Parrocchia B.V. Maria del SS. Rosario

San Ferdinando di Puglia (BT)

  
  
  

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    DOMENICA 1 MARZO 2020 


    I DOMENICA DI QUARESIMA


      

    «SE TU SEI FIGLIO DI DIO, GETTATI GIÙ...»MATTEO 4,6

    01032020Dal vangelo secondo Matteo (4,1-11)

    In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di' che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio». Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: Non metterai alla prova il Signore Dio tuo». Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vàttene, satana! Sta scritto infatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto». Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

     

     

     

     

     

     

    01032020 2Iconografia: Cerchio con monogramma AM dal quale si irradiano tre raggi di luce; due mani stringono un cuore; in primo piano una catena spezzata.

    Il cerchio è inteso come relazione a Dio e alla sua creazione. Nella iconografia cristiana significa l’eternità.

    La mano di Dio come segno e simbolo del suo intervento ed esprime potenza, dominio. Nell’Antico Testamento la mano di Dio significa Dio nella totale sua potenza e attività stringendo il cuore degli uomini.

    La catena è il simbolo di unione tra cielo e terra che viene spezzata dal peccato. Nell’arte figurativa cristiana si nota che Satana, alla fine dei tempi, è legato da catene.
    Raggio di luce: rappresenta Dio che è luce, e in lui non ci sono tenebre. (1Gv 1,5)

     

    Il numero tre: è il numero della perfezione e indica la Trinità.

    Riferimenti biblici
    Rendete grazie al Signore perché è buono, perché il suo amore è per sempre.[…] Ci ha liberati dai nostri avversari, perché il suo amore è per sempre. Egli dà il cibo a ogni vivente, perché il suo amore è per sempre. […] Rendete grazie al Dio del cielo, perché il suo amore è per sempre. (Sal 136 (135) 1-26).

    Buono è il Signore, il suo amore è per sempre, la sua fedeltà di generazione in generazione. (Sal 100 (99), 5)

    In un impeto di collera ti ho nascosto per un poco il mio volto; ma con affetto perenne ho avuto pietà di te, dice il tuo redentore, il Signore. (Is 54,8).

    La misericordia è essenza e natura in Dio, perché essa è la carità eterna, l’amore infinito con il quale il Creatore ci ama. In Dio la misericordia è perdono, aiuto, pietà, compassione, sollievo, riconciliazione, alleanza, liberazione, provvidenza, custodia, elevazione, protezione. Tutto il bene che il Creatore elargisce all’uomo è solo per misericordia. Anche la creazione stessa è opera della misericordia di Dio che vuole partecipare la sua vita facendo dell’uomo una creatura ad immagine e somiglianza della sua gloria eterna. Il Salmo 135 (136) ci rivela che ogni cosa che Dio fa, ha sempre la sua origine, il suo principio eterno nella misericordia, nell’amore di Dio.

    Affermiamo che la Madre di Dio è Madre di Misericordia in relazione alla misericordia divina che il Padre opera in Cristo Gesù per virtù dello Spirito Santo. Il suo ruolo non è semplice da comprendere e soprattutto non facile da assolvere e l’evangelista Giovanni ce lo rivela nel racconto delle nozze di Cana. Il Signore ha dato alla Madre sua due compiti assai particolari. È Lei che è preposta a vedere tutti i bisogni spirituali e materiali dell’umanità. Tutto è affidato al suo cuore di Madre che deve rivestirsi della stessa misericordia di Dio. È lei che deve scendere in mezzo a noi, vedere la nostra ê condizione reale dinanzi a Dio e ai fratelli. È Lei che deve andare da Cristo Gesù e manifestare il nostro stato. È Lei che deve intercedere. È sempre Lei che poi deve intervenire presso di noi chiedendo la nostra obbedienza. Lei riceve la grazia per darla ai bisognosi, ai miseri, agli afflitti.

     

     

      

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     strada facendo n 342 I QRS A 01 03 20
     
     
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    DOMENICA 9 FEBBRAIO 2020 


      

    «RISPLENDA LA VOSTRA LUCE DAVANTI AGLI UOMINI, PERCHÉ VEDANO LE VOSTRE OPERE BUONE»MATTEO 5,16

    09022020Dal vangelo secondo Matteo (5,13-16 )

    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.

    Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».

     

     

     

     

     

     

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    SF 338 pag3

      


     
     strada facendo n 338 V TO A 09 02 20
     
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      DOMENICA 24 FEBBRAIO 2019 


     

    «AMATE I VOSTRI NEMICI, FATE DEL BENE A QUELLI CHE VI ODIANO...» LUCA 6,27

    Dal Vangelo secondo Luca(6,27-38)

    24022019In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non richiederle indietro.

    E come volete gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro.

    Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gl’ingrati e i malvagi.

    Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso .

    Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio”.

     

     

     

     


     

     

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    UNA GIORNATA SPECIALE

    I 70 anni dell’Azione Cattolica parrocchiale

     

    azione cattolica logoDomenica 9 dicembre 2018, l’Azione Cattolica della parrocchia della B. V. Maria del SS. Rosario ha festeggiato l’anniversario dei suoi 70 anni di vita associativa. Una giornata vissuta intensamente tra convegni, momenti di aggregazione conviviali e manifestazione di fede.

    Al mattino alle ore 10 nel salone della Casa del Catechismo si è tenuto un interessantissimo convegno sul tema: “70 anni di A.C. locale al servizio della Chiesa locale nei 150 anni dell’A.C. Italiana al servizio della Chiesa Universale”, a cui hanno partecipato in qualità di relatori Luigi Lanotte, delegato ACI regionale, e Francesco Mastrogiacomo, presidente diocesano.

    Oltre agli ospiti, al tavolo della presidenza sedevano il parroco, p. Luigi Murra, che ha introdotto i lavori con il suo saluto, p. Luigi Piccolo, assistente parrocchiale di A.C. e rettore della comunità dei Padri Leonardini e la presidente parrocchiale Maria Altomare Binetti.

    La presidente nel suo intervento, esprimendo la propria gioia e di quanti sono cresciuti alla Parola di Gesù al servizio della Chiesa per l’evento che si stava celebrando, ha salutato i relatori e i dirigenti diocesani che hanno voluto manifestare la loro vicinanza in un momento così significativo indicando con la loro presenza, senza alcuna ombra di dubbio, quanto importante sia vivere la vita associativa in comunione specialmente in realtà di frontiera come quella della nostra parrocchia, nonché i presidenti parrocchiali che hanno avuto nel passato la responsabilità di far vivere l’associazione nella fedeltà della propria missione e proiettarla nel futuro, che è realtà di oggi e progetto del domani. Ha introdotto il tema del convegno ricordando come l’A.C. di oggi è e si sente in tutto e per tutto erede della propria storia, delle tante e differenti stagioni che l’hanno portata a essere quello che è oggi ; al tempo stesso, è consapevole che l’unico modo per rimanere fedele a questa storia e alla ricerca di santità ordinaria che ha intessuto l’esistenza di tante generazioni in questi settant’anni è quello di sapersi rinnovare, di lasciarsi interpellare a fondo dalla realtà del proprio tempo per potere continuare a essere dentro di esso, e per esso, esperienza popolare di fede condivisa e di testimonianza credibile del Vangelo. Quindi la presidente ha concluso il suo intervento ricordando che “In fondo, è proprio questo che l’A.C. ha sempre avuto la capacità di fare in questi settant’anni: cambiare forme, strutture, priorità, toni e programmi per poter rimanere fedele a sé stessa, alla propria vocazione originaria”.

    Il delegato regionale Luigi Lanotte ripercorrendo il cammino dell’ACI lungo i centocinquant’anni di vita associativa dalla sua nascita ai nostri giorni, ha rivendicato con orgoglio l’appartenenza all’A.C. “alla sua lunga storia che ci precede e che ha contribuito a dare forma alla nostra vita, a quella di tante famiglie, di tante comunità, delle parrocchie, delle diocesi, delle città in cui viviamo, dell’intero Paese. In tutti questi anni l’A.C. ha rappresentato per decine di generazioni, per milioni di persone, laici e presbiteri, uomini e donne, giovani e adulti, una esperienza decisiva di fede, di vita, di crescita umana e culturale, di responsabilità. Una scuola di santità, vissuta nella semplicità del quotidiano. Questo patrimonio prezioso è un tesoro che non possiamo tenere per noi, chiuso dentro gli scaffali di una biblioteca o le vetrine di una teca piena di cimeli, ma è una storia che vogliamo raccontare, condividere, far scoprire a tutti, a ciascuna persona; ai giovani e ai ragazzi, cui nessuno ha fatto percepire che cosa ha significato e cosa significa il Concilio Vaticano II; a chi non immagina che milioni di persone si sono formate in A.C., per poi spendersi con generosità nel mondo; a chi ha dimenticato che furono due giovani laici, Giovanni Acquaderni e Mario Fani, all’indomani dell’Unità d’Italia, a dare vita alla più longeva e significativa esperienza associativa che abbia attraversato non solo la storia della Chiesa italiana, ma di tutto il Paese. La nostra è una storia da raccontare, perché è una storia vera, una “storia che ha fatto la storia”.

    24022019 3E come ogni storia lunga 150 anni, è anche una storia di continui cambiamenti, di ripensamenti, di rotture e continuità, di scelte coraggiose e tentativi falliti. Sempre, infatti, in tutti questi 150 anni, la nostra associazione ha saputo rinnovarsi per rimanere fedele alla propria identità originaria. Nelle differenti epoche e nelle diverse fasi della storia della Chiesa e del Paese che si sono succedute, l’A.C. ha sempre saputo modificare le proprie forme, le regole, l’organizzazione, il modo di esprimersi e di agire, per certi versi persino le priorità del proprio impegno. Tutti cambiamenti che sono sempre stati dettati dal desiderio di non attardarsi a rimpiangere nostalgicamente il passato ma, al contrario, fare tutto il possibile per vivere il proprio tempo in modo significativo, ponendosi a servizio di esso. Uno sforzo che ci è chiesto di fare anche oggi, proprio alla luce della nostra storia. Pertanto desideriamo fare della ricorrenza del centocinquantesimo un’opportunità preziosa per rinnovare ancora una volta noi stessi, lasciandoci interpellare a fondo dalla vita del mondo nel quale viviamo, dalla vita di ogni persona. Celebrare i centocinquant’anni di vita dell’A.C. Italiana, insomma, deve innanzitutto rappresentare una grande occasione per rilanciare l’associazione, per rinnovare il nostro impegno, per fare in modo che sempre più persone, sempre più famiglie, sempre più comunità possano trovare in essa uno spazio di accoglienza, di fraternità, di vita buona, sperimentando la bellezza di scoprire e vivere la fede e di crescere in umanità, nel condividere la responsabilità dell’essere laici associati, in una parola fare in modo che tante persone possano fare esperienza della presenza dell’amore del Signore nella loro vita; e fare dell’A.C. una strada attraverso cui tutta la Chiesa, tutto il Popolo di Dio, possa camminare per le vie del mondo annunciando il Risorto.

    Il presidente diocesano Francesco Mastrogiacomo nel suo intervento ha ripercorso la storia associativa diocesana, ricordando le azioni di coerenza verso la pastorale diocesana, luce e faro di tutte le attività, ponendo in evidenza come l’ A.C. non ha bisogno di carismi particolari perché essa opera all’interno della Chiesa in stretto raccordo con il Magistero del Papa e con la Pastorale vescovile nelle diocesi. Ha, altresì, posto l’accento in maniera forte sulla necessità di essere Chiesa in uscita , di andare incontro ai fratelli , specie a quelli che soffrono le tante difficoltà della vita là dove essi vivono: nelle periferie delle città, tra gli ultimi e gli emarginati per portare il dono della Parola evangelica e della solidarietà umana; ha messo in guardia dall’autoreferenzialità che potrebbe colpire coloro che si sentono parte di una grande organizzazione mondiale che ha fatto la storia non solo della Chiesa , ma anche della società a cui ha donato menti eccelse e fulgidi esempi di politici integerrimi, uomini come Vittorio Bachelet presidente generale di ACI dal 1964 al 1973, ucciso il 12 febbraio 1980 dalle Brigate rosse al termine di una lezione universitaria e ancora Giorgio La Pira, Luigi Gedda, Giuseppe Lazzati, e tanti altri non meno rilevanti.

    La mattinata ha vissuto un’altra pagina emozionante con l’incontro- testimonianza di ex presidenti parrocchiali quali Francesco Visaggio, Nunzio Todisco, Giuseppe Martire, Francesco Camporeale e Luigi Piazzolla. Francesco Visaggio nel suo intervento ha ripercorso gli anni dell’impegno nell’associazione fino alla responsabilità di presidente diocesano regalando ricordi e momenti emozionanti. Nunzio Todisco, non smentendo la sua fama di storico, ha ricordato gli anni della nascita dell’associazione parrocchiale, dei suoi protagonisti assistenti spirituali tra cui p. Speranza e di altri padri Leonardini che hanno sempre sostenuto la crescita dell’associazionismo cattolico e il lavoro tra i quartieri più poveri della città in modo particolare quello chiamato “Shangai”.

    In conclusione del suo intervento ha svelato agli intervenuti un piccolo “giallo”, posticipando la nascita dell’associazione cattolica parrocchiale a due anni dopo quella che si ritiene ufficiale quindi sessantotto anni fa, mentre Francesco Camporeale ha invitato i soci e i dirigenti a fare “sistema cittadino”, in modo da non chiudersi tra gli egoismi parrocchiali, ma si costruisca una associazione aperta su tutto il territorio comunale.

    Di particolare rilievo è stato l’intervento del’ex sindaco di San Ferdinando prof. Carmine Gissi, che ha ricordato come l’A.C. della parrocchia del Rosario sia stata negli anni fucina di crescita di coscienze e di uomini che hanno riversato nella società civile il loro impegno ricoprendo ruoli politici di sindaco, assessore, presidente di consiglio comunale, segretari di partito; nelle diversità di scelte fatte nella vita politica tutti si sono distinti per la moderazione, il rispetto delle altrui idee e un forte senso delle istituzioni.
    Dopo l’intervento di saluto del componente il Consiglio diocesano Distasi Michele e la declamazione della poesia “Shangai” da parte dell’autrice, la professoressa Tina Ferreri , tutti i partecipanti hanno potuto ammirare la mostra fotografica allestita nella sala che ha ripercorso visivamente tutti gli anni trascorsi e i suoi protagonisti; visi noti e non, cari e mai dimenticati, tanti già nella Casa del Padre. Un percorso emozionante, un tuffo nel passato tra partite di calcio, festival canori, giornate al fiume , gite sociali e partecipazioni a cerimonie religiose. Settant’anni snocciolati come in un film prima in bianco e nero e poi a colori che ha entusiasmato tutti coloro che hanno avuto la fortuna di vederlo, fino alle testimonianze degli ultimi anni con l’attività del presidente Luigi Piazzolla e dell’assistente parrocchiale p. Luigi Piccolo che hanno approfondito i documenti papali e reso i soci strumenti consapevoli della loro missione divulgatrice.

    La giornata è proseguita con il pranzo conviviale a cui hanno partecipato soci e invitati.

    Alle ore 18,30 i partecipanti hanno preso parte alla solenne messa di ringraziamento e del tesseramento officiata dal parroco p. Luigi Murra e concelebrata con l’assistente parrocchiale di A.C. p. Luigi Piccolo. Durante l’omelia il parroco ha ricordato a tutti i soci e ai fedeli che la nostra associazione ha già nel nome la sua identità cioè l’azione, azione rivolta a conoscere e a far conoscere la Parola di Gesù e attualizzarla attraverso la pratica di azioni buone rivolte ai confratelli nella fede.

    La consegna della pergamena con la benedizione papale, delle tessere e una foto di gruppo hanno sancito la chiusura di una giornata speciale e piena di benedizioni divine su tutti i partecipanti.

     

     


    strada facendo n 300 VII TO C 24 02 19  
     
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      DOMENICA 10 FEBBRAIO 2019 


     

    PRESERO UNA QUANTITÀ ENORME DI PESCI E LE LORO RETI QUASI SI ROMPEVANO.LUCA 5,6

    Dal Vangelo secondo Luca(5,1-11)

    10022019In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra.

    Sedette e insegnava alle folle dalla barca.

    Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano.

    Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.

    Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».

    E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

     

     

     


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      DOMENICA 3 FEBBRAIO 2019 


     

    «IN VERITÀ IO VI DICO: NESSUN PROFETA È BENE ACCETTO NELLA SUA PATRIA»LUCA 4,24

    03022019Dal Vangelo secondo Luca(4,21-30)

    In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

    Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».

    All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

     

     

     

     

    il parroco scrive

     

    Pregiudizio: giudizio basato su opinioni precostituite e su stati d'animo irrazionali, anziché sull'esperienza e sulla conoscenza diretta. Così il dizionario, così per i compaesani di Gesù. Nazareth è il luogo della fede, lì dove Maria accoglie il Signore ma anche il luogo della non accoglienza, della chiusura nei propri schemi, dove non è possibile fare spazio alla novità. Questo forse il nostro pericolo, noi siamo quelli che le cose “le sanno”, non abbiamo bisogno che qualcuno, soprattutto se poi lo conosciamo bene, venga a profetare su di noi e sulla storia.

    Abbiamo il bruttissimo vizio di catalogare la gente, di decidere che è buona e cattiva. Dovremmo tornare ad ascoltare, chi ci sta intorno, i nostri cari, guardare la realtà con occhi nuovi, con gli stessi occhi di Dio che non si ferma ai nostri limiti, ma ci offre strade nuove per incontrarlo, puntando su di noi. Dovremmo allora anche noi provare a stupirci, a non dare nulla per scontato, ad accogliere e nello stesso tempo, provare ad uscire dai nostri schemi che diventano prigione in cui ci chiudiamo. Noi non siamo oggi quelli che eravamo da bambini, dovremmo scoprire chi siamo noi oggi per Dio così da accoglierlo.

    P. Luigi Murra

     

     

     


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    strada facendo n 297 IV TO C 03 02 19
     
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     DOMENICA 25 FEBBRAIO 2018 

     


    2ª DOMENICA DI QUARESIMA


    GESÙ PRESE CON SÉ PIETRO, GIACOMO E GIOVANNI E LI CONDUSSE SU UN ALTO MONTE. Marco 9,2

    Dal Vangelo secondo Marco(1,12-15)
    25022018In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

     

     

     

    il parroco

    Dal deserto, dove Gesù ha superato la prova delle tentazioni, siamo chiamati a seguirlo “su un alto monte” per vivere l’esperienza di Pietro, Giacomo e Giovanni: vedere Gesù in una luce del tutto nuova. “Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime”. Una visione inattesa e così coinvolgente da far esclamare a Pietro, tutta la sua gioia: ”Rabbì, è bello per noi essere quì”. Con Gesù, Mosè ed Elia, richiamo obbligato al cammino del popolo eletto, tutti avvolti dalla nube una voce: “Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!”. La luce e la bellezza, che appaiono in Gesù sul monte, sono un anticipo di quella della Pasqua e sono garanzia per tutti coloro che seguono il Maestro e ascoltano la sua Parola. I giorni della Quaresima devono costituire un esercizio su come si ascolta la Parola, salendo sul monte, purificando il cuore, non lasciandosi suggestionare da altre voci che distolgono dal seguire Gesù, per restare nella valle dei propri pensieri, accontentandosi di ciò che soddisfa solo i sensi, privandosi della Bellezza appagante che cerca il nostro cuore. Lasciamoci prendere da Gesù, proveremo la stessa gioiosa meraviglia di Pietro: È bello stare con te!

    Gratitudine ai genitori di Francesco Pio Carlucci, Domenico e Maria, per la lettura del Vangelo.

    P. Raffaele Angelo Tosto (tostangelo@yahoo.it)

     

     

    TRASFIGURARCI CON LUI

    La Trasfigurazione è uno dei grandi misteri della nostra salvezza. Gesù, dopo essersi diretto con i tre apostoli sul monte, mentre prega si trasfigura davanti a loro, cioè cambia aspetto mostrandosi in uno straordinario splendore della persona e nel candore delle vesti.
    Sulla via che lo porta alla passione e alla conclusione della sua vita terrena, Gesù sceglie questo momento per poter incoraggiare gli apostoli e poter manifestare loro un piccolo raggio della sua Divina Gloria, in modo da poter trasmettere quella forza di cui avranno bisogno per affrontare i terribili giorni della passione.

    Improvvisamente arriva una nube e Dio Padre svela sia l’identità di Gesù sia la relazione d’amore che c’è tra il Padre e il Figlio. Dice: “Questi è il Figlio mio, l’amato, ascoltatelo”, affinché lo ascoltino e si dispongano a vivere con Lui il momento della passione, per giungere insieme alla gioia della Resurrezione.

    Il Signore invita anche noi a trasfigurarci con Lui affinché possiamo percorrere la via del bene e rifiutare il peccato in ogni occasione, divenendo limpidi come il Signore.

    Domenico e Maria

     

     

      

     

    LA GIOIA DEL SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE/1

    CARLO MARIA MARTINI, RITROVARE SE STESSI


    25022018 2Per riconoscersi peccatori davanti a Dio e per ottenere il suo perdono è previsto, nella Chiesa, il sacramento della Confessione o Riconciliazione. La pratica di questo sacramento, che fa tanto problema all'uomo contemporaneo e agli stessi cristiani, ci immette in un rapporto personale con Dio Padre che colma di gioia e apre in noi la forza del perdono.

    Se non lo viviamo così diventa un peso, una formalità, da adempiere per eliminare certe macchie di cui abbiamo un po' disagio, disgusto, vergogna; diventa semplicemente la ricerca di una migliore coscienza. Anche allora il sacramento fa del bene, ma a poco a poco ce ne allontaniamo avvertendo che è triste, faticoso, pesante.

    In realtà è un incontro gioioso con Dio, è un ripetere come ha esclamato Giovanni sulla barca in mezzo al lago: «È il Signore!» (Giovanni 21,7).

