dell'edificio, ma dell'assemblea. I fedeli non si riuniscono di propria iniziativa: è Dio che li raduna.

Andare a Messa è in realtà una risposta alla chiamata divina.

Ora, perché la Chiesa abbia sulla terra la certezza di aderire al Signore, ha bisogno di segni vivi ed efficaci della sua Presenza, segni costituiti dai sacramenti di Cristo.

 

 

Il bacio e l'incensazione dell'altare.

In origine l'altare era il luogo elevato in cui si univano Dio e il mondo: Dio vi discende e l'uomo vi sale.

L'altare è anche la tavola dove Dio e la comunità dei fedeli condividono gli alimenti sacri, in segno di comunione. Il cibo venuto da Dio è a Lui restituito in omaggio e in ringraziamento, e la parte che rimane all'uomo viene riconosciuta come totalmente sacra.

Dio e l'uomo comunicano alla stessa vita: sono in senso pieno commensali.

Nella Nuova Alleanza, Cristo, offrendo il suo corpo sulla croce - canta il Prefazio pasquale V - diede compimento ai sacrifici antichi, e donandosi per la nostra redenzione, divenne altare, vittima e sacerdote.

Nelle nostre chiese l'altare è il centro di convergenza dell'intero edificio.

Il bacio, concesso solo al sacerdote e al diacono, è un gesto di venerazione, di affetto rispettoso per un simbolo consacrato. Il bacio simbolizza l'adesione a tutto ciò che sarà attualizzato sull'altare.

Baciato l'altare, nelle Messe solenni il sacerdote lo incensa, avvolgendo nel profumo dell'incenso la sua superficie e i lati.

L'incenso è una resina aromatica che bruciando emana un fumo profumato.

In tal modo continua l'omaggio fondamentale di Cristo, che si è offerto al Padre in odore di soavità (Ef 5,2); tutti i fedeli sono poi invitati a diffondere concretamente nel mondo il buon profumo di Cristo (2 Cor 2,14-16) grazie alla loro sincera testimonianza.

Ma non si incensa solo l'altare: tutto ciò che in qualche maniera riguarda Dio o è riferito a Lui riceve l'omaggio dell'incenso: la croce, il libro dei Vangeli, le offerte, lo stesso sacerdote e i fedeli.

 

 

Il segno di croce e il saluto del celebrante.

Quando il celebrante è giunto al suo posto e il canto d'inizio è terminato, il sacerdote e l'assemblea fanno il segno della croce. Poi il sacerdote saluta i fedeli: questo saluto, insieme con la risposta del popolo, manifesta il mistero della Chiesa riunita attorno al suo Signore.

Il segno della croce è ricchissimo di significato: lo strumento del supplizio di Gesù è diventato il simbolo della Redenzione, segno perfetto dell'amore di Dio e dell'amore del Figlio incarnato per il Padre.

Innalzato da terra sul legno della croce, Cristo attira tutto a sé (cf. Gv 12,32).

La liturgia si fonda interamente sul mistero della Croce e della Risurrezione: si tratta di uno sguardo pasquale, illuminato dal realismo dell'amore che non cessa di salvarci, non eliminando la sofferenza e la morte, ma trasfigurando entrambe attraverso la morte che porta alla Vita.

I fedeli, in piedi, si segnano assieme al sacerdote pronunciando parole che evocano il battesimo, e tutti rispondono Amen, espressione di assenso e di partecipazione.

In tal modo questo semplice gesto riassume l'intero mistero della nostra salvezza, poiché professa contemporaneamente la Santissima Trinità e l'Incarnazione redentrice.

Per questo è necessario che i cristiani lo facciano bene questo segno di croce, con fede e con amore, senza precipitazione ma con consapevolezza.

Fare bene il segno della croce è un atto di fede viva. Senza tale convinzione i gesti della liturgia sono vuoti.

Poi viene il saluto del celebrante.

"Il Signore sia con voi" è il saluto più semplice, più comune ed è il più bell'augurio che si possa fare a un cristiano: Dio ponga in te la sua dimora, ti accompagni e ti guidi!

Il gesto con cui il sacerdote accompagna il saluto - allarga le braccia e le mani - significa e attua il dono della presenza divina.

La risposta dei fedeli non è meno suggestiva, perché è un atto di fede.

Questo semplice dialogo è rivelatore della natura della liturgia: Dio si dona attraverso la mediazione dei suoi ministri e a tale dono risponde la fede del popolo.

Oltre a "Il Signore sia con voi !" il sacerdote può usare altre formule di saluto, sempre ispirate dalla Parola di Dio: è Cristo che ci comunica la grazia della piena comunione con Dio, rivelandoci il Padre e dandoci il suo Spirito.

Ogni Messa, facendoci penetrare maggiormente nel mistero di Gesù, ci comunica, se il nostro cuore lo accoglie, lo Spirito dell'amore.

 

 

 

L'atto penitenziale, il Gloria, la Colletta.

Il rito penitenziale, posto all'inizio della Messa dopo il saluto del celebrante all'assemblea, è un appello alla misericordia divina da parte di tutti.

Il peccato è sempre un rifiuto di Dio, più o meno grave e più o meno diretto: in quanto tale, rende inadatti alla celebrazione liturgica dell'Alleanza. Ogni vera confessione dei propri peccati viene dopo la presa di coscienza della misericordia di Dio.

In realtà non potrebbe esserci confessione dei peccati se non ci fosse anzitutto una vera fiducia nella bontà di Dio. L'atto penitenziale della Messa ha senso unicamente dopo che si sono riconosciuti l'amore di Dio, la sua grazia e la sua pace, per mezzo di Cristo e nello Spirito Santo.

L'incontro col Dio vivo nella Santa Eucaristia non si improvvisa; a più forte ragione è necessario purificare il cuore da ogni peccato quando si accede all'Eucaristia, il sacramento della sua reale Presenza.

L'assoluzione generale che il sacerdote pronuncia non è sacramentale, cioè non opera di per se stessa il perdono dei peccati come il sacramento della riconciliazione. Più che dare il perdono, essa lo implora.

Tuttavia esprime almeno una sincera disposizione d'animo, il riconoscimento che siamo peccatori.

Per un vero perdono occorre assolutamente, in un altro momento, confessarsi.

Il Gloria viene cantato o recitato tutte le domeniche, eccetto in Avvento e in Quaresima, nelle Solennità, nelle Feste e in altre celebrazioni di carattere più solenne.

Nella liturgia, l'assemblea comunica con la Gloria del Padre per il Figlio e nello Spirito; come il Figlio e grazie allo Spirito dei figli, essa"rende gloria", ripete "Gloria" non solo nell'inno ma anche alla conclusione della recita di ogni salmo nella liturgia delle Ore: il "Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo" con cui termina ogni salmo; in tal modo i salmi, che sono "parole di gloria" (cf. Sir 47.8), si aprono alla vita delle Tre Persone Divine, principio e fine della vita cristiana.

La preghiera di "colletta" (= che raccoglie), riunisce le diverse domande dei fedeli in un'unica preghiera che viene presentata a Dio dal sacerdote, in nome della comunità riunita, come condensato della preghiera di tutti, e per questo viene introdotta dall'invito "Preghiamo !".

Al termine della colletta tutti ratificano con l'Amen le parole del sacerdote.

Dire "Amen" significa acconsentire a ciò che è stato detto o fatto: è atto di consenso, di adesione del popolo all'opera di Dio, così come i ministri la esercitano.

 

  

Le vesti liturgiche della Messa e i colori.

La liturgia è un mondo di segni e di simboli carichi di sacro, cioè di qualcosa che tocca la stessa vita di Dio.