    «È il Signore!», e tutto è cambiato. «È il Signore!» e tutto di nuovo risplende. «È il Signore!» e tutto di nuovo ha senso nella vita: è una ricostituzione del significato di ogni pezzo della mia esistenza.

    Quindi va vissuto con serenità e gioia; la stessa penitenza, la purificazione, l'espiazione diventano apertura a un rapporto.

    Come vivere questo sacramento quale momento di un cammino in cui cerchiamo di capire chi siamo, cosa siamo chiamati a essere, in che cosa abbiamo sbagliato, che cosa avremmo voluto non essere, che cosa chiediamo a Dio?

    Suggerirei di viverlo come un colloquio penitenziale.

    Il colloquio penitenziale è la confessione ordinaria, con la differenza, però, che le stesse cose cerchiamo di distenderle un poco di più.

    Il colloquio si può descrivere secondo tre momenti fondamentali. Infatti, la parola latina "confessio" non significa solo andarsi a confessare, ma significa pure lodare, riconoscere, proclamare.

     

     

    CONFESSIONE DI LODE

    Il primo momento lo chiamo "confessio laudis", cioè confessione di lode.

    Invece di cominciare la confessione dicendo "ho peccato così e così", si può dire: "Signore, ti ringrazio", ed esprimere davanti a Dio i fatti, ciò per cui gli sono grato.

    Abbiamo troppo poco stima di noi stessi. Se provate a pensare vedrete quante cose impensate saltano fuori, perché la nostra vita è piena di doni. E questo allarga l'anima al vero rapporto personale.

    Non sono più io che vado, quasi di nascosto, a esprimere qualche peccato per farlo cancellare, ma sono io che mi metto davanti a

    Dio, Padre della mia vita, e dico per esempio: "Ti ringrazio perché in questo mese tu mi hai riconciliato con una persona con cui mi trovavo male. Ti ringrazio perché mi hai fatto capire cosa devo fare, ti ringrazio perché mi hai dato la salute, ti ringrazio perché mi hai permesso di capire meglio in questi giorni la preghiera come valore importante per me.

    Dobbiamo esprimere una o due cose per le quali sentiamo davvero di ringraziare il Signore.

    Quindi il primo momento è una confessione di lode.

     

     

    CONFESSIONE DI VITA

    Segue quella che chiamo "confessio vitae".

    In questo senso: non elenco semplicemente dei peccati, bensì pongo la domanda fondamentale: "Dall'ultima confessione, che cosa nella mia vita in genere vorrei che non ci fosse stato, che cosa vorrei non aver fatto, che cosa mi dà disagio, che cosa mi pesa?".

    Allora entra molto di noi stessi. La vita, non solo nei suoi peccati formali, "ho fatto questo, mi comporto male...", ma più ancora l'andare alle radici di ciò che vorrei che non fosse.
    "Signore, sento in me delle antipatie invincibili... che poi sono causa di malumore, di maldicenze, di dispetti. Vorrei essere guarito da te. Signore, sento in me ogni tanto delle tentazioni che mi trascinano; vorrei essere guarito dalle forze di queste tentazioni.

    Signore, sento in me disgusto per le cose che faccio, sento in me pigrizia, malumore, disamore alla preghiera; sento in me dubbi che mi preoccupano...".

    Se noi riusciamo nella confessione di vita a esprimere alcuni dei più profondi sentimenti, emozioni che ci pesano e non vorremmo che fossero, troviamo anche le radici delle nostre colpe, cioè ci conosciamo per ciò che realmente siamo: un fascio di desideri, un vulcano di emozioni e di sentimenti alcuni dei quali buoni, immensamente buoni... altri così cattivi da non poter non pesare negativamente:. Risentimenti, amarezze, tensioni, gusti morbosi che Don ci piacciono, li mettiamo davanti a Dio, dicendo: "Guarda, sono peccatore, Tu solo mi puoi salvare. Tu solo mi togli i peccati".

     

     

    CONFESSIONE DI FEDE

    Il terzo: la confessione della fede, "confessio fidei".

    Non serve a molto uno sforzo nostro. Bisogna che il proposito sia unito a un profondo atto di fede nella potenza risanatrice e purificatrice dello Spirito, nella misericordia infinita di Dio.

    La confessione non è soltanto deporre i peccati, come si depone una somma su un tavolo. La confessione è deporre il nostro cuore nel Cuore di Cristo, perché lo cambi con la sua potenza.

    La "confessio fidei" è dire al Signore: "Signore, so che sono fragile, so che sono debole, so che posso continuamente cadere, ma Tu per la tua misericordia cura la mia fragilità, custodisci la mia debolezza, dammi di vedere quali sono i propositi che debbo fare per significare la mia buona volontà di piacerti".

    Da tale confessione nasce la preghiera di pentimento: "Signore, so che ciò che ho fatto non è soltanto danno a me, ai miei fratelli, alle persone che sono state disgustate, strumentalizzate, ma è anche un'offesa fatta a Te, Padre, che mi hai amato, mi hai chiamato".

    È un atto personale: "Padre, riconosco e non vorrei mai averlo fatto... Padre, ho capito che...".

    Una confessione così concepita non ci annoia mai, perché è sempre diversa; ogni volta vediamo emergere altre radici negative dal nostro essere: desideri ambigui, intenzioni sbagliate, sentimenti falsi.

    Alla luce della potenza pasquale di Cristo ascoltiamo la voce: "Ti sono rimessi i tuoi peccati... pace a voi... pace a questa casa... pace al tuo spirito...".

    Nel sacramento della Riconciliazione avviene una vera e propria esperienza pasquale: la capacità di aprire gli occhi e dire: «È il Signore!».

     


     
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     DOMENICA 18 FEBBRAIO 2018 

     


    1ª DOMENICA DI QUARESIMA


    LO SPIRITO SOSPINSE GESÙ NEL DESERTO E NEL DESERTO RIMASE QUARANTA GIORNI.Marco 1,12s

    18022018Dal Vangelo secondo Marco(1,12-15)
    In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano. Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».

     

     

     

    il parroco

    “Convertitevi e credete nel Vangelo” è l’invito forte e deciso di Gesù, sempre attuale, ma, in Quaresima, imperativo e urgente.
    Con le ceneri sul capo ci siamo dichiarati peccatori, ora ci viene chiesto l’impegno concreto di cambiare modo di pensare e di vivere. I 40 giorni, che ci portano alla Pasqua, sono un tempo favorevole per realizzarlo. Anche Gesù si è sottoposto alla prova: “Lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e rimase 40 giorni, tentato da Satana”. L’evangelista Marco, nella sua brevità, presenta Gesù che sta tra le bestie selvatiche e gli angeli. È quanto avviene per ciascuno di noi, chiamati a scegliere tra la seduzione del male, “le bestie selvatiche”, e la scelta del bene, “gli angeli lo servivano”. Il deserto ci conduce a rientrare in noi stessi per scoprire da che parte mi trovo: Sono schiavo delle passioni (le bestie selvatiche)? Le riconosco? Le chiamo per nome? Se, in umiltà, riprendo coraggio, il cammino quaresimale mi farà sperimentare, dopo il diluvio delle tante sconfitte subite, la presenza del Signore che si fa salvezza, e fin d’ora, gli angeli verranno a servirmi. Parola, preghiera, digiuno, le indicazioni obbligatorie. Conoscendo fragilità e debolezze, rendiamoci forti con la preghiera: “Dio paziente e misericordioso, disponi i nostri cuori all’ascolto della tua parola, perché si compia in noi la vera conversione”.

    Grazie ai genitori di Carmela Crudele, Francesco e Michelina, per il commento al Vangelo.

    P. Raffaele Angelo Tosto (tostangelo@yahoo.it)

     

     

    IN AIUTO A TUTTI NOI

    Il Vangelo di Marco ci descrive, in un racconto molto semplice, l’esperienza della tentazione di Gesù, nel deserto alle prese con la tentazione di Satana. A volte la tentazione di peccare si presenta soprattutto nei momenti difficili, quando ti senti isolato dal mondo intero. Anche Gesù è stato messo alla prova, come noi, per questo è in grado di venire in aiuto a tutti noi soggetti alla tentazione. L’evangelista Marco ci invita a coltivare la nostra fede con la forza di Dio ascoltando la sua Parola: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo”. È questa la Parola che ci dà forza a non cadere nella trappola della tentazione.

    Francesco e Michelina

     

     

      

     

     MISTERI QUARESIMALI DEL ROSARIO


    18022018 3Paolo VI, nell’Enciclica Marialis Cultus (48) parlando del Rosario ricordava come esso sia "un pio esercizio che dalla Liturgia ha tratto motivo e, se praticato secondo la ispirazione originaria, ad essa naturalmente conduce, pur senza varcarne la soglia. Infatti, la meditazione dei misteri del Rosario, rendendo familiari alla mente e al cuore dei fedeli i misteri del Cristo, può costituire un'ottima preparazione alla celebrazione di essi nell'azione liturgica e divenirne poi eco prolungata ”. Per questo suggeriamo per le Domeniche di quaresima un Rosario che attinge e medita i vangeli di questo tempo.

     

     

    VPrimo mistero quaresimale:

    Gesù, è tentato da satana ed annunzia la bella notizia. (Mc 1,12-15)

    & Lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano. Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».

     

    V Secondo mistero quaresimale:

    Gesù, Figlio Amato, si trasfigura. (Mc 9,2-10)

    & Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!».

     

    V Terzo mistero quaresimale:

    Cristo, crocifisso e risorto, è tempio vivo (Gv 2,13-25)

    & Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio. Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere».

     

    V Quarto mistero quaresimale:

    Dio ha mandato il Figlio perché il mondo si salvi per mezzo di lui. (Gv 3,14-21)

    & Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna».

     

    V Quinto mistero quaresimale:

    Cristo, innalzato sulla croce, attira tutti a se. (Gv 12,20-33)

    & In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà.

     


     
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  • ingannevole come lamore

    Il Corso Basic è un corso di formazione alla nuzialità: un’esperienza di un week end residenziale (da venerdì a pranzo a domenica sera) che offriamo gratuitamente (solo vitto e alloggio a prezzo contenuto) a giovani, single e fidanzati, in età target 20-40 anni, provenienti da tutte le parti di Italia. Il corso è preparato da un numeroso staff composto da coppie sposate, giovani e coppie di fidanzati, con l’assistenza spirituale di un frate minore, P. Roberto Palmisano, e con l’aiuto formativo di uno psicologo psicoterapeuta, il dr. Mimmo Armiento.

    Il corso è una esperienza full-immersion ricca di testimonianze, video, balli, giochi, accoglienza, proposte…

    Tra i temi proposti: le trappole di autosabotaggio; il narcisismo/peccato originale e il permesso di esistere; la possibilità di ri-nascere da Dio, dopo essere nati dai propri genitori e dalla propria storia; le tappe di maturità personali; l’esperienza del “roveto ardente”: non consumarsi, uscendo dalle proprie sicurezze esistenziali e donandosi; l’amore nuziale tra gratuità incondizionata e verifica della reciprocità del dono; l’innamoramento e la scelta del partner; il senso del fidanzamento; la sessualità maschile e femminile e la proposta di castità nel fidanzamento...

    Il nostro desiderio è solo quello di evangelizzare alla nuzialità.

    Per informazioni: p. Luigi Murra

    Per iscrizioni: 3420566683 e 3923361715

    18022018 2

    www.ingannevolecomelamore.it

  • digiuno astinenzaAl digiuno sono tenuti tutti i maggiorenni fino al 60° anno iniziato; all'astinenza coloro che hanno compiuto il 14° anno di età.

    Ai fanciulli e ai ragazzi si propongano forme semplici e concrete di astinenza e di carità.


    Il testo completo del documento CEI

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    IN CAMMINO VERSO LA PASQUA 2017

    1 marzo – 16 aprile





    LA PASQUA E' UN DONO. L'ALTRO E' UN DONO

    Carissimi fratelli e sorelle,

    alla luce del messaggio del Santo Padre Francesco, viviamo il nostro pellegrinaggio diocesano quaresimale verso Gerusalemme.

    La "quaresima", infatti, è come un pellegrinaggio che facciamo con Gesù verso Gerusalemme, dove Egli dona tutto se stesso a noi giustificandoci presso il Padre e partecipandoci la sua vita divina rendendoci in Lui, Figlio unigenito del Padre fattosi uomo come noi nella carne della Vergine Maria, "figli adottivi", così come scrive l'apostolo Paolo ai Galati 4, 4-7 e ai Romani 8, 15-17.

    "Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessero l'adozione a figli. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: "Abbà! Padre!". Quindi non sei più schiavo ma figlio e, da figlio, sei anche erede per grazia di Dio" (Gal 4, 4-7).

    "E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: "Abbà! Padre!". Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria". (Rom 8, 15-17).

    Papa Francesco scrive nel suo messaggio: "La Quaresima è un nuovo inizio, una strada che conduce verso una meta sicura: la Pasqua di Resurrezione, la vittoria di Cristo sulla morte. E sempre questo tempo ci rivolge un forte invito alla conversione: il cristiano è chiamato a tornare a Dio "con tutto il suo cuore" (Gl 2,12), per non accontentarsi di una vita mediocre, ma crescere nell'amicizia con il Signore. Gesù è l'amico fedele che non ci abbandona mai, perché, anche quando pecchiamo, attende con pazienza il nostro ritorno a Lui e, con questa attesa, manifesta la sua volontà di perdono".

    Da parte nostra, però, perché Cristo sia formato in noi, dobbiamo svuotarci del nostro "io", soffrire per Lui, partecipando alle sue pene. In questo consiste la conversione: lasciarci possedere dallo Spirito che abbiamo ricevuto nel Battesimo e nella Cresima; e che ci conforma al "corpo di Cristo Signore", che è la Chiesa, per mezzo dell'Eucaristia.

    Nel Sinodo diocesano siamo stati illuminati dallo Spirito Santo proprio sulla identità della "Chiesa, mistero di comunione e di missione".

    In questa quaresima vogliamo accogliere il messaggio del Papa che ci invita ad essere "Parola dono". "Dono l'uno per l'altro". Dobbiamo vivere relazioni di fraternità, di giustizia, di perdono, di gioia, di pace. Se sapremo morire al nostro "io" trionferà in noi e tra di noi Gesù risorto rendendoci forti nello Spirito per essere nel mondo "strumento di salvezza universale".

    Il mio cammino quaresimale con voi e in mezzo a voi è così articolato.

    Verrò in ogni Città dell'arcidiocesi per celebrare la stazione quaresimale con la santa Messa e per entrare in dialogo con i Consigli Pastorali Zonali intorno al programma pastorale incentrato sulla "famiglia" e sui "giovani".

    Dedico, perciò:

    • la prima settimana di quaresima (6-11 marzo) alle comunità di Margherita di Savoia, di San Ferdinando di Puglia, di Trinitapoli;
    • la seconda settimana di quaresima (13-18 marzo) alle comunità di Bisceglie;
    • la terza settimana di quaresima (20-25 marzo) alle comunità di Corato;
    • la quarta settimana di quaresima (27 marzo - 1 aprile) alle comunità di Barletta;
    • la quinta settimana di quaresima (3-8 aprile) alle comunità di Trani.

    I vicari episcopali zonali si intendano con me per fissare la data dell'incontro.

    Un incontro particolare è riservato ai giovani.

    Il coordinatore della pastorale giovanile a livello cittadino si premuri di accordarsi con me.

    Vi raccomando, carissimi/e, di tenerci uniti nella preghiera che vi consegnai nel giorno della festa della Chiesa diocesana il 20 ottobre 2016. In quella preghiera, che è per l'anno pastorale in corso, c'è il contenuto del nostro impegno di vita ecclesiale così come emerge dal Sinodo celebrato: essere riflesso di gloria della SS. Trinità, vivere in comunione facendo risplendere il volto misericordioso di Gesù, annunciare e testimoniare l'amore che ci fa una sola cosa in Cristo Signore, nella prospettiva del Regno che si compie nella vita di ciascuno di noi quando e come Dio vuole. Recitiamola quotidianamente.

    I Vicari episcopali zonali organizzino l'iniziativa delle "24 ore per il Signore" nella quarta settimana di quaresima, da venerdì a sabato (31 marzo – 1 aprile), così come ci è richiesto da Papa Francesco. (MM 11)

    Per la "Quaresima di carità" vi invito ad incrementare e potenziare la dispensa dei viveri ed aiuti vari delle caritas parrocchiali e cittadine con il frutto concreto del digiuno e della preghiera. L'elemosina, infatti, deve scaturire da un "darsi" all'altro accolto come "dono" nella condivisione dei beni materiali.

    Vi chiedo, poi, di pregare con un'intenzione nella preghiera comunitaria dei fedeli nella Messa domenicale per i quindici catecumeni che riceveranno i sacramenti della Iniziazione Cristiana nella Veglia Pasquale del 16 aprile p.v..

    Imploro su di me e su di voi la benedizione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo attraverso la mediazione materna di Maria Santissima, nostra Madre, e l'intercessione dei nostri Santi Patroni e Protettori della diocesi, delle parrocchie, delle comunità religiose.

    Trani, 22 febbraio 2017

    Cattedra di San Pietro Apostolo

    firma-pichierri1

  • DOMENICA 2 APRILE

    PELLEGRINAGGIO a CASTELPETROSO la "Lourdes del Molise"

    e PIETRELCINA

    basilica castelpietroso

    P-pio casa padre pio pietrelcina 

    Ore 6.45 Ritrovo (Via Roma Bar Capriccio).

    Ore 7.00 Partenza.

    Ore 21.00 circa ritorno.

    Quota € 45,00 di cui 15 alla prenotazione e assegnazione del posto. Saldo prima della partenza.

    La quota comprende: Viaggio in pullman GT e pranzo.

  • "Rinfrancate i vostri cuori"(Gc 5,8)

    rinfrancate vs cuoriDal Lunedì al Sabato:
    ore 6.45 Ufficio letture e Lodi Mattutine
    ore 18.00 Via Matris
     
    Venerdì:
    ore 15 Divina misericordia
     
    Sabato:
    ore 19.45 Primi Vespri della Domenica.
     
    Durante il tempo di quaresima:
    Visita pastorale del parroco e benedizione delle famiglie
  • Un carrello carico di...
    Solidarietà!!!
    Sabato 7 Marzo
    alle ore 15:00
    carrello solidarieta

    Nel pomeriggio, i ragazzi della nostra parrocchia (accompagnati dai catechisti), passeranno per le nostre strade a raccogliere generi alimentari per sostenere la Caritas cittadina.

    Condividere il poco aiuta molti, non chiudiamo la porta ma accogliamoli con gioia!

  • Per una Chiesa Mistero di Comunione e di Missione

    ritiro quaresima

     sabato 14 Marzo

    Oasi di Nazareth - Corato


    ore 9.30 Recita dell'Ora Media
    ore 10,30 Meditazione a cura di S.E. Mons. Mario Paciello, Vescovo emerito di Altamura-Gravina-Acquaviva
    ore 11,00 Adorazione Eucaristica
    ore 12,00 Condivisione
    ore 13,00 Pranzo*

    * info e prenotazioni entro il 7 Marzo allo 080 3581001 dalle ore 8,00 alle 20,00 o al proprio Parroco

  • come dincanto 2

    Serata di canto, balli e animazione per bambini e giovani della Parrocchia del Rosario

    Per iscriverti richiedi la scheda al tuo catechista

  • Giovedì 26 Marzo:

    PELLEGRINAGGIO PENITENZIALE

    a Monte Sant'Angelo


    s michele arcConfessioni - Corona Angelica - Eucaristia

    Partenza ore 12.00 in Via Roma (Bar Capriccio)

    Quota € 15,00 comprende viaggio pullman GT, libretto e Coroncina

    Informazioni e prenotazioni presso l'ufficio parrocchiale

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      DOMENICA 17 FEBBRAIO 2019 


     

    «BEATI VOI CHE ORA PIANGETE, PERCHÉ RIDERETE»LUCA 6,21

    Dal Vangelo secondo Luca(6,17.20-26)

    17022019In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C'era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone.

    Ed egli, alzati gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:

    «Beati voi, poveri,
    perché vostro è il regno di Dio.

    Beati voi, che ora avete fame,
    perché sarete saziati.

    Beati voi, che ora piangete,
    perché riderete.

    Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell'uomo.

    Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo.

    Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.

    Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione.

    Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame.

    Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete.

    Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti.

     

     

     

     

    il parroco scrive

    Beato te! Quante volte abbiamo usato quest’espressione nei confronti di qualcuno che riteniamo più fortunato di noi?! Eppure, sentirlo dire da Gesù, suona un po’ strano perché i suoi riferimenti per noi rientrerebbero più nella categoria della sfortuna: poveri, affamati, nel pianto, odiati, messi al bando, insultati e disprezzati. Tuttavia nel mondo biblico, il termine beato indica la persona che ha trovato, nella Parola di Dio, la via della saggezza, colui che guarda la propria esistenza e la gestisce nella logica di Dio.

    A ben guardare, sembra che per Gesù la felicità consista in uno spazio in cui Dio può entrare, perché le situazioni che sono descritte sono tutte situazioni in cui sperimentiamo un vuoto, una mancanza, un’assenza. Ecco, la felicità per Gesù è Dio che colma già ora il vuoto dentro di te, rende la tua vita piena. Questo ci aiuta a capire anche quel “guai a te...” che potrebbe suonare come una minaccia o una maledizione ma che invece nella Scrittura equivale ad un lamento. Si, Gesù ci avvisa che se riempiamo la nostra vita di cose, se saziamo tutti i nostri appetiti, se cerchiamo applausi e consensi, non troveremo mai la vera felicità. “Ciò che non serve pesa”, diceva Madre Teresa, e se la vita diventa un peso, scompare la gioia.

    p. Luigi Murra

     


    strada facendo n 299 pag 2

     


     

    GUAI A VOI

    Beda il Venerabile, In Luc., 2, 24 ss.

     

    17022019 3"Guai a voi ricchi, perché avete già la vostra consolazione" (Lc 6,24). In che cosa consista questo "guai a voi ricchi" lo si capisce meglio dove si dice che il regno dei cieli è dei poveri. Da questo regno infatti si separeranno coloro che mettono ogni loro piacere in questo mondo e udranno la sentenza del giusto giudice: "Rammentate, figli, che avete avuto dei beni nella vostra vita" (Lc 16,25).