L'uomo conosce e ama solamente nella misura in cui riceve dal mondo sensibile gli elementi necessari alla propria vita interiore. Il suo carattere sociale ha continuamente bisogno di usare parole e gesti in cui le persone possano incontrarsi.

Dio stesso può incontrare l'uomo solamente mettendosi alla sua portata e usando il suo linguaggio. Per questo arriva a farsi uno di noi, e da allora ogni incontro con Dio passa attraverso il Mediatore, l'uomo Gesù Cristo (cf. LG 1).

Non tutti i segni sono ugualmente carichi di sacro, tutti però concorrono a far si' che la vita divina penetri maggiormente nel cuore dell'uomo: gesti, parole, oggetti o elementi molto concreti come l'acqua e il vino, il pane, l'olio, l'incenso, ecc.

Anche la musica ha un suo ruolo nell'incontro con Dio, ma lo hanno pure le vesti e i colori.

Il vestito è un elemento specifico della vita dell'uomo. Nell'azione liturgica l'opera di Dio esige delle vesti caratteristiche della loro funzione sacra, idonee ad accompagnare i gesti che stanno per essere compiuti e a sottolineare il particolare momento che viene celebrato.

 

Il camice.

È una lunga veste bianca: colui che si dedica ad officiare è tenuto ad una purezza di comportamento e di vita, proprio simboleggiata dal bianco della veste.

Il giovane (angelo) che appare vicino al sepolcro del Risorto è vestito di bianco (Mc 16,5); i vincitori dell'Apocalisse combattono e trionfano vestiti di lino bianco e montano cavalli bianchi (Ap 19,4); la gloria di Cristo, intravista nella Trasfigurazione, è simboleggiata da vesti candide come la neve (Mt 17,2).

Il camice è quindi l'abito dei ri-nati, di coloro che sono entrati nella vita divina, anche se non in maniera totale e definitiva.

Il bianco è il colore che evoca l'ufficialità del rito che si compie: l'intenzione di dare gloria a Dio e la testimonianza dell'impegno di esprimere fedeltà al compimento della Sua volontà come singolo e come comunità di credenti.

 

La stola e la casula.

La stola è il distintivo di coloro che hanno ricevuto il sacramento dell'Ordine sacro.

Si porta sopra il camice, e sotto la casula o sotto la pianeta, che sono le vesti normali del celebrante nella Messa.

A loro modo anche le vesti liturgiche favoriscono la comprensione del mistero che viene celebrato: indicano che i ministri stanno compiendo una celebrazione sacra.

Si vuole indicare il distacco che c'è tra questa azione e i normali momenti della vita quotidiana.

Inoltre la veste ricorda che il sacerdote non agisce come persona privata, ma come ministro di Cristo e della Chiesa.

Ora la liturgia è l'omaggio, è il servizio di tutto il popolo a Dio, e l'uso dei colori nelle celebrazioni è parte integrante del servizio divino.

Il simbolismo dei colori può aiutare a sintonizzarsi meglio con il mistero celebrato. Il colore è un elemento visivo tra i più semplici ed efficaci, e può aiutare tutti noi a celebrare meglio la nostra fede, e una festa, un evento celebrato si può esprimere e può suscitare sentimenti di fede per mezzo di quel segno che è il colore, scelto appositamente in armonia con l'identità della celebrazione.

È quindi interessante conoscere il simbolismo dei principali colori.

 

BIANCO:

è usato nel Tempo di Natale e nel Tempo di Pasqua, come anche in tutte le feste e solennità. Evoca la purezza, ma più ancora la gloria divina e lo splendore di tutto ciò che riguarda Dio. È un colore gioioso, dà subito più sensazione di festa, di luce. È il vestito della sposa e dell'inizio di vita nuova in Cristo (la veste bianca del Battesimo...).

È il colore della Risurrezione.

 

ROSSO:

evoca il sangue e il fuoco. È usato nella domenica delle Palme, il Venerdì Santo, a Pentecoste, nelle feste degli apostoli e dei martiri.

Come si può comprendere, è legato alla testimonianza massima dell'amore attraverso il martirio, e al culto di Colui che è l'Amore, lo Spirito Santo che è venuto sugli apostoli sotto il segno del fuoco.

 

VERDE:

è il colore liturgico del Tempo Ordinario. Evoca la serenità, la speranza e lo splendore della natura creata, della vegetazione lussureggiante.

 

VIOLA:

con le sue caratteristiche di discrezione, penitenza e, a volte, di dolore, è il colore che distingue le celebrazioni dell'Avvento, della Quaresima, le celebrazioni penitenziali e le esequie cristiane.

Evoca serietà e riflessione, non tristezza che non deve esistere in chi vive intensamente la fede. La morte per il cristiano non è la fine di tutto, ma è preludio di vita eterna.

  

Scrittura e Liturgia

La Sacra Scrittura costituisce la sostanza della liturgia.

L'assemblea si riunisce per ascoltare gli insegnamenti del suo Dio, ed è pronta a lasciarsi penetrare dalla Parola di Dio, "viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio" (Eb 4,12).

L'alleluia è un canto liturgico previsto dopo la seconda lettura della domenica o dopo la prima lettura della Messa feriale. Alleluia significa letteralmente "Lodate Dio", e Sant'Agostino, commentando l'alleluia di Pasqua afferma:

 

"Lodiamo il Signore, fratelli, con la vita e le labbra, col cuore e la bocca, con la voce e la condotta.

 Dio vuole che noi cantiamo l'alleluia senza che ci siano stonature in colui che canta:

facciamo si' che la nostra vita e le nostre labbra, la nostra voce e la nostra condotta siano all'unisono.

 Lo ripeto: il nostro bel canto non condanni la nostra cattiva condotta.

 Cantiamo l'alleluia pur in mezzo alle preoccupazioni, perché un giorno possiamo cantarlo nella pace totale.

 Cantiamo l'alleluia in mezzo ai pericoli e alle tentazioni, tutti insieme.

 Quaggiù canta la speranza, l'alleluia del cammino, lassù quello della patria.

 Canta come fa il viandante, canta, ma cammina.

 Canta per sostenere la fatica, non lasciarti prendere dall'indolenza.

 Canta e cammina.

 

Che significa cammina? Avanza, avanza nel bene. Avanza in rettitudine di fede, in purezza di vita, canta e cammina!" (Cf. Serm. 256).

Prima di proclamare il Vangelo, nelle celebrazioni solenni il diacono incensa tre volte l'evangeliario: nel mezzo, a sinistra, a destra, come un nuovo segno di venerazione.

Durante la lettura il turiferario continua a far oscillare il turibolo fumante, simbolo dell'onore divino dovuto al Vangelo e insieme il buon odore di Cristo che penetra nel cuore dei credenti e si diffonde nel mondo (cf. 2 Cor 2,14-16).

L'omelia ha lo scopo di rendere attuali le letture a beneficio dell'assemblea, perciò è collegata alla Parola di Dio.

Il Credo è fatto di citazioni bibliche, un insieme strutturato di articoli di fede, quasi un condensato della fede cristiana.

La preghiera universale o preghiera dei fedeli presenta intenzioni per la Chiesa, i suoi pastori e i suoi fedeli; per coloro che hanno autorità sulla terra affinché favoriscano una vera pace nella giustizia; per coloro che soffrono; per i defunti; per i bisogni particolari dei membri dell'assemblea; per l'intera assemblea.

La preghiera dei fedeli costituisce un opportuno passaggio dalla liturgia della Parola, che essa conclude, alla liturgia propriamente eucaristica alla quale dà inizio.

La grande Preghiera Eucaristica è poi l'intercessione per eccellenza; la recita soltanto il sacerdote, è vero, ma egli è unito a tutta l'assemblea che, attraverso le sue mani, offre a Dio il sacrificio unico di Cristo per la salvezza di tutti gli uomini.