    Dove però è da notare che l`incriminazione non è posta tanto sulla ricchezza quanto sull`amore della ricchezza. Infatti, non tutti quelli che hanno ricchezze, ma, come dice il Qoèlet: "Chi ama le ricchezze non ne avrà vantaggio" (Qo 5,9), perché colui che non sa staccare l`animo dai beni temporali e non sa farne parte ai poveri, per il momento, sí, gode del loro uso, ma resterà privo per sempre del frutto che avrebbe potuto acquistare, se li avesse donati. E leggiamo anche altrove: "Beato il ricco che è stato trovato senza macchia, che non è corso appresso all`oro e non ha riposto le sue speranze nel danaro e nel tesoro" (Sir 31,8).

    "Guai a voi che siete sazi, perché avrete fame" (Lc 6,25).

    Era sazio quel ricco, vestito di porpora, che faceva ogni giorno splendidi banchetti, ma stava certo poi in un gran guaio, quando, affamato, dovette chiedere che dal dito del disprezzato Lazzaro gli cadesse una goccia sulla bocca. D`altra parte, se son beati quelli che hanno sempre fame delle opere di giustizia bisogna pur che siano infelici coloro che, al contrario, seguendo i loro desideri, non sentono nessuna fame di veri e solidi beni e si reputano abbastanza felici, se per il momento non son privi del loro piacere.

    "Guai a voi che ridete, perché sarete tristi e piangerete" (Lc 6,25). E Salomone dice: "Il riso sarà mescolato al dolore e la gioia finirà in lutto" (Pr 14,13). E ancora: "Il cuore dei sapienti è quello dov`è tristezza e il cuore degli stolti è quello dov`è letizia" (Qo 7,5); e questo vuole insegnare che la stoltezza dev`essere attribuita a quelli che ridono e la prudenza a quelli che piangono.

    "Guai a voi, quando tutti gli uomini diranno bene di voi" (Lc 6,26). È ciò che il Salmista deplora, "poiché il peccatore è lodato per i suoi desideri e il malvagio è benedetto" (Sal 9,24). A costui non dà nessuna pena che i suoi delitti non siano ripresi e che egli ne sia lodato, come se avesse fatto bene.

    "I padri di questa gente hanno trattato allo stesso modo i profeti" (Lc 6,26). Ma qui intende gli pseudoprofeti, i quali nella Sacra Scrittura son chiamati anche profeti, perché, per accaparrarsi il favore del popolo, si sforzavano di predire cose future. Perciò dice Ezechiele: "Guai ai profeti stolti che vanno dietro alla loro fantasia e non vedono niente; i tuoi profeti, Israele, erano come volpi nel deserto" (Ez 13,3). Perciò il Signore sulla montagna descrive soltanto le Beatitudini dei buoni, invece nella campagna annunzia anche le sventure dei malvagi; perché la gente più rude per essere spinta al bene ha bisogno di minacce e terrore, i perfetti invece basta invitarli con la prospettiva d`un premio.

     

     


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     MERCOLEDI' 14 FEBBRAIO 2018 

     


    MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO PER LA QUARESIMA 2018

    «Per il dilagare dell’iniquità, si raffredderà l’amore di molti»(Mt 24,12)

     

    Cari fratelli e sorelle,

     ceneri1ancora una volta ci viene incontro la Pasqua del Signore! Per prepararci ad essa la Provvidenza di Dio ci offre ogni anno la Quaresima, «segno sacramentale della nostra conversione»1, che annuncia e realizza la possibilità di tornare al Signore con tutto il cuore e con tutta la vita.

    Anche quest’anno, con il presente messaggio, desidero aiutare tutta la Chiesa a vivere con gioia e verità in questo tempo di grazia; e lo faccio lasciandomi ispirare da un’espressione di Gesù nel Vangelo di Matteo: «Per il dilagare dell’iniquità l’amore di molti si raffredderà» (24,12).

    Questa frase si trova nel discorso che riguarda la fine dei tempi e che è ambientato a Gerusalemme, sul Monte degli Ulivi, proprio dove avrà inizio la passione del Signore. Rispondendo a una domanda dei discepoli, Gesù annuncia una grande tribolazione e descrive la situazione in cui potrebbe trovarsi la comunità dei credenti: di fronte ad eventi dolorosi, alcuni falsi profeti inganneranno molti, tanto da minacciare di spegnere nei cuori la carità che è il centro di tutto il Vangelo.

     

    I falsi profeti

    Ascoltiamo questo brano e chiediamoci: quali forme assumono i falsi profeti?
    Essi sono come “incantatori di serpenti”, ossia approfittano delle emozioni umane per rendere schiave le persone e portarle dove vogliono loro. Quanti figli di Dio sono suggestionati dalle lusinghe del piacere di pochi istanti, che viene scambiato per felicità!

     ceneri2Quanti uomini e donne vivono come incantati dall’illusione del denaro, che li rende in realtà schiavi del profitto o di interessi meschini! Quanti vivono pensando di bastare a sé stessi e cadono preda della solitudine!

    Altri falsi profeti sono quei “ciarlatani” che offrono soluzioni semplici e immediate alle sofferenze, rimedi che si rivelano però completamente inefficaci: a quanti giovani è offerto il falso rimedio della droga, di relazioni “usa e getta”, di guadagni facili ma disonesti! Quanti ancora sono irretiti in una vita completamente virtuale, in cui i rapporti sembrano più semplici e veloci per rivelarsi poi drammaticamente privi di senso! Questi truffatori, che offrono cose senza valore, tolgono invece ciò che è più prezioso come la dignità, la libertà e la capacità di amare. È l’inganno della vanità, che ci porta a fare la figura dei pavoni… per cadere poi nel ridicolo; e dal ridicolo non si torna indietro. Non fa meraviglia: da sempre il demonio, che è «menzognero e padre della menzogna» (Gv 8,44), presenta il male come bene e il falso come vero, per confondere il cuore dell’uomo. Ognuno di noi, perciò, è chiamato a discernere nel suo cuore ed esaminare se è minacciato dalle menzogne di questi falsi profeti. Occorre imparare a non fermarsi a livello immediato, superficiale, ma riconoscere ciò che lascia dentro di noi un’impronta buona e più duratura, perché viene da Dio e vale veramente per il nostro bene.

     

    Un cuore freddo

    Dante Alighieri, nella sua descrizione dell’inferno, immagina il diavolo seduto su un trono di ghiaccio2; egli abita nel gelo dell’amore soffocato. Chiediamoci allora: come si raffredda in noi la carità? Quali sono i segnali che ci indicano che in noi l’amore rischia di spegnersi?

     ceneri3Ciò che spegne la carità è anzitutto l’avidità per il denaro, «radice di tutti i mali» (1 Tm 6,10); ad essa segue il rifiuto di Dio e dunque di trovare consolazione in Lui, preferendo la nostra desolazione al conforto della sua Parola e dei Sacramenti3. Tutto ciò si tramuta in violenza che si volge contro coloro che sono ritenuti una minaccia alle nostre “certezze”: il bambino non ancora nato, l’anziano malato, l’ospite di passaggio, lo straniero, ma anche il prossimo che non corrisponde alle nostre attese.

    Anche il creato è testimone silenzioso di questo raffreddamento della carità: la terra è avvelenata da rifiuti gettati per incuria e interesse; i mari, anch’essi inquinati, devono purtroppo ricoprire i resti di tanti naufraghi delle migrazioni forzate; i cieli – che nel disegno di Dio cantano la sua gloria – sono solcati da macchine che fanno piovere strumenti di morte.

    L’amore si raffredda anche nelle nostre comunità: nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium ho cercato di descrivere i segni più evidenti di questa mancanza di amore. Essi sono: l’accidia egoista, il pessimismo sterile, la tentazione di isolarsi e di impegnarsi in continue guerre fratricide, la mentalità mondana che induce ad occuparsi solo di ciò che è apparente, riducendo in tal modo l’ardore missionario4.

     

    Cosa fare?

    Se vediamo nel nostro intimo e attorno a noi i segnali appena descritti, ecco che la Chiesa, nostra madre e maestra, assieme alla medicina, a volte amara, della verità, ci offre in questo tempo di Quaresima il dolce rimedio della preghiera, dell’elemosina e del digiuno.

    Dedicando più tempo alla preghiera, permettiamo al nostro cuore di scoprire le menzogne segrete con le quali inganniamo noi stessi5, per cercare finalmente la consolazione in Dio. Egli è nostro Padre e vuole per noi la vita.

    L’esercizio dell’elemosina ci libera dall’avidità e ci aiuta a scoprire che l’altro è mio fratello: ciò che ho non è mai solo mio.

    Come vorrei che l’elemosina si tramutasse per tutti in un vero e proprio stile di vita! Come vorrei che, in quanto cristiani, seguissimo l’esempio degli Apostoli e vedessimo nella possibilità di condividere con gli altri i nostri beni una testimonianza concreta della comunione che viviamo nella Chiesa. A questo proposito faccio mia l’esortazione di san Paolo, quando invitava i Corinti alla colletta per la comunità di Gerusalemme: «Si tratta di cosa vantaggiosa per voi» (2 Cor 8,10). Questo vale in modo speciale nella Quaresima, durante la quale molti organismi raccolgono collette a favore di Chiese e popolazioni in difficoltà.

    ceneri4Ma come vorrei che anche nei nostri rapporti quotidiani, davanti a ogni fratello che ci chiede un aiuto, noi pensassimo che lì c’è un appello della divina Provvidenza: ogni elemosina è un’occasione per prendere parte alla Provvidenza di Dio verso i suoi figli; e se Egli oggi si serve di me per aiutare un fratello, come domani non provvederà anche alle mie necessità, Lui che non si lascia vincere in generosità6?

    Il digiuno, infine, toglie forza alla nostra violenza, ci disarma, e costituisce un’importante occasione di crescita. Da una parte, ci permette di sperimentare ciò che provano quanti mancano anche dello stretto necessario e conoscono i morsi quotidiani dalla fame; dall’altra, esprime la condizione del nostro spirito, affamato di bontà e assetato della vita di Dio. Il digiuno ci sveglia, ci fa più attenti a Dio e al prossimo, ridesta la volontà di obbedire a Dio che, solo, sazia la nostra fame.

    Vorrei che la mia voce giungesse al di là dei confini della Chiesa Cattolica, per raggiungere tutti voi, uomini e donne di buona volontà, aperti all’ascolto di Dio. Se come noi siete afflitti dal dilagare dell’iniquità nel mondo, se vi preoccupa il gelo che paralizza i cuori e le azioni, se vedete venire meno il senso di comune umanità, unitevi a noi per invocare insieme Dio, per digiunare insieme e insieme a noi donare quanto potete per aiutare i fratelli!

     

    Il fuoco della Pasqua

    Invito soprattutto i membri della Chiesa a intraprendere con zelo il cammino della Quaresima, sorretti dall’elemosina, dal digiuno e dalla preghiera. Se a volte la carità sembra spegnersi in tanti cuori, essa non lo è nel cuore di Dio! Egli ci dona sempre nuove occasioni affinché possiamo ricominciare ad amare.

    Una occasione propizia sarà anche quest’anno l’iniziativa “24 ore per il Signore”, che invita a celebrare il Sacramento della Riconciliazione in un contesto di adorazione eucaristica. Nel 2018 essa si svolgerà venerdì 9 e sabato 10 marzo, ispirandosi alle parole del Salmo 130,4: «Presso di te è il perdono». In ogni diocesi, almeno una chiesa rimarrà aperta per 24 ore consecutive, offrendo la possibilità della preghiera di adorazione e della Confessione sacramentale.

    Nella notte di Pasqua rivivremo il suggestivo rito dell’accensione del cero pasquale: attinta dal “fuoco nuovo”, la luce a poco a poco scaccerà il buio e rischiarerà l’assemblea liturgica. «La luce del Cristo che risorge glorioso disperda le tenebre del cuore e dello spirito»7, affinché tutti possiamo rivivere l’esperienza dei discepoli di Emmaus: ascoltare la parola del Signore e nutrirci del Pane eucaristico consentirà al nostro cuore di tornare ad ardere di fede, speranza e carità.

    Vi benedico di cuore e prego per voi. Non dimenticatevi di pregare per me.

     

     firma papa

     


    NOTE:

    1. Messale Romano, I Dom. di Quaresima, Orazione Colletta.
    2. «Lo ’mperador del doloroso regno / da mezzo ’l petto uscia fuor de la ghiaccia» (Inferno XXXIV, 28-29).
    3. «È curioso, ma tante volte abbiamo paura della consolazione, di essere consolati. Anzi, ci sentiamo più sicuri nella tristezza e nella desolazione. Sapete perché? Perché nella tristezza ci sentiamo quasi protagonisti. Invece nella consolazione è lo Spirito Santo il protagonista» (Angelus, 7 Dicembre 2014).
    4. Nn. 76-109.
    5. Cfr Benedetto XVI, Lett. Enc. Spe salvi, 33.
    6. Cfr Pio XII, Lett. Enc. Fidei donum, III.
    7. Messale Romano, Veglia Pasquale, Lucernario.
     
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    DOMENICA 11 FEBBRAIO 2018 

     


    VENNE DA GESÙ UN LEBBROSO, CHE LO SUPPLICAVA IN GINOCCHIO...Marco 1,40

    11022018Dal Vangelo secondo Marco(1,40-45)

    In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va', invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

     

     

     

    il parroco

    “Se vuoi, puoi purificarmi!” È la richiesta umile e supplichevole di un povero lebbroso a Gesù. La lebbra, una malattia che isola dalla convivenza umana e, nel tempo di Gesù, rendeva “impuro”. Il lebbroso è cosciente del suo stato e manifesta un grande coraggio nell’uscire allo scoperto, nel trasgredire una legge, è la forza della sua fede, in quel Gesù di cui ha sentito meraviglie. E Gesù, anche Lui, trasgredendo la legge, “lo toccò e gli disse: “Lo voglio, sii purificato!”. Alla scomparsa della lebbra, Gesù impone il silenzio, “ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto”. Gesù ci rimane male di questa pubblicità, perché induce a non conoscere il senso vero della sua missione. La lebbra continua a mietere vittime, anche oggi, ma quella peggiore è quella, che, portiamo dentro: l’egoismo, l’individualismo, il menefreghismo verso chi crediamo diverso. Questo tipo di lebbra si può nascondere tra i banchi della chiesa, in una falsa religiosità. Sono tanti, uomini, donne e cristiani che ci danno esempio di come si “toccano” i lebbrosi di oggi, facendo sentire una presenza di umanità, di amore, di vangelo. Santa Teresa di Calcutta, che di lebbrosi e simili, se ne intendeva, diceva che la lebbra peggiore è il non amore. Chiediamo a Gesù che venga a “toccare” i nostri cuori per liberarli dalla lebbra che impedisce di avere compassione di chi giudichiamo “lebbroso”, diverso, immigrato, nemico.

    Siamo grati ai genitori di Nicola Chiumarulo, Addolorata e Marco per il commento al Vangelo.

    P. Raffaele Angelo Tosto (tostangelo@yahoo.it)

     

     

    UN NUOVO VOLTO DI DIO

    In questo vangelo di Marco viene rivelata la grande fede dell'uomo nel potere di Gesù che accogliendo e guarendo il lebbroso rivela un nuovo volto di Dio.
    Il lebbroso rappresenta nella nostra società gli emarginati, gli infermi, gli anziani che sono considerati "dei condannati", un peso da non considerare.
    Ma Gesù ci insegna ad avere compassione e a imitare la fede in Dio come  quel lebbroso e anche il rispetto per la volontà di Dio che potrebbe anche essere diversa dalla nostra.

    Addolorata e Marco

     

     

     

     

     IL DIGIUNO CRISTIANO

    Enzo Bianchi, www.monasterodibose.it

     

     

    11022018 2Il mangiare appartiene al registro del desiderio, deborda la semplice funzione nutritiva per rivestire rilevanti connotazioni affettive e simboliche. L'uomo, in quanto uomo, non si nutre di solo cibo, ma di parole e gesti scambiati, di relazioni, di amore, cioè di tutto ciò che dà senso alla vita nutrita e sostentata dal cibo. Il mangiare del resto dovrebbe avvenire insieme, in una dimensione di convivialità, di scambio che invece, purtroppo e non a caso, sta a sua volta scomparendo in una società in cui il cibo è ridotto a carburante da assimilare il più sbrigativamente possibile.

    Il digiuno svolge allora la fondamentale funzione di farci sapere qual è la nostra fame, di che cosa viviamo, di che cosa ci nutriamo e di ordinare i nostri appetiti intorno a ciò che è veramente centrale. E tuttavia sarebbe profondamente ingannevole pensare che il digiuno - nella varietà di forme e gradi che la tradizione cristiana ha sviluppato: digiuno totale, astinenza dalle carni, assunzione di cibi vegetali o soltanto di pane e acqua -, sia sostituibile con qualsiasi altra mortificazione o privazione. Il mangiare rinvia al primo modo di relazione del bambino con il mondo esterno: il bambino non si nutre solo del latte materno, ma inizialmente conosce l'indistinzione fra madre e cibo; quindi si nutre delle presenze che lo attorniano: egli "mangia'', introietta voci, odori, forme, visi, e così, pian piano, si edifica la sua personalità relazionale e affettiva. Questo significa che la valenza simbolica del digiuno è assolutamente peculiare e che esso non può trovare "equivalenti'' in altre forme di rinuncia: gli esercizi ascetici non sono interscambiabili! Con il digiuno noi impariamo a conoscere e a moderare i nostri molteplici appetiti attraverso la moderazione di quello primordiale e vitale: la fame, e impariamo a disciplinare le nostre relazioni con gli altri, con la realtà esterna e con Dio, relazioni sempre tentate di voracità.

    Il digiuno è ascesi del bisogno ed educazione del desiderio. Solo un cristianesimo insipido e stolto che si comprende sempre più come morale sociale può liquidare il digiuno come irrilevante e pensare che qualsiasi privazione di cose superflue (dunque non vitali come il mangiare) possa essergli sostituita: è questa una tendenza che dimentica lo spessore del corpo e il suo essere tempio dello Spirito santo. In verità il digiuno è la forma con cui il credente confessa la fede nel Signore con il suo stesso corpo, è antidoto alla riduzione intellettualistica della vita spirituale o alla sua confusione con lo psicologico.

    Certamente, poiché il rischio di fare del digiuno un'opera meritoria, una performance ascetica è presente, la tradizione cristiana ricorda che esso deve avvenire nel segreto, nell'umiltà, con uno scopo preciso: la giustizia, la condivisione, l'amore per Dio e per il prossimo. Ecco perché la tradizione cristiana è molto equilibrata e sapiente su questo tema: "Il digiuno è inutile e anche dannoso per chi non ne conosce i caratteri e le condizioni'' (Giovanni Crisostomo); "È meglio mangiare carne e bere vino piuttosto che divorare con la maldicenza i propri fratelli'' (Abba Iperechio); "Se praticate l'ascesi di un regolare digiuno, non inorgoglitevi. Se per questo vi insuperbite, piuttosto mangiate carne, perché è meglio mangiare carne che gonfiarsi e vantarsi'' (Isidoro il Presbitero).
    Sì, noi siamo ciò che mangiamo, e il credente non vive di solo pane, ma soprattutto della Parola e del Pane eucaristici, della vita divina: una prassi personale ed ecclesiale di digiuno fa parte della sequela di Gesù che ha digiunato, è obbedienza al Signore che ha chiesto ai suoi discepoli la preghiera e il digiuno, è confessione di fede fatta con il corpo, è pedagogia che porta la totalità della persona all'adorazione di Dio.

    In un tempo in cui il consumismo ottunde la capacità di discernere tra veri e falsi bisogni, in cui lo stesso digiuno e le terapie dietetiche divengono oggetto di business, in cui pratiche orientali di ascesi ripropongono il digiuno, e la quaresima è sbrigativamente letta come l'equivalente del ramadan musulmano, il cristiano ricordi il fondamento antropologico e la specificità cristiana del digiuno: esso è in relazione alla fede perché fonda la domanda: "Cristiano, di cosa nutri la tua vita?'' e, nel contempo, pone un interrogativo lacerante: “Che ne hai fatto di tuo fratello che non ha cibo a sufficienza?”.

     


     
    strada facendo n 259 VI TO B 11 2 18
     
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    DOMENICA 4 FEBBRAIO 2018 

     


    VENUTA LA SERA, GLI PORTARONO TUTTI I MALATI E GLI INDEMONIATI...Marco 1,32

    Dal Vangelo secondo Marco(1,29-39)
    04022018In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva. Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano. Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.

     

     

     

    il parroco

    La pagina del Vangelo di Marco ci presenta la “giornata di Cafarnao” di Gesù e la sua missione. Dalla sinagoga alla casa di Simone, al tramonto davanti alla porta della città e, all’inizio della notte in un luogo deserto a pregare. Da queste pennellate appare con chiarezza l’identità di Gesù e l’efficacia della sua parola: ”Il Regno di Dio è in mezzo a voi”. È una presenza di salvezza, visibile e sono in tanti a sperimentarla. La prima è la suocera di Pietro, allettata per una forte febbre e Gesù la fa alzare, prendendola per mano, guarendola in pienezza. Ella, senza giorni di convalescenza, si mette subito a servire. Così, dalla casa alla porta della città sono in molti a sperimentare guarigione dalle malattie e liberazione dal demonio. Tutti sono presi dal desiderio di vederlo, incontrarlo e toccarlo per essere guariti, ma Gesù si ritira in un luogo deserto per pregare. Non cede alla facile tentazione del successo, ma, cerca nella preghiera, l’intimità con il Padre. Gesù ci lascia le tracce del suo cammino per facilitarci di incontrarlo. Così, hanno fatto “Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce”. Se abbiamo il coraggio e la gioia di metterci sulle sue “tracce”, anche noi sperimenteremo Gesù, Medico misericordioso.