  

La Liturgia Eucaristica

Dopo i riti d'inizio e la liturgia della Parola, arriviamo alla liturgia propriamente eucaristica, che è il centro della Messa.

La Chiesa si nutre alle due tavole della Parola e dell'Eucaristia: è logico quindi che le due parti principali della Messa si corrispondano armonicamente.

Come la predicazione di Gesù durante il ministero pubblico era tutta orientata verso il sacrificio pasquale, cosi' la Liturgia della Parola è ordinata alla celebrazione sacramentale di quel sacrificio, e la Chiesa ha disposto la Liturgia Eucaristica in vari momenti che corrispondono alle parole e ai gesti di Cristo:

 

1) Nella preparazione dei doni vengono portati all'altare pane e vino con acqua, cioè gli stessi elementi che Cristo prese tra le sue mani.

2) Nella Preghiera Eucaristica si rendono grazie a Dio per tutta l'opera della salvezza, e le offerte diventano il Corpo e il Sangue di Cristo.

3) Mediante la frazione dell'unico pane si manifesta l'unità dei fedeli, e per mezzo della comunione i fedeli si cibano del Corpo del Signore, allo stesso modo con il quale gli apostoli li hanno ricevuti dalle mani di Cristo stesso.

 

IL PANE

Perché il pane? In Palestina al tempo di Gesù esso era l'alimento base per gli uomini, tanto che è diventato il simbolo stesso del cibo. Offrendolo a Dio, in un certo modo gli presentiamo in ringraziamento tutto ciò che può nutrire l'uomo.

Nel discorso sul pane di vita (Gv 6), Gesù dichiara di essere "il pane di Dio", colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo (cf. 6,33). Il Padre ci dà questo pane di vita e il Verbo incarnato si dona, offrendo la propria carne per la vita del mondo (cf. 6,51).

Nell'Eucaristia la carne di Gesù è veramente cibo, come il suo sangue è veramente bevanda (cf. 6,55); consumandoli il cristiano partecipa al sacrificio di Cristo, condividendo la sua condizione di Figlio che vive unicamente per il Padre (cf. 6,57).

Tale appunto è il "pane quotidiano", il pane necessario per la nostra sussistenza (cf: Mt 6,11): è per ottenerlo che nel Padre Nostro preghiamo insistentemente.

La preghiera si abbassa ai nostri bisogni, chiede la salute, il lavoro, le benedizioni materiali. Tutto è contenuto nella semplicità di questa invocazione: che non manchi il pane, che non manchi il necessario.

Ma dobbiamo fidarci di Dio che conosce meglio di noi le nostre necessità, e, secondo il suo invito, dobbiamo cercare per prima cosa il Regno di Dio; tutte le altre cose ci saranno date in aggiunta (cf. Lc 12,31).

 

IL VINO

Come i grani di frumento sono macinati e cotti per farne un solo pane, così gli acini d'uva sono schiacciati e fatti fermentare per ricavarne un solo vino.

Di questo cibo e questa bevanda specificatamente umani, Cristo ha fatto il sacramento del suo sacrificio redentore, e l'alimento dell'unità di tutti gli uomini nell'unione con Dio (cf. LG 1).

Il vino presentato sull'altare è destinato a diventare il sangue di Cristo e a renderne attuale il sacrificio redentore. Esso è contemporaneamente il sangue del Calvario, la bevanda che ci comunica gioia e forza, è già il "vino nuovo" delle nozze nel Regno.

Durante il convito pasquale, Gesù ha cambiato il "frutto della vite" nel suo sangue (Mt 26,29).

In obbedienza a Cristo (Fate questo in memoria di me!), si deve ripetere il suo gesto con lo stesso elemento naturale.

 

I riti di comunione

L'intera opera della salvezza, voluta e realizzata dal Padre mediante il Figlio incarnato e nello Spirito Santo, mira a farci entrare nella loro unità.

Il sacrificio redentore del Calvario ha lo scopo di riunire tutti i figli di Dio, secondo la parola profetica di Càifa prima della Passione: "Essendo sommo sacerdote profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi" (Gv 11,51-52).

La grande preghiera di Gesù nel cap. 17 di San Giovanni - spesso chiamata "sacerdotale" - termina con questa richiesta: "...siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità " (Gv 17,22-23).

Il sacrificio eucaristico, come il sacrificio del Calvario che esso attualizza sacramentalmente, è quindi destinato a farci entrare nell'unità del Padre e del Figlio e dello spirito Santo, cioè nella loro comunione (cf. 1 Gv 1,3-4).

Il sacrificio non è completo senza il pasto sacro, perché esso ha come scopo di condurci alla piena comunione con Dio.

Nella Nuova Alleanza, Cristo s'è offerto totalmente a Dio "in sacrificio di soave odore" (cf. Ef 5,2), ed è anche la vittima che tutti noi consumiamo e in forza della quale entriamo nella vita stessa della Santissima Trinità.

Senza comunione, quindi, il sacrificio non raggiunge il suo obiettivo, come fa capire Gesù stesso quando istituisce la sua Eucaristia: "Prendete e mangiate... Bevetene tutti !" (Mt 26,26.27).

Il sacerdote deve comunicarsi in ogni Messa che celebra, ma l'intenzione della Chiesa, fedele a quella di Cristo, è che tutti i fedeli in stato di grazia si comunichino (cf. 1 Cor 11,27-32), per diventare sempre più il Corpo Mistico di Cristo ricevendone il corpo sacramentale.

Proprio così ne parla il testo Principi e norme per l'uso del Messale Romano:

"Poiché la celebrazione eucaristica è un convito pasquale, conviene che, secondo il comando del Signore, fedeli ben disposti ricevano il suo Corpo e il suo Sangue come cibo spirituale. A questo mirano la frazione e gli altri riti preparatori che dispongono immediatamente i fedeli alla comunione" (n.56).

 

Il Padre Nostro

La presenza del Padre Nostro nella liturgia della Messa è attestata con sicurezza soltanto alla fine del secolo IV°.

La prima comunità cristiana si distingueva per l'assiduità nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli, nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere (cf. At 2,42.46). In pratica, prima di essere distribuito, il pane deve essere spezzato, come ha fatto il Signore stesso istituendo il sacrificio eucaristico, per cui il Pater può diventare poi la preghiera comune, nel momento in cui ognuno sta per ricevere la sua parte del corpo spezzato del Signore.

Il Padre Nostro è la preghiera per eccellenza, dal momento che è stata insegnata da Gesù stesso ai discepoli.

Diventati fratelli di Gesù, anche noi possiamo invocare il Padre come lui.

Le prime domande di questa speciale preghiera riguardano la gloria del Padre celeste, il cui nome si desidera che sia santificato, che venga il suo regno e la sua volontà sia fatta sulla terra come in cielo. Le altre riguardano noi per il pane che ci è necessario, il perdono che imploriamo e la forza che sollecitiamo nelle tentazioni e negli attacchi del maligno.

Mediante il sacrificio eucaristico la gloria del Padre viene esaltata in modo perfetto, ci è donato il pane vivo, ci è assicurata la remissione delle colpe, così come la difesa contro il male.

A proposito della richiesta del cibo, oltre il pane del nutrimento quotidiano abbiamo assolutamente bisogno del Pane di Vita che è Cristo.

E se questa richiesta è fatta insieme, comunitariamente, ha più valore davanti a Dio.

La preghiera, alimentata dalla Parola di Dio che ne è l'origine, impegna, riempie di forza e vuole essere in ogni momento lo stimolo di una vita conforme al Vangelo.

È lo Spirito che rende efficace il nostro desiderio di mettere in pratica quanto viene ascoltato nella Parola. E tanto più viva, attenta è la partecipazione dei fedeli all'azione liturgica, Cristo incarnato realizza nel cuore e nella vita i frutti della sua Presenza.