    Grazie a Cesarina e Pietro, genitori di Piermauro D’Addato per il Vangelo.

    P. Raffaele Angelo Tosto (tostangelo@yahoo.it)

     

     

    IL MIRACOLO DEL SERVIZIO

    Il Vangelo di oggi è noto anche come “una giornata di Gesù a Cafarnao”. La quotidianità a cui l’Evangelista Marco fa riferimento, mostra il Maestro che predica nella Sinagoga ma sottolinea soprattutto la sua compassione e tenerezza nel continuare a guarire i malati e gli indemoniati che si riunivano davanti alla sua porta anche dopo il tramonto. Accolto nella casa di Giacomo e Andrea, informato della malattia della suocera di Simone, Gesù si avvicina a lei e la guarisce “la sollevò prendendola per mano”: nella dolcezza di questo gesto viene evidenziata la misericordia del Signore: si viene sollevati dal proprio dolore sostenuti dalle mani del Signore. Ma subito dopo viene mostrata la conseguenza di questo miracolo: “la febbre la lasciò ed ella li servì”. Il miracolo del servizio è da intendersi come mettere la propria vita a servizio e disposizione degli altri. Ma nel vangelo di Marco servire è sinonimo di seguire : mettersi al seguito di Gesù. Ed è questo che ci viene chiesto nel nostro cammino di cristiani, portando altrove, in altri luoghi e in altri tempi anche nelle nostre semplici quotidianità, la parola del Signore: “Andiamocene altrove... perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!”

    Pietro e Cesarina

     

     

     

     

    MATER ECCLESIAE: «"ECCO TUO FIGLIO... ECCO TUA MADRE".
    E DA QUELL'ORA IL DISCEPOLO L'ACCOLSE CON SÉ...»
    (GV 19, 26-27)

    04022018 2

     

    MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    PER LA XXVI GIORNATA MONDIALE DEL MALATO 2018 

     

     

    Cari fratelli e sorelle,

    04022018 3il servizio della Chiesa ai malati e a coloro che se ne prendono cura deve continuare con sempre rinnovato vigore, in fedeltà al mandato del Signore (cfr Lc 9,2-6; Mt 10,1-8; Mc 6,7-13) e seguendo l’esempio molto eloquente del suo Fondatore e Maestro.

    Quest’anno il tema della Giornata del malato ci è dato dalle parole che Gesù, innalzato sulla croce, rivolge a sua madre Maria e a Giovanni: «“Ecco tuo figlio... Ecco tua madre”. E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé» (Gv 19,26-27).

    1. Queste parole del Signore illuminano profondamente il mistero della Croce. Essa non rappresenta una tragedia senza speranza, ma il luogo in cui Gesù mostra la sua gloria, e lascia le sue estreme volontà d’amore, che diventano regole costitutive della comunità cristiana e della vita di ogni discepolo.

    Innanzitutto, le parole di Gesù danno origine alla vocazione materna di Maria nei confronti di tutta l’umanità. Lei sarà in particolare la madre dei discepoli del suo Figlio e si prenderà cura di loro e del loro cammino. E noi sappiamo che la cura materna di un figlio o una figlia comprende sia gli aspetti materiali sia quelli spirituali della sua educazione.

    Il dolore indicibile della croce trafigge l’anima di Maria (cfr Lc 2,35), ma non la paralizza. Al contrario, come Madre del Signore inizia per lei un nuovo cammino di donazione. Sulla croce Gesù si preoccupa della Chiesa e dell’umanità intera, e Maria è chiamata a condividere questa stessa preoccupazione. Gli Atti degli Apostoli, descrivendo la grande effusione dello Spirito Santo a Pentecoste, ci mostrano che Maria ha iniziato a svolgere il suo compito nella prima comunità della Chiesa. Un compito che non ha mai fine.

    2. Il discepolo Giovanni, l’amato, raffigura la Chiesa, popolo messianico. Egli deve riconoscere Maria come propria madre. E in questo riconoscimento è chiamato ad accoglierla, a contemplare in lei il modello del discepolato e anche la vocazione materna che Gesù le ha affidato, con le preoccupazioni e i progetti che ciò comporta: la Madre che ama e genera figli capaci di amare secondo il comando di Gesù. Perciò la vocazione materna di Maria, la vocazione di cura per i suoi figli, passa a Giovanni e a tutta la Chiesa. La comunità tutta dei discepoli è coinvolta nella vocazione materna di Maria.

    3. Giovanni, come discepolo che ha condiviso tutto con Gesù, sa che il Maestro vuole condurre tutti gli uomini all’incontro con il Padre. Egli può testimoniare che Gesù ha incontrato molte persone malate nello spirito, perché piene di orgoglio (cfr Gv 8,31-39) e malate nel corpo (cfr Gv 5,6). A tutti Egli ha donato misericordia e perdono, e ai malati anche guarigione fisica, segno della vita abbondante del Regno, dove ogni lacrima viene asciugata. Come Maria, i discepoli sono chiamati a prendersi cura gli uni degli altri, ma non solo. Essi sanno che il cuore di Gesù è aperto a tutti, senza esclusioni. A tutti dev’essere annunciato il Vangelo del Regno, e a tutti coloro che sono nel bisogno deve indirizzarsi la carità dei cristiani, semplicemente perché sono persone, figli di Dio.

    4. Questa vocazione materna della Chiesa verso le persone bisognose e i malati si è concretizzata, nella sua storia bimillenaria, in una ricchissima serie di iniziative a favore dei malati. Tale storia di dedizione non va dimenticata. Essa continua ancora oggi, in tutto il mondo. Nei Paesi dove esistono sistemi di sanità pubblica sufficienti, il lavoro delle congregazioni cattoliche, delle diocesi e dei loro ospedali, oltre a fornire cure mediche di qualità, cerca di mettere la persona umana al centro del processo terapeutico e svolge ricerca scientifica nel rispetto della vita e dei valori morali cristiani. Nei Paesi dove i sistemi sanitari sono insufficienti o inesistenti, la Chiesa lavora per offrire alla gente quanto più è possibile per la cura della salute, per eliminare la mortalità infantile e debellare alcune malattie a larga diffusione. Ovunque essa cerca di curare, anche quando non è in grado di guarire. L’immagine della Chiesa come “ospedale da campo”, accogliente per tutti quanti sono feriti dalla vita, è una realtà molto concreta, perché in alcune parti del mondo sono solo gli ospedali dei missionari e delle diocesi a fornire le cure necessarie alla popolazione.

    5. La memoria della lunga storia di servizio agli ammalati è motivo di gioia per la comunità cristiana e in particolare per coloro che svolgono tale servizio nel presente. Ma bisogna guardare al passato soprattutto per lasciarsene arricchire. Da esso dobbiamo imparare: la generosità fino al sacrificio totale di molti fondatori di istituti a servizio degli infermi; la creatività, suggerita dalla carità, di molte iniziative intraprese nel corso dei secoli; l’impegno nella ricerca scientifica, per offrire ai malati cure innovative e affidabili. Questa eredità del passato aiuta a progettare bene il futuro. Ad esempio, a preservare gli ospedali cattolici dal rischio dell’aziendalismo, che in tutto il mondo cerca di far entrare la cura della salute nell’ambito del mercato, finendo per scartare i poveri. L’intelligenza organizzativa e la carità esigono piuttosto che la persona del malato venga rispettata nella sua dignità e mantenuta sempre al centro del processo di cura. Questi orientamenti devono essere propri anche dei cristiani che operano nelle strutture pubbliche e che con il loro servizio sono chiamati a dare buona testimonianza del Vangelo.

    6. Gesù ha lasciato in dono alla Chiesa la sua potenza guaritrice:

    «Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: [...] imporranno le mani ai malati e questi guariranno» (Mc 16,17-18). Negli Atti degli Apostoli leggiamo la descrizione delle guarigioni operate da Pietro (cfr At 3,4-8) e da Paolo (cfr At 14,8-11). Al dono di Gesù corrisponde il compito della Chiesa, la quale sa che deve portare sui malati lo stesso sguardo ricco di tenerezza e compassione del suo Signore. La pastorale della salute resta e resterà sempre un compito necessario ed essenziale, da vivere con rinnovato slancio a partire dalle comunità parrocchiali fino ai più eccellenti centri di cura. Non possiamo qui dimenticare la tenerezza e la perseveranza con cui molte famiglie seguono i propri figli, genitori e parenti, malati cronici o gravemente disabili. Le cure che sono prestate in famiglia sono una testimonianza straordinaria di amore per la persona umana e vanno sostenute con adeguato riconoscimento e con politiche adeguate. Pertanto, medici e infermieri, sacerdoti, consacrati e volontari, familiari e tutti coloro che si impegnano nella cura dei malati, partecipano a questa missione ecclesiale. E’ una responsabilità condivisa che arricchisce il valore del servizio quotidiano di ciascuno.

    7. A Maria, Madre della tenerezza, vogliamo affidare tutti i malati nel corpo e nello spirito, perché li sostenga nella speranza. A lei chiediamo pure di aiutarci ad essere accoglienti verso i fratelli infermi. La Chiesa sa di avere bisogno di una grazia speciale per poter essere all’altezza del suo servizio evangelico di cura per i malati. Perciò la preghiera alla Madre del Signore ci veda tutti uniti in una insistente supplica, perché ogni membro della Chiesa viva con amore la vocazione al servizio della vita e della salute. La Vergine Maria interceda per questa XXVI Giornata Mondiale del Malato; aiuti le persone ammalate a vivere la propria sofferenza in comunione con il Signore Gesù, e sostenga coloro che di essi si prendono cura. A tutti, malati, operatori sanitari e volontari, imparto di cuore la Benedizione Apostolica.

     

    Dal Vaticano, 26 novembre 2017

    Solennità di N.S. Gesù Cristo Re dell’universo

    Francesco

     


     
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      DOMENICA 26 FEBBRAIO 2017


    «NON PREOCCUPATEVI PER LA VOSTRA VITA... GUARDATE GLI UCCELLI DEL CIELO... OSSERVATE I GIGLI DEL CAMPO»Matteo 6,25ss.

    Dal Vangelo secondo Matteo (5,38-48)

    26022017In In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza.

    Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?

    Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita?

    E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede?

    Non preoccupatevi dunque dicendo: "Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?". Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno.

    Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta.

    Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena».





    il parroco

    "Nessuno può servire due padroni,...non potete servire Dio e la ricchezza". Questo l'inizio del vangelo di Gesù rivolto "in quel tempo" ai suoi discepoli e "oggi" a ciascuno di noi. Una parola chiara e precisa. Gesù, il Maestro, dà indicazioni precise all'uomo per una vita vera e autentica, liberandola dalla facile e seducente attrattiva nella ricchezza. "Beati i poveri" è in contrasto netto con il desiderio di possesso e di ricchezza che si nasconde nel cuore di ogni uomo. La parola di Gesù ci vuole aprire gli occhi e il cuore a saper discernere e valorizzare ciò che vale per l'uomo. Vuol mettere la bussola orientativa per non lasciarsi assorbire dal "dio mammona", la ricchezza. Sia ben chiaro che Gesù non condanna la ricchezza, il progresso, la crescita economica, il darsi da fare per una vita buona, dignitosa, che preveda il futuro con tutte le sue incertezze e necessità, ma vuol portarci ad un sano discernimento: il primato non è la ricchezza. Una lettura attenta e meditata porta ad andare oltre l'apparenza e soprattutto la bramosia dell'avere. Ci conduce con alcune immagini: "Guardate gli uccelli del cielo,... i gigli del campo". Il Signore vuol fare del tutto per rincuorare il cuore dell'uomo nel farci riscoprire la sua paternità: "Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta". Il Vangelo diventa sapienza di vita per stare bene. Molta ricchezza, molta preoccupazione, molta agitazione e molti...ansiolitici! Una vita sobria, povera, serena, evangelica è vita felice e gioiosa!

    Grati a Di Salvo Vincenzo e Altamura Rossana per la lettura del vangelo.

    P. Raffaele Angelo Tosto (tostangelo@yahoo.it)




    PROFUMARE DI DIO

    Il vangelo di questa domenica ci invita a non farci prendere dalle preoccupazioni del mondo, ma a vivere cercando con i propri comportamenti il Regno di Dio. Non dobbiamo vivere uniti al denaro, ma la nostra vita deve profumare di Dio, è a lui che dobbiamo dare culto e servizio. Chi si preoccupa delle cose del mondo è un pagano. Noi uomini siamo amati da Dio di un amore smisurato. Egli infatti, provvede al nostro sostentamento come un padre amoroso. Pertanto ogni nostra giornata e ogni nostro atteggiamento deve essere rivolto a Dio. Tutto il nostro tempo terreno, è stabilito da Dio, infatti nessuno può allungare la sua vita; teniamoci pertanto pronti alla venuta di Dio, che giudicherà il nostro operato terreno.

    Vincenzo e Rossana




    QUARESIMA E SCOPO DEL DIGIUNO

    26022017 2Il Tempo di Quaresima inizia il Mercoledì delle Ceneri e si protrae fino alla messa in Coena Domini esclusa (cfr. Ordinamento dell'anno liturgico e del calendario, 28).

    "Ha lo scopo di preparare la Pasqua: la liturgia quaresimale guida alla celebrazione del mistero pasquale sia i catecumeni, attraverso i diversi gradi dell'iniziazione cristiana, sia i fedeli, mediante il ricordo del battesimo e mediante la penitenza" (Ordinamento dell'anno liturgico e del calendario, 27; cfr. SC 109).

    La Quaresima è "tempo di ascolto della Parola di Dio e di conversione, di preparazione e di memoria del Battesimo, di riconciliazione con Dio e con i fratelli, di ricorso più frequente alle «armi della penitenza cristiana»: la preghiera, il digiuno, l'elemosina (cfr. Mt 6,1-6. 16-18)" (Direttorio su pietà popolare e liturgia, 124).

    La liturgia quaresimale si caratterizza per sobrietà ed essenzialità: l'altare non deve essere ornato con i fiori, il suono degli strumenti è permesso solo per sostenere il canto, viene omesso il «Gloria» e, in tutte le celebrazioni dall'inizio della Quaresima fino alla Veglia pasquale, l'«Alleluia». Tutto ciò in vista di un ascolto profondo della Parola, di un incontro con il Signore della vita, di un'apertura al fratello bisognoso.

    Il Mercoledì delle Ceneri è giorno di penitenza in tutta la Chiesa, con l'osservanza dell'astinenza e del digiuno, il senso del quale ci viene offerto dalla Colletta: O Dio, nostro Padre, concedi al popolo cristiano di iniziare con questo digiuno un cammino di vera conversione, per affrontare vittoriosamente con le armi della penitenza il combattimento contro lo spirito del male (Colletta, Mercoledì delle Ceneri).

    Il digiuno quaresimale ha certamente una dimensione fisica, oltre l'astinenza dal cibo, può comprendere altre forme, come la privazione del fumo, di alcuni divertimenti, della televisione,... Tutto questo però non è ancora la realtà del digiuno; è solo il segno esterno di una realtà interiore; è un rito che deve rivelare un contenuto salvifico, è il sacramento del santo digiuno. Il digiuno rituale della Quaresima:

    è segno del nostro vivere la Parola di Dio. Non digiuna veramente chi non sa nutrirsi della Parola di Dio, sull'esempio di Cristo, che disse: "Mio cibo è fare la volontà del Padre";

    è segno della nostra volontà di espiazione: "Non digiuniamo per la Pasqua, né per la croce, ma per i nostri peccati,... " afferma san Giovanni Crisostomo;

    è segno della nostra astinenza dal peccato: come dice il vescovo sant'Agostino: "Il digiuno veramente grande, quello che impegna tutti gli uomini, è l'astinenza dalle iniquità, dai peccati e dai piaceri illeciti del mondo,...".

    In sintesi: la mortificazione del corpo è segno della conversione dello spirito.



     strada facendo n 220

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      MERCOLEDI 1 MARZO 2017


     QUARESIMA 2017 - SACRE CENERI


    MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO PER LA QUARESIMA 2017

    La Parola è un dono. L'altro è un dono

    Cari fratelli e sorelle,

    la Quaresima è un nuovo inizio, una strada che conduce verso una meta sicura: la Pasqua di Risurrezione, la vittoria di Cristo sulla morte. E sempre questo tempo ci rivolge un forte invito alla conversione: il cristiano è chiamato a tornare a Dio «con tutto il cuore» (Gl 2,12), per non accontentarsi di una vita mediocre, ma crescere nell'amicizia con il Signore. Gesù è l'amico fedele che non ci abbandona mai, perché, anche quando pecchiamo, attende con pazienza il nostro ritorno a Lui e, con questa attesa, manifesta la sua volontà di perdono (cfr Omelia nella S. Messa, 8 gennaio 2016).

    La Quaresima è il momento favorevole per intensificare la vita dello spirito attraverso i santi mezzi che la Chiesa ci offre: il digiuno, la preghiera e l'elemosina. Alla base di tutto c'è la Parola di Dio, che in questo tempo siamo invitati ad ascoltare e meditare con maggiore assiduità. In particolare, qui vorrei soffermarmi sulla parabola dell'uomo ricco e del povero Lazzaro (cfr Lc 16,19-31). Lasciamoci ispirare da questa pagina così significativa, che ci offre la chiave per comprendere come agire per raggiungere la vera felicità e la vita eterna, esortandoci ad una sincera conversione.

     

    1. L'altro è un dono

    ceneri2017 2La parabola comincia presentando i due personaggi principali, ma è il povero che viene descritto in maniera più dettagliata: egli si trova in una condizione disperata e non ha la forza di risollevarsi, giace alla porta del ricco e mangia le briciole che cadono dalla sua tavola, ha piaghe in tutto il corpo e i cani vengono a leccarle (cfr vv. 20-21). Il quadro dunque è cupo, e l'uomo degradato e umiliato.

    La scena risulta ancora più drammatica se si considera che il povero si chiama Lazzaro: un nome carico di promesse, che alla lettera significa «Dio aiuta». Perciò questo personaggio non è anonimo, ha tratti ben precisi e si presenta come un individuo a cui associare una storia personale. Mentre per il ricco egli è come invisibile, per noi diventa noto e quasi familiare, diventa un volto; e, come tale, un dono, una ricchezza inestimabile, un essere voluto, amato, ricordato da Dio, anche se la sua concreta condizione è quella di un rifiuto umano (cfr Omelia nella S. Messa, 08.01.2016).

    Lazzaro ci insegna che l'altro è un dono. La giusta relazione con le persone consiste nel riconoscerne con gratitudine il valore. Anche il povero alla porta del ricco non è un fastidioso ingombro, ma un appello a convertirsi e a cambiare vita. Il primo invito che ci fa questa parabola è quello di aprire la porta del nostro cuore  all'altro, perché ogni persona è un dono, sia il nostro vicino sia il povero sconosciuto. La Quaresima è un tempo propizio per aprire la porta ad ogni bisognoso e riconoscere in lui o in lei il volto di Cristo. Ognuno di noi ne incontra sul proprio cammino. Ogni vita che ci viene incontro è un dono e merita accoglienza, rispetto, amore. La Parola di Dio ci aiuta ad aprire gli occhi per accogliere la vita e amarla, soprattutto quando è debole. Ma per poter fare questo è necessario prendere sul serio anche quanto il Vangelo ci rivela a proposito dell'uomo ricco.

     

    2. Il peccato ci acceca

    La parabola è impietosa nell'evidenziare le contraddizioni in cui si trova il ricco (cfr v. 19). Questo personaggio, al contrario del povero Lazzaro, non ha un nome, è qualificato solo come "ricco". La sua opulenza si manifesta negli abiti che indossa, di un lusso esagerato. La porpora infatti era molto pregiata, più dell'argento e dell'oro, e per questo era riservato alle divinità (cfr Ger 10,9) e ai re (cfr Gdc 8,26). Il bisso era un lino speciale che contribuiva a dare al portamento un carattere quasi sacro. Dunque la ricchezza di quest'uomo è eccessiva, anche perché esibita ogni giorno, in modo abitudinario: «Ogni giorno si dava a lauti banchetti» (v. 19). In lui si intravede drammaticamente la corruzione del peccato, che si realizza in tre momenti successivi: l'amore per il denaro, la vanità e la superbia (cfr Omelia nella S. Messa, 20.09.2013).

    ceneri2017 3Dice l'apostolo Paolo che «l'avidità del denaro è la radice di tutti i mali» (1 Tm 6,10). Essa è il principale motivo della corruzione e fonte di invidie, litigi e sospetti. Il denaro può arrivare a dominarci, così da diventare un idolo tirannico (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 55). Invece di essere uno strumento al nostro servizio per compiere il bene ed esercitare la solidarietà con gli altri, il denaro può asservire noi e il mondo intero ad una logica egoistica che non lascia spazio all'amore e ostacola la pace.

    La parabola ci mostra poi che la cupidigia del ricco lo rende vanitoso. La sua personalità si realizza nelle apparenze, nel far vedere agli altri ciò che lui può permettersi. Ma l'apparenza maschera il vuoto interiore. La sua vita è prigioniera dell'esteriorità, della dimensione più superficiale ed effimera dell'esistenza (cfr ibid., 62).

    Il gradino più basso di questo degrado morale è la superbia. L'uomo ricco si veste come se fosse un re, simula il portamento di un dio, dimenticando di essere semplicemente un mortale. Per l'uomo corrotto dall'amore per le ricchezze non esiste altro che il proprio io, e per questo le persone che lo circondano non entrano nel suo sguardo. Il frutto dell'attaccamento al denaro è dunque una sorta di cecità: il ricco non vede il povero affamato, piagato e prostrato nella sua umiliazione.

    Guardando questo personaggio, si comprende perché il Vangelo sia così netto nel condannare l'amore per il denaro: «Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza» (Mt 6,24).