  

Il rito della pace e la frazione del pane

Il rito della pace inizia con una preghiera per la pace e l'unità, ricordando al Signore Gesù le sue stesse parole agli apostoli: "Signore Gesù Cristo, che hai detto ai tuoi apostoli - Vi lascio la pace, vi do la mia pace!

- esprime l'umile fiducia del povero davanti al suo Salvatore.

L'invito che segue a scambiarci la pace è una normale conseguenza della preghiera che esprime le migliori intenzioni del cuore, come Dio desidera che avvenga.

È quanto mai opportuno che i fedeli si scambino un segno di pace nel momento in cui stanno per ricevere la comunione eucaristica.

"Frazione del pane" è uno dei nomi più antichi dell'Eucaristia. Spezzare il pane è un gesto di convivialità; gesto concreto che diventa simbolo d'una condivisione fraterna, capace di manifestare e nutrire una comunione.

Coloro che mangiano lo stesso pace sono "compagni" (da cum panis).

Gesù ha fatto questo gesto alle due moltiplicazioni dei pani (Mt 14,19; 15,36) e soprattutto nel momento dell'istituzione dell'Eucaristia (Mc 22,19).

La sera della risurrezione, i discepoli di Emmaus riconoscono Gesù "nello spezzare il pane" (Lc 24,35).

Condivisione, unità: è questo il significato del rito della frazione del pane che riassume tutto il mistero eucaristico.

Questo rito significa anche che noi, pur essendo molti, diventiamo un solo corpo nella comunione e un solo pane di vita che è Cristo (cf. PNMR n. 56), nel segno dell'unità e della carità.

La comunione ricevuta sulla mano deve manifestare, al pari della comunione ricevuta in bocca, il rispetto verso la presenza reale del Cristo nell'Eucaristia. Il fedele che ha ricevuto l'Eucaristia nella mano la porterà alla bocca prima di ritornare al suo posto, mettendosi da parte solo per avvicinare colui che lo segue e restando rivolto verso l'altare.

La comunione eucaristica è un atto eminentemente personale e, come afferma San Paolo, esige che ci si esamini per vedere se ci si avvicina degnamente al corpo e al sangue del Signore (1 Cor 11,27-31).

Nello stesso tempo, però, il comunicarsi è un atto comunitario, nel senso pieno della parola, perché l'assemblea manifesta e nutre la propria unità quando riceve il pane di vita. In questo momento l'assemblea si muove come in processione incontro al suo Signore e ogni singolo che riceve l'Ostia santa ripete Amen !, esprimendo il desiderio di ciò che i fedeli vogliono diventare: il corpo di Cristo.

Ultimata la distribuzione della comunione il sacerdote e i fedeli, secondo l'opportunità, pregano per un pò in silenzio. Ma si può anche far cantare da tutta l'assemblea un inno, un salmo o un altro canto di lode.

Il ringraziamento silenzioso o cantato di tutta l'assemblea trova la sua naturale conclusione nella preghiera dopo la comunione, l'ultima delle tre orazioni della Messa, dopo la colletta e la preghiera sulle offerte.

Come le altre, anch'essa è ricca di contenuto dottrinale e spirituale.

Le preghiere dopo la comunione in primo luogo ringraziano Dio per il sacrificio e la comunione eucaristici.

In secondo luogo chiedono che i frutti della partecipazione sacramentale siano abbondanti nella vita di ognuno, per giungere alla vita eterna. Infine, invocano da Dio tutta l'energia necessaria per la missione di cui i battezzati sono investiti, a cominciare dalla testimonianza umile e vera della loro vita unita al mistero di Cristo e guidata dal suo Spirito e della loro effettiva carità e unità.

Di domenica in domenica, ognuno può ricevere profondi spunti di riflessione e di meditazione che gli parlino al cuore e all'anima, proprio da tutta la serie di invocazioni, di preghiere contenute nel Messale Romano e pronunciate dal sacerdote a nome di tutti. I fedeli, attraverso la partecipazione alla celebrazione del Giorno del Signore, grazie all'offerta di questo tempo prezioso, esprimono pubblicamente che nulla ci è più caro dell'amore di Cristo.

È l'interiorità del raccoglimento nella preghiera fatta con il cuore che favorisce il progresso della vita spirituale verso l'unione permanente con Cristo.

  

Riti di conclusione

Tutta la Messa è un grazie a Dio per il Mistero pasquale che essa ci mette a disposizione: è un'immensa benedizione, culminante nell'offerta del sacrificio del Figlio unico, per tutte le benedizioni che ci vengono da Dio per Cristo nello Spirito.

La benedizione finale della Messa significa che Dio è sempre la sorgente dei beni temporanei e spirituali che ci sono necessari per giungere alla vita eterna.

Per Dio, "benedire" e "beneficare" sono una sola e identica cosa, come mostra il primo racconto della creazione (Gen 1). Egli desidera farci del bene, e lo fa, se noi non mettiamo qualche ostacolo.

Al termine della Messa Dio Padre ci benedice per mezzo di suo Figlio e nello Spirito. Il Figlio ci benedice assieme al Padre, come ha benedetto i discepoli il giorno dell'Ascensione prima di lasciarli definitivamente, almeno come presenza visibile (cf. Lc 24,50-51).

L'ultima immagine che i discepoli conservano di Cristo che risale al Padre è quella del loro Signore benedicente: altrettanto è per tutti coloro che hanno celebrato il suo sacrificio e l'hanno ricevuto nella comunione eucaristica.

Prima di benedire l'assemblea, in nome di Cristo e in nome della Santa Trinità, il sacerdote saluta l'assemblea un'ultima volta.

In certi giorni o in certe occasioni, il sacerdote può usare una formula più solenne di benedizione. Con le mani stese sull'assemblea, il sacerdote pronunzia successivamente tre formule, alle quali i fedeli rispondono ogni volta Amen. Infine il sacerdote recita la benedizione facendo il segno di croce sull'assemblea.

Nelle condizioni attuali del nostro pellegrinaggio terreno, l'azione liturgica ha necessariamente un tempo limitato. Nella beata eternità, dove giungerà a compimento la nuova ed eterna Alleanza, vivremo in un atto liturgico permanente, che il libro dell'Apocalisse ci descrive a lungo.

Qui sulla terra andiamo di liturgia in liturgia, annunciando a tutti gli uomini - fosse anche solo con la testimonianza silenziosa della nostra vita cristiana - il Signore risuscitato, vincitore del peccato e della morte, e invitando alla sua Eucaristia.

"La Messa è finita, andate in pace", oppure altri simili saluti di congedo, annuncia lo scioglimento dell'assemblea che lascia il luogo sacro della celebrazione.

Come ultimo gesto, prima di ritirarsi, il sacerdote bacia l'altare come all'inizio della messa. Tale gesto finale esprime la comunione che deve permanere grazie alla celebrazione dei misteri, di cui l'altare del sacrificio eucaristico rimane il simbolo permanente.

Tutto è compiuto, ma insieme tutto comincia, perché la comunità, anche se esce dalla chiesa, non finisce mai di rimanere interiormente unita alla vita del Dio tre volte santo che è Amore (cf. 1 Gv 4,7-21).

Questa condizione, oltre che dalle disposizioni personali di animo, è resa possibile dalla preghiera che sgorga naturalmente dal cuore e dalla mente di tutti coloro che si impegnano con tutte le loro forze per mantenere un collegamento di cuore con il Signore risorto, e questa è l'origine della forza spirituale che permette in ogni situazione e in ogni circostanza della nostra vita quotidiana, di offrire una testimonianza cristiana sincera di amore a Dio e ai fratelli.

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