     

    3. La Parola è un dono

    Il Vangelo del ricco e del povero Lazzaro ci aiuta a prepararci bene alla Pasqua che si avvicina. La liturgia del Mercoledì delle Ceneri ci invita a vivere un'esperienza simile a quella che fa il ricco in maniera molto drammatica. Il sacerdote, imponendo le ceneri sul capo, ripete le parole: «Ricordati che sei polvere e in polvere tornerai». Il ricco e il povero, infatti, muoiono entrambi e la parte principale della parabola si svolge nell'aldilà. I due personaggi scoprono improvvisamente che «non abbiamo portato nulla nel mondo e nulla possiamo portare via» (1 Tm 6,7).

    ceneri2017 4Anche il nostro sguardo si apre all'aldilà, dove il ricco ha un lungo dialogo con Abramo, che chiama «padre» (Lc 16,24.27), dimostrando di far parte del popolo di Dio. Questo particolare rende la sua vita ancora più contraddittoria, perché finora non si era detto nulla della sua relazione con Dio. In effetti, nella sua vita non c'era posto per Dio, l'unico suo dio essendo lui stesso.

    Solo tra i tormenti dell'aldilà il ricco riconosce Lazzaro e vorrebbe che il povero alleviasse le sue sofferenze con un po' di acqua. I gesti richiesti a Lazzaro sono simili a quelli che avrebbe potuto fare il ricco e che non ha mai compiuto. Abramo, tuttavia, gli spiega: «Nella vita tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti» (v. 25). Nell'aldilà si ristabilisce una certa equità e i mali della vita vengono bilanciati dal bene.

    La parabola si protrae e così presenta un messaggio per tutti i cristiani. Infatti il ricco, che ha dei fratelli ancora in vita, chiede ad Abramo di mandare Lazzaro da loro per ammonirli; ma Abramo risponde: «Hanno Mosè e i profeti; ascoltino loro» (v. 29). E di fronte all'obiezione del ricco, aggiunge: «Se non ascoltano Mosè e i profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti» (v. 31).

    In questo modo emerge il vero problema del ricco: la radice dei suoi mali è il non prestare ascolto alla Parola di Dio; questo lo ha portato a non amare più Dio e quindi a disprezzare il prossimo. La Parola di Dio è una forza viva, capace di suscitare la conversione nel cuore degli uomini e di orientare nuovamente la persona a Dio. Chiudere il cuore al dono di Dio che parla ha come conseguenza il chiudere il cuore al dono del fratello.

    Cari fratelli e sorelle, la Quaresima è il tempo favorevole per rinnovarsi nell'incontro con Cristo vivo nella sua Parola, nei Sacramenti e nel prossimo. Il Signore – che nei quaranta giorni trascorsi nel deserto ha vinto gli inganni del Tentatore – ci indica il cammino da seguire. Lo Spirito Santo ci guidi a compiere un vero cammino di conversione, per riscoprire il dono della Parola di Dio, essere purificati dal peccato che ci acceca e servire Cristo presente nei fratelli bisognosi. Incoraggio tutti i fedeli ad esprimere questo rinnovamento spirituale anche partecipando alle Campagne di Quaresima che molti organismi ecclesiali, in diverse parti del mondo, promuovono per far crescere la cultura dell'incontro nell'unica famiglia umana. Preghiamo gli uni per gli altri affinché, partecipi della vittoria di Cristo, sappiamo aprire le nostre porte al debole e al povero. Allora potremo vivere e testimoniare in pienezza la gioia della Pasqua.

    Dal Vaticano, 18 ottobre 2016

    Festa di San Luca Evangelista

    firma papa







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      DOMENICA 19 FEBBRAIO 2017


    «AVETE INTESO CHE FU DETTO: "OCCHIO PER OCCHIO E DENTE PER DENTE". MA IO VI DICO...»Matteo 5,38 s.

    Dal Vangelo secondo Matteo (5,38-48)

    19022017In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

    «Avete inteso che fu detto: "Occhio per occhio e dente per dente". Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l'altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da' a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle.

    Avete inteso che fu detto: "Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico". Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».





    il parroco

    Il Vangelo che, questa domenica ci offre la liturgia, è tra i più sconvolgenti, perché presenta una meta la più alta possibile: "Voi, dunque siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste". Il cammino del cristiano non si accontenta della normalità, punta in alto. Per raggiungere la meta, certamente non facile, è Gesù stesso che viene ad indicarci il modo. Così, per antitesi, ci presenta il modo di pensare e di agire, che va oltre l'antica legge "del taglione": "Occhio per occhio e dente per dente", una legge che serviva ad essere giusti e non oltrepassare i limiti di vendetta per eventuali torti subiti. Dobbiamo riconoscere che ancora oggi, se fosse osservata, l'uomo soffrirebbe molto di meno. Le notizie di vendetta: macchine bruciate, bombe davanti casa, e cose simili, ci dicono che l'uomo manifesta la sua vendetta oltre misura. "Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia, tu porgigli l'altra". Che dire? È un tale comportamento del tutto fuori ogni ragionamento umano, è essere... stolti. Questa è la novità: il comandamento dell'amore: "ma io vi dico: amate i vostri nemici". Questa parola l'ha predicata a tutti, ma l'ha portata a "compimento" nella sua passione. Così: insultato, schiaffeggiato, flagellato, crocifisso non ha opposto resistenza, anzi: "Perdona loro che non sanno quello che fanno". Come vivere la novità del vangelo, così nuova ed esigente? Riconoscere, con umiltà, la propria incapacità al perdono, all'amore e iniziare a chiederlo nella preghiera: Insegnami ad amare e a perdonare e benedici chi è accanto a me, che non riesco ad amare.

    Grazie a Gianluca Tiano e Mariella Daluiso per il Vangelo

    P. Raffaele Angelo Tosto (tostangelo@yahoo.it)




    USARE LA FORZA DELL'AMORE

    19022017 3Costruire alte mura che ci dividono, che impediscono di parlare, di guardarsi negli occhi, di confrontarsi. Muri tra amici, tra colleghi, con i compagni di classe e spesso mura alte anche in famiglia.

    Ormai è moda costruire mura anche tra Nazioni o Popoli.

    Riteniamo che se la persona che ci sta accanto la pensa diversamente da noi, sia una minaccia da scacciare e non una ricchezza da accogliere per diventare più grandi. Alla violenza noi rispondiamo con la violenza e non accettiamo che la vendetta possa essere disarmata dal perdono.

    In questo Vangelo, il Signore ci chiede di "amare i propri nemici", di adottare uno stile diverso, di porgere l'altra guancia e che questo modo di pensare e di agire non è segno di debolezza, ma di grandezza, la grandezza di Dio che ci invita ad usare la forza dell'amore.

    Quindi Gesù non ci chiede di essere deboli, anzi di essere forti, di avere la forza di nuotare controcorrente, di essere perfetti nell'amare.

    Mariella e Gianluca





    SE DIO NON PERDONASSE AI MALVAGI

    S. Agostino, Esposizioni sui Salmi, II, 54,4

    19022017 2Non crediate che sia senza scopo la presenza dei cattivi nel mondo. Non pensate che da essi Dio non tragga niente di buono. Il cattivo vive, o perché abbia a correggersi, oppure perché chi è buono sia per mezzo suo messo alla prova. Voglia il cielo che coloro che oggi ci mettono alla prova si convertano, e anche loro siano con noi messi alla prova! Tuttavia, finché seguitano a opprimerci, non odiamoli. Non sappiamo, infatti, chi di loro persevererà sino alla fine nella sua malvagità; e il più delle volte, mentre ti sembra di odiare un nemico, odi un fratello... Dice l'Apostolo a coloro che sono già divenuti fedeli: Foste un tempo tenebre, ma ora siete luce nel Signore (Ef 5,8): tenebre in voi stessi, luce nel Signore. Ebbene, fratelli, tutti i malvagi, finché sono malvagi, mettono alla prova i buoni. Ascoltate ora brevemente e intendete! Se sei buono, nessuno ti sarà nemico, se non il malvagio. Senza dubbio, ti è ben nota quella regola di bontà, secondo la quale tu dovrai imitare la bontà del Padre tuo che fa sorgere il suo sole sopra i buoni e sopra i malvagi e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti (Mt 5,45)...

    Quanto a te, che cosa hai dato al tuo nemico? Tu che non sei capace neanche di sopportarlo! Se Dio ha per nemico un uomo al quale tante cose ha donato... tu, che non puoi far sorgere il sole e neppure far piovere sulla terra, non puoi riservare qualcosa per il tuo nemico, affinché anche per te, uomo di buona volontà, vi sia pace sulla terra? Ebbene, se è vero che a te, in fatto d'amore, si prescrive d'amare il nemico imitando il Padre, come potresti tu esercitare in questo comandamento, se non ci fosse alcun nemico da sopportare? Vedi, dunque, che ogni cosa ti è di giovamento. Il fatto stesso che Dio risparmia i malvagi e spinge anche te a fare altrettanto, poiché tu pure, se sei buono, lo sei in quanto da malvagio sei diventato buono! Che se Dio non perdonasse ai malvagi, nemmeno tu potresti ora presentarti a lui a rendergli grazie. Lascia, dunque, che usi misericordia con gli altri colui che ne ha usata con te.



    strada facendo n 219

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      DOMENICA 12 FEBBRAIO 2017


    «NON SONO VENUTO AD ABOLIRE LA LEGGE O I PROFETI, MA A DARE COMPIMENTO»Matteo 5,17

    Dal Vangelo secondo Matteo (5,17-37)

    12022017In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli. Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu detto agli antichi: "Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio". Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: "Stupido", dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: "Pazzo", sarà destinato al fuoco della Geènna.

    Se dunque tu presenti la tua offerta all'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare, va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. Mettiti presto d'accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l'avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all'ultimo spicciolo!

    Avete inteso che fu detto: "Non commetterai adulterio". Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore.

    Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna. Fu pure detto: "Chi ripudia la propria moglie, le dia l'atto del ripudio". Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all'adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.

    Avete anche inteso che fu detto agli antichi: "Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti". Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare: "sì, sì", "no, no"; il di più viene dal Maligno».





    il parroco

    "Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento". Gesù, il Maestro, continua il "discorso della montagna" portandolo a "compimento": la pienezza dell'amore. Nulla viene tolto alla legge di Mosè, di cui si facevano forti, scribi e farisei nell'osservanza scrupolosa, ma c'è un di più che nessuna legge può indicare. Gesù si presenta con autorità con l'espressione: "Io vi dico", costringendo i suoi discepoli - e oggi noi - ad un serio e vero esame di coscienza, per entrare nell'intimo di noi stessi e confrontarci su come viviamo il suo Vangelo. È la tentazione di sempre e di tutti, quella di sentirsi appagati da una osservanza esteriore, senza un di più, che non è un peso aggiunto, ma il "compimento" dell'amore. Così la pagina evangelica ci presenta una piccola casistica. Non basta venire al tempio a pregare, se non amo e perdono il fratello. Non solo, non commettere adulterio, ma avere uno sguardo puro senza desiderio di possedere. Quante parole per nascondere a noi stessi e agli altri la verità, invece "il vostro parlare: "sì, sì", "no, no". Gesù stesso si è fatto "obbediente fino alla morte", così ha portato a compimento, con il suo amore totale, ogni legge. A ciascuno di noi è data questa grazia, non solo di osservare la legge, ma di viverla nel "compimento" dell'amore. Proviamo a sperimentarlo nelle tante occasioni che la vita quotidiana ci presenta, cominciando dalle relazioni familiari.

    Da questa domenica il vangelo è affidato ai fidanzati: Maria Rizzitiello e Pietro Romanelli, a loro il nostro grazie.

    P. Raffaele Angelo Tosto (tostangelo@yahoo.it)




    PER LA SALVEZZA

    In questo vangelo Gesù presenta alcuni divieti, uniti ad alcuni precetti per la salvezza della nostra vita. "Chiunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel Regno dei Cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel Regno dei Cieli". Il primo precetto è: rispettare ogni fratello nella sua dignità come il non chiamarlo "stupido" o "pazzo".

    Altro invito è a riconciliarsi con il fratello o l'avversario, prima di partecipare all'Eucarestia. Importante è anche non guardare una donna per desiderarla perché costui commette adulterio. Infatti Gesù disse: "Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore". Ultimo e non meno importante è l'invito a non giurare affatto "né per il Cielo perché è il trono di Dio né per la Terra perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme perché è la città del grande Re". La nostra vita è salva se vengono rispettati tali precetti. È questo che deve fare ciascun Cristiano, che crede in Cristo. Non può e non deve andare contro il Vangelo che è Parola di Vita. In conclusione, si deve perdonare, non giudicare e non giurare.

    Maria e Pietro





    IL RANCORE

    Doroteo di Gaza, Instruct. 8, 89-91


    12022017 2Evagrio ha detto: "È cosa estranea ai monaci adirarsi, come pure rattristare qualcuno"; e ancora: "Se uno ha vinto l'ira, costui ha vinto i demoni; se invece è sconfitto da questa passione, del tutto estraneo alla vita monastica", con quel che segue. Che dobbiamo dunque dire di noi stessi, che non ci fermiamo neppure alla collera e all'ira, ma che talvolta ci spingiamo fino al rancore? Che altro, se non piangere questa nostra miserabile e disumana condizione? Vegliamo dunque, fratelli, e veniamo in aiuto a noi stessi, dopo Dio, per esser liberati dall'amarezza di questa rovinosa passione. Talora uno fa una "metania" (ndr prostrazione) al proprio fratello perché tra i due, evidentemente, c'è stato turbamento o attrito, ma anche dopo la "metania" rimane rattristato e con pensieri contro di lui. No, egli non deve considerarli di poca importanza, ma deve tagliarli via al più presto. Si tratta di rancore, e c'è bisogno di molta vigilanza, come ho detto, di penitenza, di lotta per non soffermarsi a lungo in questi pensieri e per non correre pericolo. Infatti, facendo la "metania" per adempiere al precetto, si è, sì, posto rimedio all'ira sul momento, ma non si è ancora lottato contro il rancore; e per questo si è rimasti con risentimento contro il fratello, perché altra cosa è il rancore, altra l'ira, altra la collera e altra il turbamento.

    Vi dico un esempio, perché capiate meglio. Chi accende un fuoco dapprima ha solo un carboncino, che è la parola del fratello che lo ha rattristato; ecco, è appena un carboncino: che è mai la parola del tuo fratello? Se la sopporti, spegni il carbone. Se invece continui a pensare: «Perché me l'ha detto? Posso ben rispondergli! Se non avesse voluto affliggermi, non l'avrebbe detto. Vedrai! Anch'io posso affliggerlo», ecco, hai messo un po' di legnetti o simile materiale, come chi accende il fuoco, e hai fatto fumo, che è il turbamento. Il turbamento è questo sommovimento e scontro di pensieri, che risveglia e rende aggressivo il cuore. Aggressività è l'impulso a rendere il contraccambio a chi ci ha rattristato, che diventa anche audacia, come ha detto l'"abbas" Marco: "La cattiveria intrattenuta nei pensieri rende aggressivo il cuore, mentre allontanata con la preghiera e la speranza lo rende contrito". Se infatti avessi sopportato la piccola parola del tuo fratello, avresti potuto spegnere, come ho detto, anche quel piccolo carboncino, prima che nascesse il turbamento. Ma anche questo, se lo vuoi, puoi spegnerlo facilmente, appena inizia, col silenzio, con la preghiera, con una "metania" fatta di tutto cuore; se invece continui a far fumo irritando ed eccitando il tuo cuore a forza di pensare: «Perché me lo ha detto? Posso ben rispondergli!», per lo scontro stesso, diciamo così e la collisione dei pensieri il cuore si logora e si surriscalda, e allora divampa la collera. La collera è un ribollimento del sangue che si trova intorno al cuore, come dice san Basilio. Ecco, è nata la collera: è quella che chiamiamo irascibilità. Ma se lo vuoi puoi spegnere anch'essa, prima che diventi ira; ma se continui a turbare e a turbarti, ti vieni a trovare come chi ha messo legna al fuoco, e il fuoco divampa sempre più, e così poi viene la brace, che è l'ira.

    Questo è quanto diceva l'"abbas" Zosima, quando gli fu chiesto che cosa vuol dire la sentenza che dice: "Dove non c'è collera, si acquieta la battaglia. All'inizio del turbamento, quando comincia, come abbiamo detto, a far fumo e a mandare qualche scintilla, se subito uno rimprovera se stesso e fa una "metania" prima che si accenda e diventi collera, se ne rimane in pace. Ma dopo che è venuta la collera, se non se ne sta tranquillo, ma continua a turbarsi e ad irritarsi, si viene a trovare, come abbiamo detto, come uno che dà legna al fuoco, e continua a bruciare finché non produce grossa brace. Come dunque i tizzoni di brace diventano carboni e si mettono via e durano per anni interi senza guastarsi e marcire, nemmeno se vi si butta sopra acqua, così anche l'ira, se dura nel tempo, diventa rancore e poi, se non si versa sangue, non si riesce ad allontanarsene. Ecco, vi ho detto la differenza, attenti bene; avete sentito che cos'è il primo turbamento, che cos'è la collera, l'ira, il rancore. Vedete come da una sola parola si arriva ad un male così grande? Se fin da principio si fosse rivolto il rimprovero su sé stessi, se non si fosse voluto giustificarsi e in cambio di una parola sola dirne due o cinque e restituire male per male, si sarebbe potuto sfuggire a tutti questi mali. Per questo vi dico sempre: quando le passioni sono giovani, tagliatele via prima che s'irrobustiscano a vostro discapito e dobbiate poi penare. Una cosa infatti è strappar via una piccola pianta e un'altra sradicare un grande albero.



    strada facendo n 218

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      DOMENICA 5 FEBBRAIO 2017


    «VOI SIETE LA LUCE DEL MONDO... NON SI ACCENDE UNA LAMPADA PER METTERLA SOTTO IL MOGGIO...»Matteo 5,14

    05022017Dal Vangelo secondo Matteo (5,13-16)

    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

    «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.

    Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».




    il parroco

    "Voi siete il sale della terra e la luce del mondo". Così con forza e chiarezza Gesù si rivolge ai suoi discepoli. È un'affermazione certa, con due realtà familiari che non hanno bisogno di ulteriori spiegazioni. L'evangelista Matteo prosegue il discorso della montagna, indicando qual è il compito della comunità: "essere sale, essere luce". Il sale non esiste per sé, ma per dar sapore al cibo, così la luce è per illuminare l'ambiente, se questo non avviene, è chiaro che il sale e luce sono inservibili, da buttare. Il Vangelo ci riporta alla verità della vita: "siamo luce e sale"! Quanta luce e quanta sapienza si sono diffuse nel mondo da giungere fino a noi. Ora siamo noi chiamati a questo compito. Nel tempo perdiamo il "sapore di Cristo", diventiamo insipidi e incapaci di espandere quella luce che tutti abbiamo ricevuto col Battesimo: "Ricevi la luce di Cristo". Le tenebre possono oscurare la luce e, purtroppo, questo avviene spesso e in ogni ambito: personale, ecclesiale, familiare, scolastico, politico, lavorativo...

    Eppure abbiamo dalla nostra parte Gesù che si presenta: "Io sono luce del mondo". Torniamo ad essere più sapienti, quanto basta, per dare sapore e una per illuminare la casa, realizzeremo il sogno di Gesù: "Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli".

    Grazie alla famiglia Paoletti, Felice e Nunzia, per la riflessione sul Vangelo.

    P. Raffaele Angelo Tosto (tostangelo@yahoo.it)




    VOCAZIONE CRISTIANA

    Dopo il discorso della montagna, nel Vangelo di questa domenica, Gesù paragona i suoi discepoli al sale della terra e alla luce del mondo. Noi cristiani nel Battesimo riceviamo una missione: portare Cristo al mondo intero! Usando immagini della vita di ogni giorno, con esempi semplici: sale e luce che non devono mai venir meno alla loro funzione, così l'invito è rivolto a ciascuno di noi. Il sale simbolo di sapienza, nonostante abbia grande proprietà, può essere reso inutile, così può accadere a chiunque si allontana dalla Parola. La luce, Cristo risorto deve essere lampada sempre accesa e bene in vista. È dunque questa la vocazione cristiana per far splendere la luce di Cristo davanti agli uomini che attendono o cercano la salvezza. Testimoniare la nostra fede con la vita e con coraggio nei luoghi in cui viviamo e lavoriamo. È l'impegno a diventare, anche nel nostro piccolo, sale e luce della terra.

    Felice e Nunzia





    STUPORE PER QUANTO DIO COMPIE:

    «GRANDI COSE HA FATTO PER ME L'ONNIPOTENTE...»(LC 1,49)

    Preghiera per la XXV Giornata Mondiale del Malato 2017 (Ispirata a Evangelii Gaudium 286, 288)

    05022017 2Vergine e Madre Maria
    che hai trasformato una grotta per animali
    nella casa di Gesù
    con alcune fasce
    e una montagna di tenerezza,
    a noi, che fiduciosi invochiamo il Tuo nome,
    volgi il tuo sguardo benigno.
    Piccola serva del Padre
    che esulti di gioia nella lode,
    amica sempre attenta perché nella nostra vita
    non venga a mancare il vino della festa,
    donaci lo stupore
    per le grandi cose compiute dall'Onnipotente.
    Madre di tutti che comprendi le nostre pene,
    segno di speranza per quanti soffrono,
    con il tuo materno affetto
    apri il nostro cuore alla fede;
    intercedi per noi la forza di Dio
    e accompagnaci nel cammino della vita.
    Nostra Signora della premura
    partita senza indugio dal tuo villaggio
    per aiutare gli altri con giustizia e tenerezza,
    apri il nostro cuore alla misericordia
    e benedici le mani di quanti toccano
    le carni sofferenti di Cristo.
    Vergine Immacolata
    che a Lourdes hai dato un segno della tua presenza,
    come una vera madre cammina con noi,
    combatti con noi,
    e dona a tutti gli ammalati che fiduciosi ricorrono a te
    di sentire la vicinanza dell'amore di Dio. Amen.


    ufficio nazionale pastorale saluteUfficio Nazionale
    per la pastorale della salute



    "Fratelli e sorelle tutti, malati, operatori sanitari e volontari, eleviamo insieme la nostra preghiera a Maria, affinché la sua materna intercessione sostenga e accompagni la nostra fede e ci ottenga da Cristo suo Figlio la speranza nel cammino della guarigione e della salute, il senso della fraternità e della responsabilità, l'impegno per lo sviluppo umano integrale e la gioia della gratitudine ogni volta che ci stupisce con la sua fedeltà e la sua misericordia.

    O Maria, nostra Madre, che in Cristo accogli ognuno di noi come figlio, sostieni l'attesa fiduciosa del nostro cuore, soccorrici nelle nostre infermità e sofferenze, guidaci verso Cristo tuo figlio e nostro fratello, e aiutaci ad affidarci al Padre che compie grandi cose".

    firma papa


    strada facendo n 217

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      DOMENICA 28 FEBBRAIO 2016


    «UN TALE AVEVA PIANTATO UN ALBERO DI FICHI NELLA SUA VIGNA...»Lc 13,63

    Dal Vangelo secondo Luca (13,1-9)

    albero fichi in vignaIn quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

    Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: "Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest'albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?". Ma quello gli rispose: "Padrone, lascialo ancora quest'anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l'avvenire; se no, lo taglierai"».



    il parroco

    "Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo". Con autorevolezza Gesù si rivolge a chi gli chiede spiegazione su fatti di cronaca del tempo, conclusi nel sangue. Le vicende della vita quotidiana che tante volte finiscono in tragedia, non sono una punizione per i peccatori e devono costituire motivo di conversione. La parola conversione è facile a dirsi, ma quanta fatica richiede per attuarla. Anche perché ci sentiamo relativamente buoni, per cui va bene così. Eventualmente saranno gli altri che si devono convertire! La Quaresima è il tempo "sacramentale" per operare la nostra, perché mette nel cuore una speranza che dà la grazia di guardare la vita nella sua verità, fatta di peccato e di morte. Il Signore stesso che, invita alla conversione, sostiene ogni pensiero, ogni progetto di cambiamento, anche il più debole. E' Lui che usa pazienza dopo tanti anni di attesa, ci crede ancora nonostante le tante delusioni avute. Per questo ci dà un'ulteriore possibilità di farlo. E' la parabola del fico sterile: "Padrone, lascialo ancora quest'anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime...". Ancora un' ultima possibilità! Siamo invitati a prenderla seriamente. Lui diventa il vignaiolo che lavora in noi con pazienza e noi possiamo portare frutti buoni di conversione.

    Ai fidanzati Maria Dargenio e Ferdinando Datteo il nostro grazie per la parola del vangelo.

    P. Raffaele Angelo Tosto(tostangelo@yahoo.it)



    COME QUELL'ALBERO

    Nel Vangelo, Luca si rifà all'espressione "in quel tempo" per indicarci il tempo di Dio in mezzo agli uomini attraverso la presenza di suo Figlio Gesù.

    Gesù vuole far capire agli uomini che si presentano da lui che tutti gli uomini sono peccatori; non ci sono peccati minori o maggiori dinanzi a Dio, ma se essi si convertono alla legge di Dio saranno assolti da qualsiasi peccato perché Dio perdona tutti i suoi figli.

    Con la parabola raccontata nel Vangelo ci vuole far capire che ci vuole pazienza e tanto sacrificio. Bisogna coltivare e curare adeguatamente quell'albero affinché porti frutti e non mollare alla prima difficoltà. Così noi dobbiamo fare con il Signore. Dobbiamo avvicinarci ogni giorno a Lui e non allontanarci al primo ostacolo, quando ci sembrerà che Lui non ci ascolti o non ci consideri, perché il Signore è sempre vicino a noi e insieme riusciremo a far si che il nostro amore per Lui, come quell'albero diventi sempre più ricco.

    Maria e Ferdinando

     

    24 ore

    strada facendo 184

       

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      DOMENICA 21 FEBBRAIO 2016


    PIETRO E I SUOI COMPAGNI... VIDERO LA SUA GLORIA E I DUE UOMINI CHE STAVANO CON LUI.Lc 9,32

    Dal Vangelo secondo Luca(9,28-36)

    pietro vide gloriaIn quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme.

    Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.

    Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva.

    Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All'entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo!».

    Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.



    il parroco

    "Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare". Così l'inizio del vangelo di questa seconda domenica di quaresima per vivere anche l'esperienza bella dei discepoli. Gesù sale sul monte "per pregare e mentre pregava, il sui volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante". Questo è l'effetto dello stare con Gesù, la forza della preghiera cambia il cuore, ci rende "sfolgoranti". Dal deserto alla montagna, dalla prova alla gioia incontenibile, è già un anticipo di pasqua. L'esperienza della salita sul monte ci deve rafforzare nella fede che lo stare con Gesù è sempre bello, come esclama Pietro al suo risveglio. E' vero si richiede la fatica di salire sul monte, la fedeltà nel compiere la sua Parola, di obbedire, di rinunciare alla tentazione al male, di ascoltarlo. Se ci decidiamo a farlo la bellezza riempirà non solo il nostro sguardo, ma tutta la vita, da poter dire con Pietro: "Maestro è bello per noi stare qui". Allora che aspettiamo ad ascoltare la sua Parola, a seguirlo?

    Grazie a Rossella Inchingolo e Carlo Cusman per il vangelo .

    P. Raffaele Angelo Tosto(tostangelo@yahoo.it)



    LA FORZA DI CREDERE

    Pietro, Giovanni e Giacomo seguono Gesù sul monte per pregare con Lui, quindi per seguire Gesù ed affrontare un percorso difficile e faticoso vuol dire che hanno fede in Lui. Ed è proprio sul monte che assistono alla Rivelazione di Dio che dice: "Questo è il Figlio mio, l'eletto, ascoltatelo." Ciò vuol dire che la loro fede è stata ripagata con quella Rivelazione. Nella vita di tutti i giorni, sia nei momenti felici che in quelli difficili dobbiamo trovare la forza di credere nel Signore, solo così potremo avere la Rivelazione di Dio.

    Carlo e Rossella

     



    IL FIGLIO MIO PREDILETTO

    Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa


    figlio mio predilettoIl Signore manifesta la sua gloria alla presenza di molti testimoni e fa risplendere quel corpo, che gli è comune con tutti gli uomini, di tanto splendore, che la sua faccia diventa simile al fulgore del sole e le sue vesti uguagliano il candore della neve.

    Questa trasfigurazione, senza dubbio, mirava soprattutto a rimuovere dall'animo dei discepoli lo scandalo della croce, perché l'umiliazione della Passione, volontariamente accettata, non scuotesse la loro fede, dal momento che era stata rivelata loro la grandezza sublime della dignità nascosta del Cristo.

    Ma, secondo un disegno non meno previdente, egli dava un fondamento solido alla speranza della santa Chiesa, perché tutto il Corpo di Cristo prendesse coscienza di quale trasformazione sarebbe stato soggetto, e perché anche le membra si ripromettessero la partecipazione a quella gloria, che era brillata nel Capo.

    Di questa gloria lo stesso Signore, parlando della maestà della sua seconda venuta, aveva detto: «Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro» (Mt 13, 43). La stessa cosa affermava anche l'apostolo Paolo dicendo: «Io ritengo che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi» (Rm 8, 18). In un altro passo dice ancora: «Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria» (Col 3, 3. 4).

    Ma, per confermare gli apostoli nella fede e per portarli ad una conoscenza perfetta, si ebbe in quel miracolo un altro insegnamento. Infatti Mosè ed Elia, cioè la legge e i profeti, apparvero a parlare con il Signore, perché in quella presenza di cinque persone di adempisse esattamente quanto è detto: «Ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni» (Mt 18, 16).

    Che cosa c'è di più stabile, di più saldo di questa parola, alla cui proclamazione si uniscono in perfetto accordo le voci dell'Antico e del Nuovo Testamento e, con la dottrina evangelica, concorrono i documenti delle antiche testimonianze?

    Le pagine dell'uno e dell'altro Testamento si trovano vicendevolmente concordi, e colui che gli antichi simboli avevano promesso sotto il velo viene rivelato dallo splendore della gloria presente. Perché, come dice san Giovanni: «La Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo» (Gv 1, 17). In lui si sono compiute le promesse delle figure profetiche e ha trovato attuazione il senso dei precetti legali: la sua presenza dimostra vere le profezie e la grazia rende possibile l'osservanza dei comandamenti.

    All'annunzio del Vangelo si rinvigorisca dunque la fede di voi tutti, e nessuno si vergogni della croce di Cristo, per mezzo della quale è stato redento il mondo.

    Nessuno esiti a soffrire per la giustizia, nessuno dubiti di ricevere la ricompensa promessa, perché attraverso la fatica si passa al riposo e attraverso la morte si giunge alla vita. Avendo egli assunto le debolezze della nostra condizione, anche noi, se persevereremo nella confessione e nell'amore di lui, riporteremo la sua stessa vittoria e conseguiremo il premio promesso.

    Quindi, sia per osservare i comandamenti, sia per sopportare le contrarietà, risuoni sempre alle nostre orecchie la voce del Padre, che dice: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo» (Mt 17, 5).



    strada facendo 183

       

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      DOMENICA 14 FEBBRAIO 2016


    MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO PER LA QUARESIMA 2016

    "Misericordia io voglio e non sacrifici" (Mt 9,13).
    Le opere di misericordia nel cammino giubilare

    1. Maria, icona di una Chiesa che evangelizza perché evangelizzata

    ceneri 1Nella Bolla d'indizione del Giubileo ho rivolto l'invito affinché «la Quaresima di quest'anno giubilare sia vissuta più intensamente come momento forte per celebrare e sperimentare la misericordia di Dio» (M. V.= Misericordiae Vultus, 17). Con il richiamo all'ascolto della Parola di Dio ed all'iniziativa «24 ore per il Signore» ho voluto sottolineare il primato dell'ascolto orante della Parola, in specie quella profetica. La misericordia di Dio è infatti un annuncio al mondo: ma di tale annuncio ogni cristiano è chiamato a fare esperienza in prima persona. E' per questo che nel tempo della Quaresima invierò i Missionari della Misericordia perché siano per tutti un segno concreto della vicinanza e del perdono di Dio.

    Per aver accolto la Buona Notizia a lei rivolta dall'arcangelo Gabriele, Maria, nel Magnificat, canta profeticamente la misericordia con cui Dio l'ha prescelta. La Vergine di Nazaret, promessa sposa di Giuseppe, diventa così l'icona perfetta della Chiesa che evangelizza perché è stata ed è continuamente evangelizzata per opera dello Spirito Santo, che ha fecondato il suo grembo verginale. Nella tradizione profetica, la misericordia ha infatti strettamente a che fare, già a livello etimologico, proprio con le viscere materne (rahamim) e anche con una bontà generosa, fedele e compassionevole (hesed), che si esercita all'interno delle relazioni coniugali e parentali.

     

    2. L'alleanza di Dio con gli uomini: una storia di misericordia

    ceneri 2Il mistero della misericordia divina si svela nel corso della storia dell'alleanza tra Dio e il suo popolo Israele. Dio, infatti, si mostra sempre ricco di misericordia, pronto in ogni circostanza a riversare sul suo popolo una tenerezza e una compassione viscerali, soprattutto nei momenti più drammatici quando l'infedeltà spezza il legame del Patto e l'alleanza richiede di essere ratificata in modo più stabile nella giustizia e nella verità. Siamo qui di fronte ad un vero e proprio dramma d'amore, nel quale Dio gioca il ruolo di padre e di marito tradito, mentre Israele gioca quello di figlio/figlia e di sposa infedeli. Sono proprio le immagini familiari – come nel caso di Osea (cfr Os 1-2) – ad esprimere fino a che punto Dio voglia legarsi al suo popolo.

    Questo dramma d'amore raggiunge il suo vertice nel Figlio fatto uomo. In Lui Dio riversa la sua misericordia senza limiti fino al punto da farne la «Misericordia incarnata» (M. V., 8). In quanto uomo, Gesù di Nazaret è infatti figlio di Israele a tutti gli effetti. E lo è al punto da incarnare quel perfetto ascolto di Dio richiesto ad ogni ebreo dallo Shemà, ancora oggi cuore dell'alleanza di Dio con Israele: «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze» (Dt 6,4-5). Il Figlio di Dio è lo Sposo che fa di tutto per guadagnare l'amore della sua Sposa, alla quale lo lega il suo amore incondizionato che diventa visibile nelle nozze eterne con lei.

    Questo è il cuore pulsante del kerygma apostolico, nel quale la misericordia divina ha un posto centrale e fondamentale. Esso è «la bellezza dell'amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto» (Evangelii gaudium, 36), quel primo annuncio che «si deve sempre tornare ad ascoltare in modi diversi e che si deve sempre tornare ad annunciare durante la catechesi» (ibid., 164). La Misericordia allora «esprime il comportamento di Dio verso il peccatore, offrendogli un'ulteriore possibilità per ravvedersi, convertirsi e credere» (M. V., 21), ristabilendo proprio così la relazione con Lui. E in Gesù crocifisso Dio arriva fino a voler raggiungere il peccatore nella sua più estrema lontananza, proprio là dove egli si è perduto ed allontanato da Lui. E questo lo fa nella speranza di poter così finalmente intenerire il cuore indurito della sua Sposa.

     

    3. Le opere di misericordia

    La misericordia di Dio trasforma il cuore dell'uomo e gli fa sperimentare un amore fedele e così lo rende a sua volta capace di misericordia. È un miracolo sempre nuovo che la misericordia divina si possa irradiare nella vita di ciascuno di noi, motivandoci all'amore del prossimo e animando quelle che la tradizione della Chiesa chiama le opere di misericordia corporale e spirituale. Esse ci ricordano che la nostra fede si traduce in atti concreti e quotidiani, destinati ad aiutare il nostro prossimo nel corpo e nello spirito e sui quali saremo giudicati: nutrirlo, visitarlo, confortarlo, educarlo. Perciò ho auspicato «che il popolo cristiano rifletta durante il Giubileo sulle opere di misericordia corporali e spirituali. Sarà un modo per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina» (ibid., 15). Nel povero, infatti, la carne di Cristo «diventa di nuovo visibile come corpo martoriato, piagato, flagellato, denutrito, in fuga... per essere da noi riconosciuto, toccato e assistito con cura» (ibid.). Inaudito e scandaloso mistero del prolungarsi nella storia della sofferenza dell'Agnello Innocente, roveto ardente di amore gratuito davanti al quale ci si può come Mosè solo togliere i sandali (cfr Es 3,5); ancor più quando il povero è il fratello o la sorella in Cristo che soffrono a causa della loro fede.

    ritaglio ceneriDavanti a questo amore forte come la morte (cfr Ct 8,6), il povero più misero si rivela essere colui che non accetta di riconoscersi tale. Crede di essere ricco, ma è in realtà il più povero tra i poveri. Egli è tale perché schiavo del peccato, che lo spinge ad utilizzare ricchezza e potere non per servire Dio e gli altri, ma per soffocare in sé la profonda consapevolezza di essere anch'egli null'altro che un povero mendicante. E tanto maggiore è il potere e la ricchezza a sua disposizione, tanto maggiore può diventare quest'accecamento menzognero. Esso arriva al punto da neppure voler vedere il povero Lazzaro che mendica alla porta della sua casa (cfr Lc 16,20-21), il quale è figura del Cristo che nei poveri mendica la nostra conversione. Lazzaro è la possibilità di conversione che Dio ci offre e che forse non vediamo. E quest'accecamento si accompagna ad un superbo delirio di onnipotenza, in cui risuona sinistramente quel demoniaco «sarete come Dio» (Gen 3,5) che è la radice di ogni peccato. Tale delirio può assumere anche forme sociali e politiche, come hanno mostrato i totalitarismi del XX secolo, e come mostrano oggi le ideologie del pensiero unico e della tecnoscienza, che pretendono di rendere Dio irrilevante e di ridurre l'uomo a massa da strumentalizzare. E possono attualmente mostrarlo anche le strutture di peccato collegate ad un modello di falso sviluppo fondato sull'idolatria del denaro, che rende indifferenti al destino dei poveri le persone e le società più ricche, che chiudono loro le porte, rifiutandosi persino di vederli.

    Per tutti, la Quaresima di questo Anno Giubilare è dunque un tempo favorevole per poter finalmente uscire dalla propria alienazione esistenziale grazie all'ascolto della Parola e alle opere di misericordia. Se mediante quelle corporali tocchiamo la carne del Cristo nei fratelli e sorelle bisognosi di essere nutriti, vestiti, alloggiati, visitati, quelle spirituali – consigliare, insegnare, perdonare, ammonire, pregare – toccano più direttamente il nostro essere peccatori. Le opere corporali e quelle spirituali non vanno perciò mai separate. È infatti proprio toccando nel misero la carne di Gesù crocifisso che il peccatore può ricevere in dono la consapevolezza di essere egli stesso un povero mendicante. Attraverso questa strada anche i "superbi", i "potenti" e i "ricchi" di cui parla il Magnificat hanno la possibilità di accorgersi di essere immeritatamente amati dal Crocifisso, morto e risorto anche per loro. Solo in questo amore c'è la risposta a quella sete di felicità e di amore infiniti che l'uomo si illude di poter colmare mediante gli idoli del sapere, del potere e del possedere. Ma resta sempre il pericolo che, a causa di una sempre più ermetica chiusura a Cristo, che nel povero continua a bussare alla porta del loro cuore, i superbi, i ricchi ed i potenti finiscano per condannarsi da sé a sprofondare in quell'eterno abisso di solitudine che è l'inferno. Ecco perciò nuovamente risuonare per loro, come per tutti noi, le accorate parole di Abramo: «Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro» (Lc 16,29). Quest'ascolto operoso ci preparerà nel modo migliore a festeggiare la definitiva vittoria sul peccato e sulla morte dello Sposo ormai risorto, che desidera purificare la sua promessa Sposa, nell'attesa della sua venuta.

    Non perdiamo questo tempo di Quaresima favorevole alla conversione! Lo chiediamo per l'intercessione materna della Vergine Maria, che per prima, di fronte alla grandezza della misericordia divina a lei donata gratuitamente, ha riconosciuto la propria piccolezza (cfr Lc 1,48), riconoscendosi come l'umile serva del Signore (cfr Lc 1,38).

     

    Dal Vaticano, 4 ottobre 2015

    Festa di San Francesco d'Assisi


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     181 ceneri2016



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      DOMENICA 14 FEBBRAIO 2016


    IL DIAVOLO LO CONDUSSE SUL PUNTO PIÙ ALTO DEL TEMPIO E GLI DISSE: «SE TU SEI FIGLIO DI DIO, GÈTTATI GIÙ DA QUI» Lc 4,9

    lo condusse sul monteDal Vangelo secondo Luca (4,1-13)

    In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di' a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: "Non di solo pane vivrà l'uomo"».

    Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: "Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto"».

    Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: "Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano"; e anche: "Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra"». Gesù gli rispose: «È stato detto: "Non metterai alla prova il Signore Dio tuo"».

    Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.




    il parroco

    Con le ceneri sul capo abbiamo iniziato il cammino quaresimale. Ogni cammino ha un punto di partenza e una meta di arrivo. La Quaresima: dalle Ceneri alla Pasqua! Lasciamoci guidare anche noi come Gesù dalla Parola, mettendo il nostro impegno per convertirci dal peccato alla grazia.

    Ai fidanzati Marika Teresa Olivieri e Armando Carbone il nostro grazie per il vangelo.

    P. Raffaele Angelo Tosto(tostangelo@yahoo.it)



    p padre


    IL SENSO DELLA QUARESIMA

    La prima domenica di Quaresima ci porta nel deserto con Gesù, dove viene rivelata l'autenticità dell'umanità di Cristo, che, in completa solidarietà con l'uomo, subisce tutte le tentazioni tramite le quali il Nemico cerca di distoglierlo dal riconoscere di avere un solo unico Signore della propria vita.

    Le tre tentazioni di Gesù sono paradigmatiche di tutta l'esistenza umana. È come se la vita dell'uomo fosse racchiusa in tre grandi momenti.

    La prima tentazione è verso il corpo e fa forza sulle necessità primarie.

    Oggi le moderne società hanno rovinato l'uomo, perché lo hanno convinto a saziarsi unicamente dei beni materiali inducendolo a ritenere che non esista, in ognuno di noi, una dimensione spirituale che di questi beni non ha bisogno.

    Resistere alla prima tentazione significa saper cercare e trovare nella nostra vita ciò che vale davvero, in modo da riscoprirlo.

    La seconda tentazione punta sulla stima che abbiamo di noi stessi, e di ciò che siamo stati capaci di possedere. In buona sostanza, sui nostri idoli.

    Usare i beni di questo mondo per asservire gli uomini al proprio pensiero, al proprio potere è la piaga che distrugge l'uomo, è il motivo della nostra infelicità. Riconoscere che l'uomo ha un solo Signore e questi è l'unico suo Dio è il solo modo per riscoprire, come si diceva prima, ciò che davvero è importante.

    La terza tentazione è quella di dubitare dell'esistenza di Dio. E' la tentazione di chi, trovando nella propria vita uno scoglio insormontabile, sfida Dio affinché gli tolga il "peso" e gli dimostri che davvero Egli si prende cura di noi.

    Siamo tutti tentati di farlo. Questo perché non capiamo che magari quello scoglio ci è stato posto innanzi per educarci, per correggerci, per evitare che divenissimo Dio di noi stessi.

    Il modo per battere le tentazioni sta nel riconoscere che quel che abbiamo viene da Lui e ringraziarlo ogni giorno per questo, confidando sempre nel suo aiuto, alimentando la nostra fede attraverso la preghiera e la Parola.

    Cristo ci apre a un cammino, a un itinerario di conversione per ogni essere umano, e questo è, in fondo, il senso della Quaresima: prepararci alla conversione in attesa della resurrezione

    Marika e Armando

     



    IN VISTA DELLA PUREZZA DI CUORE

    Giovanni Cassiano (Conferenze 1/7)

    purezza di cuoreTutto dobbiamo fare e cercare in vista della purezza del cuore. Per essa bisogna cercare la solitudine, per essa sappiamo di dover affrontare digiuni, veglie, fatiche, nudità, di doverci dedicare alla lettura [delle Scritture] e alla pratica delle altre virtù con l'unico intento, attraverso di esse, di predisporre il nostro cuore, di mantenerlo indenne dalle passioni nocive e di ascendere salendo questi gradini fino alla perfezione della carità. E se, a motivo di qualche occupazione lecita e indispensabile, non abbiamo potuto osservare il proposito che ci eravamo fissati, non cediamo alla tristezza, alla collera o all'indignazione per amore di queste osservanze, poiché ciò che si è tralasciato l'avremmo fatto proprio per vincere queste passioni. Il guadagno che viene dal digiuno, infatti, non compensa la perdita che viene dall'ira e il profitto che si trae dalla lettura non uguaglia il danno che comporta l'aver disprezzato il fratello. È bene, dunque, praticare le cose secondarie, cioè i digiuni, le veglie, il ritiro in disparte, la meditazione delle Scritture a motivo dello scopo primario, cioè la purezza di cuore, che è la carità, e non danneggiare, a motivo di quelle cose secondarie, questa virtù principale; se essa permane in noi integra e illesa, nulla viene meno, anche se si è costretti a tralasciare qualcosa di quanto è secondario. E non ci gioverà l'aver adempiuto ogni cosa se ci lasceremo rapire la cosa principale in vista della quale tutto deve essere compiuto.
    Chi si affretta a procurarsi e a preparare gli strumenti del proprio mestiere, non lo fa soltanto per averli senza utilizzarli o perché spera di ricavarne un guadagno dal loro semplice possesso, ma nell'intento di imparare efficacemente il suo lavoro per mezzo loro e di realizzare lo scopo di quell'arte a cui essi prestano servizio. Pertanto, digiuni, veglie, meditazione delle Scritture, nudità, privazione di ogni ricchezza non costituiscono la perfezione, ma sono strumenti della perfezione, poiché non sono il fine dell'arte, ma attraverso di essi si raggiunge il fine.


    strada facendo 182

       

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      SACRE CENERI - MERCOLEDI' 10 FEBBRAIO 2016


    MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO PER LA QUARESIMA 2016

    "Misericordia io voglio e non sacrifici" (Mt 9,13).
    Le opere di misericordia nel cammino giubilare

    1. Maria, icona di una Chiesa che evangelizza perché evangelizzata

    ceneri 1Nella Bolla d'indizione del Giubileo ho rivolto l'invito affinché «la Quaresima di quest'anno giubilare sia vissuta più intensamente come momento forte per celebrare e sperimentare la misericordia di Dio» (M. V.= Misericordiae Vultus, 17). Con il richiamo all'ascolto della Parola di Dio ed all'iniziativa «24 ore per il Signore» ho voluto sottolineare il primato dell'ascolto orante della Parola, in specie quella profetica. La misericordia di Dio è infatti un annuncio al mondo: ma di tale annuncio ogni cristiano è chiamato a fare esperienza in prima persona. E' per questo che nel tempo della Quaresima invierò i Missionari della Misericordia perché siano per tutti un segno concreto della vicinanza e del perdono di Dio.

    Per aver accolto la Buona Notizia a lei rivolta dall'arcangelo Gabriele, Maria, nel Magnificat, canta profeticamente la misericordia con cui Dio l'ha prescelta. La Vergine di Nazaret, promessa sposa di Giuseppe, diventa così l'icona perfetta della Chiesa che evangelizza perché è stata ed è continuamente evangelizzata per opera dello Spirito Santo, che ha fecondato il suo grembo verginale. Nella tradizione profetica, la misericordia ha infatti strettamente a che fare, già a livello etimologico, proprio con le viscere materne (rahamim) e anche con una bontà generosa, fedele e compassionevole (hesed), che si esercita all'interno delle relazioni coniugali e parentali.

     

    2. L'alleanza di Dio con gli uomini: una storia di misericordia

    ceneri 2Il mistero della misericordia divina si svela nel corso della storia dell'alleanza tra Dio e il suo popolo Israele. Dio, infatti, si mostra sempre ricco di misericordia, pronto in ogni circostanza a riversare sul suo popolo una tenerezza e una compassione viscerali, soprattutto nei momenti più drammatici quando l'infedeltà spezza il legame del Patto e l'alleanza richiede di essere ratificata in modo più stabile nella giustizia e nella verità. Siamo qui di fronte ad un vero e proprio dramma d'amore, nel quale Dio gioca il ruolo di padre e di marito tradito, mentre Israele gioca quello di figlio/figlia e di sposa infedeli. Sono proprio le immagini familiari – come nel caso di Osea (cfr Os 1-2) – ad esprimere fino a che punto Dio voglia legarsi al suo popolo.

    Questo dramma d'amore raggiunge il suo vertice nel Figlio fatto uomo. In Lui Dio riversa la sua misericordia senza limiti fino al punto da farne la «Misericordia incarnata» (M. V., 8). In quanto uomo, Gesù di Nazaret è infatti figlio di Israele a tutti gli effetti. E lo è al punto da incarnare quel perfetto ascolto di Dio richiesto ad ogni ebreo dallo Shemà, ancora oggi cuore dell'alleanza di Dio con Israele: «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze» (Dt 6,4-5). Il Figlio di Dio è lo Sposo che fa di tutto per guadagnare l'amore della sua Sposa, alla quale lo lega il suo amore incondizionato che diventa visibile nelle nozze eterne con lei.

    Questo è il cuore pulsante del kerygma apostolico, nel quale la misericordia divina ha un posto centrale e fondamentale. Esso è «la bellezza dell'amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto» (Evangelii gaudium, 36), quel primo annuncio che «si deve sempre tornare ad ascoltare in modi diversi e che si deve sempre tornare ad annunciare durante la catechesi» (ibid., 164). La Misericordia allora «esprime il comportamento di Dio verso il peccatore, offrendogli un'ulteriore possibilità per ravvedersi, convertirsi e credere» (M. V., 21), ristabilendo proprio così la relazione con Lui. E in Gesù crocifisso Dio arriva fino a voler raggiungere il peccatore nella sua più estrema lontananza, proprio là dove egli si è perduto ed allontanato da Lui. E questo lo fa nella speranza di poter così finalmente intenerire il cuore indurito della sua Sposa.

     

    3. Le opere di misericordia

    La misericordia di Dio trasforma il cuore dell'uomo e gli fa sperimentare un amore fedele e così lo rende a sua volta capace di misericordia. È un miracolo sempre nuovo che la misericordia divina si possa irradiare nella vita di ciascuno di noi, motivandoci all'amore del prossimo e animando quelle che la tradizione della Chiesa chiama le opere di misericordia corporale e spirituale. Esse ci ricordano che la nostra fede si traduce in atti concreti e quotidiani, destinati ad aiutare il nostro prossimo nel corpo e nello spirito e sui quali saremo giudicati: nutrirlo, visitarlo, confortarlo, educarlo. Perciò ho auspicato «che il popolo cristiano rifletta durante il Giubileo sulle opere di misericordia corporali e spirituali. Sarà un modo per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina» (ibid., 15). Nel povero, infatti, la carne di Cristo «diventa di nuovo visibile come corpo martoriato, piagato, flagellato, denutrito, in fuga... per essere da noi riconosciuto, toccato e assistito con cura» (ibid.). Inaudito e scandaloso mistero del prolungarsi nella storia della sofferenza dell'Agnello Innocente, roveto ardente di amore gratuito davanti al quale ci si può come Mosè solo togliere i sandali (cfr Es 3,5); ancor più quando il povero è il fratello o la sorella in Cristo che soffrono a causa della loro fede.

    ritaglio ceneriDavanti a questo amore forte come la morte (cfr Ct 8,6), il povero più misero si rivela essere colui che non accetta di riconoscersi tale. Crede di essere ricco, ma è in realtà il più povero tra i poveri. Egli è tale perché schiavo del peccato, che lo spinge ad utilizzare ricchezza e potere non per servire Dio e gli altri, ma per soffocare in sé la profonda consapevolezza di essere anch'egli null'altro che un povero mendicante. E tanto maggiore è il potere e la ricchezza a sua disposizione, tanto maggiore può diventare quest'accecamento menzognero. Esso arriva al punto da neppure voler vedere il povero Lazzaro che mendica alla porta della sua casa (cfr Lc 16,20-21), il quale è figura del Cristo che nei poveri mendica la nostra conversione. Lazzaro è la possibilità di conversione che Dio ci offre e che forse non vediamo. E quest'accecamento si accompagna ad un superbo delirio di onnipotenza, in cui risuona sinistramente quel demoniaco «sarete come Dio» (Gen 3,5) che è la radice di ogni peccato. Tale delirio può assumere anche forme sociali e politiche, come hanno mostrato i totalitarismi del XX secolo, e come mostrano oggi le ideologie del pensiero unico e della tecnoscienza, che pretendono di rendere Dio irrilevante e di ridurre l'uomo a massa da strumentalizzare. E possono attualmente mostrarlo anche le strutture di peccato collegate ad un modello di falso sviluppo fondato sull'idolatria del denaro, che rende indifferenti al destino dei poveri le persone e le società più ricche, che chiudono loro le porte, rifiutandosi persino di vederli.

    Per tutti, la Quaresima di questo Anno Giubilare è dunque un tempo favorevole per poter finalmente uscire dalla propria alienazione esistenziale grazie all'ascolto della Parola e alle opere di misericordia. Se mediante quelle corporali tocchiamo la carne del Cristo nei fratelli e sorelle bisognosi di essere nutriti, vestiti, alloggiati, visitati, quelle spirituali – consigliare, insegnare, perdonare, ammonire, pregare – toccano più direttamente il nostro essere peccatori. Le opere corporali e quelle spirituali non vanno perciò mai separate. È infatti proprio toccando nel misero la carne di Gesù crocifisso che il peccatore può ricevere in dono la consapevolezza di essere egli stesso un povero mendicante. Attraverso questa strada anche i "superbi", i "potenti" e i "ricchi" di cui parla il Magnificat hanno la possibilità di accorgersi di essere immeritatamente amati dal Crocifisso, morto e risorto anche per loro. Solo in questo amore c'è la risposta a quella sete di felicità e di amore infiniti che l'uomo si illude di poter colmare mediante gli idoli del sapere, del potere e del possedere. Ma resta sempre il pericolo che, a causa di una sempre più ermetica chiusura a Cristo, che nel povero continua a bussare alla porta del loro cuore, i superbi, i ricchi ed i potenti finiscano per condannarsi da sé a sprofondare in quell'eterno abisso di solitudine che è l'inferno. Ecco perciò nuovamente risuonare per loro, come per tutti noi, le accorate parole di Abramo: «Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro» (Lc 16,29). Quest'ascolto operoso ci preparerà nel modo migliore a festeggiare la definitiva vittoria sul peccato e sulla morte dello Sposo ormai risorto, che desidera purificare la sua promessa Sposa, nell'attesa della sua venuta.

    Non perdiamo questo tempo di Quaresima favorevole alla conversione! Lo chiediamo per l'intercessione materna della Vergine Maria, che per prima, di fronte alla grandezza della misericordia divina a lei donata gratuitamente, ha riconosciuto la propria piccolezza (cfr Lc 1,48), riconoscendosi come l'umile serva del Signore (cfr Lc 1,38).

     

    Dal Vaticano, 4 ottobre 2015

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      DOMENICA 7 FEBBRAIO 2016


    «MAESTRO, ABBIAMO FATICATO TUTTA LA NOTTE E NON ABBIAMO PRESO NULLA...» Lc 5,5


    abbiamo faticato tutta la notteDal Vangelo secondo Luca
    (5,1-11)

    In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.

    Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell'altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.

    Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini».




    il parroco

    Siamo sulla riva del lago di Gennasaret con i pescatori stanchi e delusi per una pesca andata a vuoto. Gesù sale sulla barca di Pietro e li invita a prendere il largo per gettare le reti. "Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti". Così, anche a noi, il Signore rivolge l'invito a prendere il largo per vincere ogni delusione di sconfitta, abbandonandoci con fede alla sua parola, per diventare discepoli e pescatori.

    Siamo grati ai fidanzati Rosa Laura Vania e Biagio Stella per il vangelo.

    P. Raffaele Angelo Tosto(tostangelo@yahoo.it)




    CONFIDARE IN GESU'

    È ormai giorno e i pescatori stanchi per il lavoro notturno, senza successo, accostano le loro barche alla sponda del lago. Gesù, che nel frattempo era circondato dalla folla che voleva ascoltarlo, li vede, sale sulla barca di Simone e gli dice: "Prendi il largo e gettate le vostre reti". Hanno pescato tutta la notte senza prendere niente, sono stremati e sfiduciati, eppure Gesù chiede loro di prendere nuovamente il largo di giorno e di gettare nuovamente le reti. Simone getta le reti e si fida di Gesù! Ed ecco che le barche si riempiono talmente di pesce quasi da affondare. Tutti dovremmo confidare in Gesù e affidarci a Lui proprio come Simone, senza esitare neppure un attimo...solo così l'impossibile può diventare possibile.

    Siamo chiamati a credere contro ogni nostra logica umana, contro lo scoraggiamento e la rassegnazione che regnano spesso nelle nostre vite. Quante volte abbiamo pensato dentro di noi, come Simone: "Ho dato tutto ciò che potevo, ho fatto il possibile, non ce la posso fare, sono stanco di investire tempo ed energie senza vedere alcun risultato". Ci fermiamo, facciamo un passo indietro, siamo scoraggiati e presi dalla sensazione di aver sprecato il tempo inutilmente. Eppure Gesù ci chiede di fidarci di Lui, abbandonandoci con sicurezza e fiducia, mettendo la nostra vita nelle sue mani perché tutto ciò che potremmo vivere con lui è qualcosa di veramente straordinario e indescrivibile. Questo vangelo di oggi a noi che ci apprestiamo a formare una famiglia ci da conforto e coraggio...certi che se avremo lui nella nostra vita tutto sarà più bello e anche le difficoltà potranno essere superate con gioia.

    Rosa Laura e Biagio

     



    AFFIDARSI A GESU' MISERICORDIOSO COME MARIA:

    «QUALSIASI COSA VI DICA, FATELA»(Gv 2,5)

    Preghiera per la XXIV Giornata Mondiale del Malato 2016 (Ispirata al Messaggio di Papa Francesco)

    qualsiasi cosaO Maria, Madre di Misericordia
    nel tuo seno il Verbo di Dio si è fatto carne:
    dona a noi tuoi figli di accogliere Gesù
    e con fiducia affidarci a Lui, Parola di Vita.
    Vergine Consolata e Consolatrice
    nella tua sollecitudine per l'umanità
    rispecchi la tenerezza di Dio:
    insegnaci a consolare chi soffre
    con la consolazione che viene da Lui.
    Madre di Dio e Madre nostra
    intercedi per noi misericordia e compassione
    per essere mani, braccia e cuori
    che aiutano Dio
    a compiere i suoi prodigi, spesso nascosti.
    Madre della Vita
    come l'acqua delle nozze di Cana
    è stata trasformata in vino buono,
    così lo Spirito del tuo Figlio
    trasformi ogni sforzo umano
    a servizio dei fratelli in qualcosa di divino.
    Maria, Salute degli Infermi
    al tuo cuore di Madre affidiamo la nostra vita:
    illuminati dalla fede,
    possiamo sentire la vicinanza di Cristo
    che cammina al nostro fianco, caricato della croce,
    e ci aiuta a svelare il senso delle nostre sofferenze.
    Amen



    "Penso, inoltre, a quanti per diversi motivi saranno impossibilitati a recarsi alla Porta Santa, in primo luogo gli ammalati e le persone anziane e sole, spesso in condizione di non poter uscire di casa. Per loro sarà di grande aiuto vivere la malattia e la sofferenza come esperienza di vicinanza al Signore che nel mistero della sua passione, morte e risurrezione indica la via maestra per dare senso al dolore e alla solitudine. Vivere con fede e gioiosa speranza questo momento di prova, ricevendo la comunione o partecipando alla santa Messa e alla preghiera comunitaria, anche attraverso i vari mezzi di comunicazione, sarà per loro il modo di ottenere l'indulgenza giubilare."
    firma papa

      


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    GESU' PRESE CON SE PIETRO, GIACOMO E GIOVANNI E LI CONDUSSE SU UN ALTO MONTE... Mc 9,2

    Dal Vangelo secondo Marco (9,2-10)

    gesu su alto monteIn quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli.

    Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.

    Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.



    il parroco

    Dal deserto alla scalata di un alto monte è l'itinerario di questa seconda domenica di Quaresima. Allora anche noi, in cordata con Pietro, Giacomo e Giovanni, seguiamo Gesù. Poco prima, Gesù aveva rivelato la sua passione e morte, lasciando nella tristezza, nello sconforto gli animi dei discepoli che attendevano un Messia glorioso, certamente non debole e tantomeno crocifisso, svanivano, così, tutti i loro progetti di ambizione e di gloria. La salita sul monte doveva servire, non tanto per una bella passeggiata, per ammirare in una visione panoramica il paesaggio, ma per qualcosa di molto più bello. " Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime". Se è stata scioccante la notizia della croce, ora non credono ai loro occhi, è così accattivante da esclamare: " Rabbì, è bello per noi essere qui". Gesù offre un anticipo di quello che avverrà alla sua morte, ora è tempo di silenzio, di ascolto, di impegno, di sequela fino alla croce. Nella trasfigurazione alla bellezza si unisce la voce dall'alto, dalla nube, quella del Padre: "Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!". Stiamo facendo i primi passi della Quaresima, sta crescendo l'ascolto della Parola? La trasfigurazione della mia vita avverrà solo se mi apro all'ascolto della Parola. Nel Vangelo troverò la luce che disperde le tenebre e rende il cuore, il volto, luminosi e belli. È la testimonianza di chi in questi giorni si mette in ascolto del Vangelo nelle famiglie, gustando bontà, bellezza e gioia mai sperimentati. Ritroviamo il desiderio di prendere in mano il Vangelo, portiamoci nelle case dove la Parola è annunciata e condivisa, è questo il primo passo per metterci dietro a Gesù. Facciamolo con gioia

    P. Raffaele Angelo Tosto(tostangelo@yahoo.it)




    ANNUNCIARE IL VANGELO DI GESÙ /2

    Riflessioni del Consiglio Pastorale Parrocchiale sul 2° capitolo di Incontriamo Gesù

    annunciare vangelo di gesu 2Dove e quando proporre l'annuncio? Il nostro testo ci indica anzitutto i momenti forti attraverso i quali tutti gli uomini e le donne passano: la nascita, l'iniziazione degli adolescenti e dei giovani alla vita, la scelta vocazionale al matrimonio, al sacerdozio o alla vita consacrata, la professione e la fedeltà nella vita adulta, la fragilità, la disabilità e la malattia, le gioie e i lutti, la morte. Per esempio: nel momento in cui un bambino viene al mondo, si realizzano due nascite, cioè della creatura e dei genitori che diventano tali perché hanno generato quel bambino. Anche il Padre che è nei cieli è Padre perché ha generato Gesù, e in Gesù ognuno di noi. In questo modo siamo rinviati alla radice più profonda dell'essere figlio/a e genitore. A volte incontriamo gente insoddisfatta della propria vita. È il momento di farsi vicini e proporre un viaggio, invece che un vagabondare. Un viaggio che può diventare pellegrinaggio, quando si arriva comprendere che i nostri passi sono rivolti verso un Padre che nostalgicamente ci attende. Anche la scoperta dell'amicizia adolescenziale e dell'amore che inizia a sbocciare è "luogo" di annuncio, perché si possa capire che questi rapporti sono fondamentalmente segnati dalla gratuità del dono di sé all'altro nella reciprocità. Talvolta è una situazione di solitudine che ci fa scoprire il desiderio profondo di una relazione amicale vera. Come vero e gratuito è l'amore del Padre celeste che si dona a noi attraverso Gesù e lo Spirito Santo. Un volto bello e uno spettacolo della natura ci affascinano, ci incantano. Purtroppo quante volte quel volto e quello spettacolo vengono sfigurati. In questi momenti abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti a incontrare Gesù, perché restauri il volto dell'uomo e della natura attraverso le stesse nostre azioni responsabili. Con la malattia si abbina la morte per indicarci un limite inevitabile, ma che può essere affrontato con Gesù che è morto, ma è risorto a nuova vita; è Lui che ha promesso che "chi vive e crede in me, non morirà per sempre".

    La presenza della Vergine Maria nella vita degli annunciatori è un rimedio alla nostra fragilità. Perché lei ha sperimentato per prima quell'intervento di Dio, che ha sconvolto la vita del mondo. Gesù l'ha voluta Madre di tutti i credenti, perché si prenda cura dei suoi figli nell'insegnarci come accogliere l'annuncio fatto da Dio a noi, e come trasmetterlo agli altri per farli nostri fratelli.

    Il documento, infine, ci suggerisce alcune proposte pastorali: la valutazione della pietà popolare e il pellegrinaggio, la valorizzazione del patrimonio artistico ecclesiale, con le innumerevoli opere d'arte che ci si presentano come un grande veicolo di annuncio e approfondimento della dottrina cristiana. Basta guardare, a mo' di esempio, le vetrate piccole e grandi della nostra chiesa parrocchiale. Inoltre c'è l'invito a partecipare al Progetto culturale orientato in senso cristiano. Infine si possono avviare gruppi di ascolto del Vangelo nelle case e gruppi di discernimento per vedere come intervenire nelle situazioni di vita del nostro territorio, perché le opere di carità hanno un valore evangelizzante.


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    LO SPIRITO SOSPINSE GESU' NEL DESERTO Mc 1,12


    gesu nel desertoDal Vangelo secondo Marco
    (1,12-15)

    In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.

    Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».



    il parroco

    Siamo stati in tanti nel giorno delle Ceneri ad iniziare la santa Quaresima. Commovente la presenza di tante mamme con i bambini in braccio per dare anche a loro le Ceneri. In questo, mi piace leggere, non solo una bella e sentita tradizione, ma qualcosa di più profondo nel cuore di ciascuno: ritrovare la via per incontrare il Signore, una voglia segreta che forse, non riusciamo neanche ad esprimere in parole: tornare a Dio, convertirci. La partecipazione ecclesiale, nella sua diversità, attenta, devota ha reso solenne la liturgia, mettendo i presupposti per vivere con impegni questo di grazia. Partiamo dal deserto dove "lo Spirito sospinse Gesù e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana". Quale è la meta della Quaresima? E' la Pasqua, la vita nuova. Per raggiungerla non è facile, si richiede la conversione. C'è un nemico che viene a tentarci, proponendoci la via più facile, distogliendo la mentre e il cuore da ogni proposito. Gesù ha subito la stessa sorte e con la forza della Parola ha lottato e vinto. Da soli è impossibile, l'abbiamo sperimentato tante volte, dobbiamo allearci con Lui, riscoprire la grazia del Vangelo, conoscere la reale situazione di peccatori e da qui con la preghiera umile e fiduciosa lottare contro Satana. " Convertitevi e credete al Vangelo" così nel ricevere le Ceneri, ora è tempo di renderle vita.

    E' questo l'augurio e l'impegno della Quaresima.

    P. Raffaele Angelo Tosto(tostangelo@yahoo.it)




    ANNUNCIARE IL VANGELO DI GESÙ /1

    Riflessioni del Consiglio Pastorale Parrocchiale sul 2° capitolo di Incontriamo Gesù

    annunciare vangelo gesuSan Paolo definisce la sua venuta missionaria a Tessalonica un'entrata coraggiosa in campo: "Abbiamo trovato nel nostro Dio il coraggio di annunciarvi il Vangelo di Dio in mezzo a molte lotte" (1 Ts 2,2).

    Qual è la situazione in Italia per chi vuole annunciare il Vangelo oggi? Non ci sono opposizioni esteriori e dichiarate a impedirlo; c'è invece una tranquilla indifferenza religiosa e la tendenza a seguire "idoli mondani". D'altra parte c'è anche una diffusa sete di spiritualità (36) e una ricerca di senso della vita sulla terra. Chi ci darà il coraggio necessario per "andare in tutto il mondo ad annunciare il Vangelo"? (Mc. 16,15). È Dio stesso che "ci ha trovati degni di affidarci il Vangelo", come afferma l'apostolo Paolo. Non siamo portatori di un' idea, di un progetto, di sorprendenti risposte terrene; ma il nostro annuncio riguarda una persona: Gesù Cristo crocifisso e Risorto. Dio ama tutti gli uomini, nessuno escluso; tutto ciò che Dio crea, l'ama, altrimenti non l'avrebbe creato. Perciò vuole salvarci, inviando sulla terra suo Figlio Gesù, che si è fatto uomo nascendo da Maria e si è offerto a noi con il volto visibile del Padre invisibile.

    A chi tocca portare questo annuncio? "E' compito della Chiesa in quanto tale e ricade su ogni cristiano, discepolo e quindi testimone di Cristo" (33). Pertanto non è obbligo solo delle persone consacrate con speciale vocazione, ma anche dei laici, uomini e donne conquistati dal fascino di Cristo, che avvertono l'impegno particolare di rendere presente il Vangelo nei diversi ambienti della vita quotidiana, e in quei campi in cui la presenza laicale è necessaria: economia, finanza, politica, arte, musica, sindacato, mass-media. Bisogna imparare a testimoniare l'amore di Dio in Gesù, legati alla Bibbia e al magistero della Chiesa, ma anche con l'attenzione all'altro, facendosi prossimo di chi non crede o non vive la pratica religiosa, andare tra la gente per condividere e fare proposte di senso. Occorre mettere in conto la libertà della persona, la quale può accettare o rifiutare il nostro annuncio. Occorre essere molto pazienti, perché le persone compiono esperienze e cammini diversi durante la loro esistenza, e i condizionamenti culturali e sociali hanno il loro peso nella vita delle persone (35). Il migliore evangelizzatore in assoluto, Gesù, quante volte dovette fare i conti coi ritardi e le incomprensioni degli apostoli e dei discepoli, fino ad esclamare: "Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi?" (Mc 9,19). A tal proposito il documento invita a verificare la nostra crescita anche nei piccoli gruppi della comunità della comunità parrocchiale (34). (Continua...)


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    NE EBBE COMPASSIONE, TESE LA MANO E LO TOCCÒ Mc 1,41

    tese la manoDal Vangelo secondo Marco (1,40-45)

    In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.

    E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va', invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».

    Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.



    il parroco

    Un lebbroso è al centro della pagina del Vangelo. Chissà come ha fatto a rendersi così coraggioso per uscire dal ghetto, dalla solitudine in cui era confinato. "Il lebbroso colpito da piaghe porterà vesti strappate e...se ne starà solo, abiterà fuori dall'accampamento". Così la legge di Mosè. Ora si trova, a tu per tu, con Gesù e grida la sua sofferenza: "Se vuoi, puoi purificarmi". Non da meno è stato il coraggio di Gesù. Gli si fa incontro e lo tocca: gesti proibiti dalla medesima legge. La sua compassione, la sua parola, la sua mano che lo tocca producono la guarigione istantanea. Il silenzio imposto viene infranto e a voce spiegata racconta quanto ha vissuto. Il comando di presentarsi al sacerdote era la conferma per tornare a vivere tra gli uomini. Ora, rendiamolo vivo, personale il vangelo. Le parole: amore, fraternità, solidarietà sono usate in abbondanza, ma quanta distanza mettiamo tra noi e i "lebbrosi" di oggi, con atteggiamenti e azioni di individualismo e indifferenza. Questa è la "lebbra" che mette al confino tanti fratelli: i malati di lebbra del nostro tempo: poveri, migranti, barboni e tanti altri emarginati, che nel linguaggio di papa Francesco costituiscono lo "scarto" dell'umanità. Questa è la lebbra che deforma e storpia il cuore. Allora, oggi, mi voglio sentire lebbroso e vado da Gesù e lo supplico: " Se vuoi, puoi purificarmi". E Lui mi guarisce. E io, saprò raccontarlo? Scoprirò un cuore meno individualista?

    Grazie ai fidanzati: Miulli Anna e Monopoli Michele per la loro parola.

    P. Raffaele Angelo Tosto(tostangelo@yahoo.it)



    momenti difficolta

    NEI MOMENTI DI DIFFICOLTÁ

    La lettura di questa domenica che precede l'inizio della Quaresima, racchiude in se la grandezza della Misericordia di Dio. In queste righe vi è la testimonianza tangibile della forza della fede che tutto vince e tutto risolve. Il lebbroso che si avvicina a Gesù chiedendogli di esser guarito rappresenta infatti l'essere umano, con le sue debolezze ed il suo bisogno costante di rivolgersi a Dio nei momenti di difficoltà. E se Dio, da Padre amorevole, non disattende mai alle aspettative dei propri figli e li aiuta nei momenti di difficoltà, noi uomini, non riusciamo sempre ad osservare le sue richieste ed i suoi comandamenti. Diffondere il suo messaggio con costanza e devozione deve diventare l'obiettivo di questo periodo di redenzione quaresimale che forgerà gli animi e li preparerà alla gioia della Resurrezione che incarna nella sua essenza il mistero della fede cristiana.

    Michele e Anna




    ALL'INIZIO DI QUESTO DIGIUNO

    Giovanni Crisostomo, Omelie al popolo antiocheno 3


    croce sagostinoCome al finir dell'inverno torna la stagione estiva
    e il navigante trascina in mare la nave,
    il soldato ripulisce le armi e allena il cavallo per la lotta,
    l'agricoltore affila la falce,
    il viandante rinvigorito si accinge al lungo viaggio
    e l'atleta depone le vesti e si prepara alle gare;
    così anche noi, all'inizio di questo digiuno,
    quasi al ritorno di una primavera spirituale
    forgiamo le armi come i soldati,
    affiliamo la falce come gli agricoltori
    e, come nocchieri riassettiamo la nave del nostro spirito
    per affrontare i flutti delle assurde passioni,
    come viandanti riprendiamo il viaggio verso il cielo
    e come atleti prepariamoci alla lotta
    con lo spogliamento di tutto.
    II fedele è agricoltore, nocchiere, soldato, atleta e perciò viandante.
    San Paolo dice: «La nostra battaglia non è contro la carne e il sangue,
    ma contro i Principati e le Potenze... Prendete dunque l'armatura di Dio» (Ef 6,12-13).
    Ecco l'atleta, ecco il soldato.
    Se sei atleta, è necessario che ti presenti nudo alla lotta;
    se sei soldato, devi entrare nei ranghi perfettamente armato.
    Come è possibile?
    Spoglio e non spoglio?
    Vestito e non vestito?
    Come?
    Ecco: lascia gli affari terreni e sarai atleta,
    rivesti gli abiti spirituali e sarai soldato.
    Spogliati dalle preoccupazioni materiali;
    ecco il momento della lotta.
    Rivestiti delle armi spirituali.
    Abbiamo ingaggiato una terribile guerra
    contro i demoni, bisogna quindi essere spogli
    per non dare alcun appiglio al nemico che ci combatte;
    bisogna armarsi, d'altra parte, interamente,
    e non esporsi a ferite mortali.
    Coltiva la tua anima, strappa le spine,
    semina la parola di Dio, pianta i germi della sana filosofia,
    lavora con ogni diligenza ed eccoti agricoltore.
    Ascolta ancora san Paolo:
    «Il contadino, che lavora duramente,
    dev'essere il primo a cogliere i frutti della terra» (2Tm 2,6).
    Anch'egli trattava quest'arte,
    tanto che scrivendo ai Corinti dice:
    «lo ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere» (1Cor 3,6).
    Affila la falce;
    l'hai ammaccata con la voracità,
    devi affilarla con il digiuno.


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    EGLI SI AVVICINÒ E LA FECE ALZARE PRENDENDOLA PER MANO Mc 1,31

    la fece alzareDal Vangelo secondo Marco (1, 21-28)

    In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.

    Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.

    Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!».

    E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.



    il parroco

    Marco nel vangelo odierno ci racconta come Gesù trascorreva la giornata, il sabato in particolare. In Sinagoga per leggere, insegnare, spiegare la Parola dei Profeti. Dalla Sinagoga alla casa di Pietro dove continua la "liturgia familiare" e nel vedere che la suocera è ammalata, con la sua presenza e con la sua mano la guarisce. Guarita, si mette subito a servire, esprimendo così il ringraziamento, festeggiando l'ospite, creando nuovi rapporti di amicizia. Al tramonto si reca alla porta della città ed anche qui manifesta la sua presenza guarendo malati e indemoniati. Dal bagno di folla si ritira nel deserto per pregare per poi continuare il cammino e annunciare a tutti il Vangelo. Quale importanza ha per noi conoscere come Gesù trascorreva il sabato? Non solo di cronaca, ma di senso. Mi devo mettere sulle sue tracce per seguirlo e ascoltarlo la domenica, accoglierlo in casa, dirgli la mia febbre di male, di peccato, lasciarmi prendere per mano e guarire, seguirlo nel deserto, nel silenzio della preghiera. In breve stare con Lui. Questo mi permetterà di lasciare tracce di cammino utili ai fratelli per incontrarlo. Ai fidanzati Lopopolo Antonio e De Bellis Consiglia il grazie per la loro parola.

    P. Raffaele Angelo Tosto(tostangelo@yahoo.it)



    APRIRE IL CUORE ALLA SPERANZA

    Gesù, uscito dalla sinagoga, si reca a casa di Simone e Andrea dove scopre che la suocera di Simone è a letto con la febbre. Gesù non cerca spiegazioni sulla malattia, non fa nessun tipo di ragionamenti né sulle colpe, né sul peccato, né sulla volontà di Dio; niente di tutto questo. Per lui la malattia va combattuta e basta, perciò si avvicina alla malata e la guarisce. Le notizie volano, sicché la sera tutta la città è davanti casa con i suoi malati e Gesù è lì ad aiutare tutti. La mattina però, Gesù si ritira a pregare perché ha bisogno di decidere cosa è più importante fare. Decide che deve mettersi in cammino per andare a predicare. I discepoli sono entusiasti di ciò che Gesù ha fatto la sera prima. Inoltre, vedendo la folla che cerca Gesù, la tranquillizzano, promettendo di riportarglielo al più presto. Deve essere stato duro per Gesù deluderli, e anche per loro ubbidire e partire senza tornare a dare spiegazioni. Gesù si rende conto che davanti all'urgenza della malattia non si discute, il malato va aiutato, ma predicare, annunciare il regno di Dio ci aiuta e ci sostiene nel nostro cammino perché questo apre alla speranza il cuore dell'uomo e lo muove a fare quello che faceva Gesù.

    Antonio e Consiglia




    GIORNATA INTERNAZIONALE DI PREGHIERA E RIFLESSIONE CONTRO LA TRATTA DI PERSONE

    8 FEBBRAIO 2014 - SANTA GIUSEPPINA BAKITA


    St Giuseppina bakhitaSANTA GIUSEPPINA BAKHITA

    Nasce nel Sudan nel 1869, rapita all'età di sette anni, venduta più volte, conosce sofferenze fisiche e morali, che la lasciano senza un'identità. Sono i suoi rapitori a darle il nome di Bakhita («fortunata»). Nel 1882 viene comprata dal console italiano che la porta in Italia, e l'affida ad una famiglia dove diventa la bambinaia. Quando la famiglia si sposta sul Mar Rosso, Bakhita resta con la loro bambina presso le Suore Canossiane di Venezia. Qui ha la possibilità di conoscere la fede cristiana e, il 9 gennaio 1890, chiede il battesimo prendendo il nome di Giuseppina. Nel 1893, dopo un intenso cammino, decide di farsi suora canossiana per servire Dio che le aveva dato tante prove del suo amore. Per cinquant'anni ha ricoperto compiti umili e semplici offerti con generosità e semplicità, prodigandosi per tutti.


    ACCENDI UNA LUCE CONTRO LA TRATTA
    «LA TRATTA DELLE PERSONE È UN CRIMINE CONTRO L'UMANITÀ.
    DOBBIAMO UNIRE LE FORZE PER LIBERARE LE VITTIME
    E PER FERMARE QUESTO CRIMINE SEMPRE PIÙ AGGRESSIVO,
    CHE MINACCIA, OLTRE ALLE SINGOLE PERSONE,
    I VALORI FONDANTI DELLA SOCIETÀ E ANCHE LA SICUREZZA
    E LA GIUSTIZIA INTERNAZIONALI, OLTRE CHE L'ECONOMIA,
    IL TESSUTO FAMILIARE E LO STESSO VIVERE SOCIALE».

    Papa Francesco


    contro la trattaSecondo l'Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) e l'Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (Unodc) circa 21 milioni di persone, spesso povere e vulnerabili, sono vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale o lavoro forzato, espianto di organi, accattonaggio forzato, servitù domestica, matrimonio forzato, adozione illegale e altre forme di sfruttamento.

    Ogni anno, circa 2,5 milioni di persone sono vittime di traffico di esseri umani e riduzione in schiavitù; il 70 per cento sono donne e minori. Spesso subiscono abusi e violenze inaudite.

    D'altro canto, per trafficanti e sfruttatori la tratta di esseri umani è una delle attività illegali più lucrative al mondo: rende complessivamente 32 miliardi di dollari l'anno ed è il terzo "business" più redditizio, dopo il traffico di droga e di armi.

    Preghiera

    Quando sentiamo parlare di bambini, uomini e donne ingannati e portati in luoghi sconosciuti allo scopo di sfruttamento sessuale, lavoro forzato e vendita di organi, i nostri cuori si indignano e il nostro spirito è addolorato perché la loro dignità e i loro diritti vengono calpestati con minacce, menzogne e violenza.

    O Dio, aiutaci a contrastare con la nostra vita ogni forma di schiavitù. Ti preghiamo insieme a Santa Bakhita perché la tratta di persone abbia termine.

    Donaci saggezza e coraggio per farci prossimo di tutti coloro che sono stati feriti nel corpo, nel cuore e nello spirito, così che insieme possiamo realizzare la tua promessa di vita e di amore tenero e infinito per questi nostri fratelli e sorelle sfruttati.

    Tocca il cuore di chi è responsabile di questo grave crimine e sostieni il nostro impegno per la libertà, tuo dono per tutti i tuoi figli e figlie. Amen

    http://a-light-against-human-trafficking.info/



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    "GUARDATE GLI UCCELLI DEL CIELO: NON SEMINANO E NON MIETONO.."Mt 6,26

    Dal Vangelo secondo Matteo (5,38-48)

    guardate gli uccelliIn quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:

    «Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro, oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire Dio e la ricchezza.

    Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?

    Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita?

    E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede?

    Non preoccupatevi dunque dicendo: "Che cosa mangeremo? Che cosa berremo?

    Che cosa indosseremo?". Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno.

    Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta.

    Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena».



    il parroco

    Il profeta Isaia ci prende per mano e, con una immagine semplice e familiare, ci introduce alla parola del vangelo: " Si dimentica forse una donna del suo bambino... Anche se dimenticasse, io invece non ti dimenticherò mai".

    Gesù ci conferma: così agisce Dio che è Padre, ripetendoci con insistenza: "Non preoccupatevi"! Il Signore ci vuol liberare dall'ansia, dalla preoccupazione eccessiva delle cose quotidiane per orientare i pensieri, i cuori a qualcosa di molto più importante. Il Signore mette subito davanti all'uomo la scelta radicale: "Nessuno può servire due padroni,... non potete servire Dio e la ricchezza". Quanti affanni, preoccupazioni, paure per avere ricchezze. Rimetti al primo posto l'essenziale, impara a discernere, non ti far prendere dall'apparenza, dall'esteriorità, dall'appagamento dei sensi. Un'operazione semplice a dirsi, quanto difficile nella pratica. "Non preoccupatevi! Guardate gli uccelli del cielo... contemplate la bellezza dei fiori del campo... il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno". La mia fede è Dio Padre onnipotente, che mi ama, conosce di che cosa ho bisogno, o il cuore, i pensieri sono fissi solo sul conto in banca? Facciamo molto affidamento alla previdenza umana e molto poco, o nulla, alla Provvidenza di Dio. "Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta". Facciamo nostra una delle espressioni di Papa Francesco: "Non lasciamoci rubare la gioia, la fiducia, la pace che ci dà il Signore".

    Angela Frontino ci offre la lettura del vangelo, a Lei il nostro grazie.

    P. Raffaele Angelo Tosto(tostangelo@yahoo.it)


    dritto al cuore


    DIRITTO AL CUORE

    Il vangelo di questa domenica ci aiuta a rivedere il rapporto con i beni materiali e presenta due temi di diversa portata: il nostro rapporto con il denaro e il nostro rapporto con Dio. Gesù è molto chiaro nelle sue affermazioni. Il nostro cuore non può sopravvivere ai compromessi. Anche se la vita ne è piena, non possiamo servire a due padroni. Il denaro è potere, prestigio, gloria. Con il denaro compriamo gli affetti, leghiamo le persone. Il denaro si sovrappone alla nostra stessa persona e ne diventiamo i suoi docili servitori. Gesù invece punta diritto al cuore. Preoccuparsi del domani, di quelli che non conoscono Dio. Nel vangelo si può notare l'esortazione che Gesù fa per ben tre volte del "non preoccupatevi". Chi ha fatto l'esperienza della sua misericordia consegna totalmente la propria vita al Signore. Quel "non preoccupatevi" sta a ricordarci che, nella precarietà di ogni giorno, la mano provvidente del Padre non ci abbandona. Centro della nostra vita deve essere il regno di Dio.

    Angela Frontino



    MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO PER LA XXIX GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ 2014

    «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5, 3)

    Cari giovani,

    è impresso nella mia memoria lo straordinario incontro che abbiamo vissuto a Rio de Janeiro, nella XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù: una grande festa della fede e della fraternità! La brava gente brasiliana ci ha accolto con le braccia spalancate, come la statua del Cristo Redentore che dall'alto del Corcovado domina il magnifico scenario della spiaggia di Copacabana. Sulle rive del mare Gesù ha rinnovato la sua chiamata affinché ognuno di noi diventi suo discepolo missionario, lo scopra come il tesoro più prezioso della propria vita e condivida questa ricchezza con gli altri, vicini e lontani, fino alle estreme periferie geografiche ed esistenziali del nostro tempo.

    beati poveriLa prossima tappa del pellegrinaggio intercontinentale dei giovani sarà a Cracovia, nel 2016. Per scandire il nostro cammino, nei prossimi tre anni vorrei riflettere insieme a voi sulle Beatitudini evangeliche, che leggiamo nel Vangelo di san Matteo (5,1-12). Quest'anno inizieremo meditando sulla prima: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3); per il 2015 propongo «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8); e infine, nel 2016, il tema sarà «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5,7).

    1. La forza rivoluzionaria delle Beatitudini

    Ci fa sempre molto bene leggere e meditare le Beatitudini! Gesù le ha proclamate nella sua prima grande predicazione, sulla riva del lago di Galilea. C'era tanta folla e Lui salì sulla collina, per ammaestrare i suoi discepoli, perciò quella predica viene chiamata "discorso della montagna". Nella Bibbia, il monte è visto come luogo dove Dio si rivela, e Gesù che predica sulla collina si presenta come maestro divino, come nuovo Mosè. E che cosa comunica? Gesù comunica la via della vita, quella via che Lui stesso percorre, anzi, che Lui stesso è, e la propone come via della vera felicità. In tutta la sua vita, dalla nascita nella grotta di Betlemme fino alla morte in croce e alla risurrezione, Gesù ha incarnato le Beatitudini. Tutte le promesse del Regno di Dio si sono compiute in Lui.

    Nel proclamare le Beatitudini Gesù ci invita a seguirlo, a percorrere con Lui la via dell'amore, la sola che conduce alla vita eterna. Non è una strada facile, ma il Signore ci assicura la sua grazia e non ci lascia mai soli. Povertà, afflizioni, umiliazioni, lotta per la giustizia, fatiche della conversione quotidiana, combattimenti per vivere la chiamata alla santità, persecuzioni e tante altre sfide sono presenti nella nostra vita. Ma se apriamo la porta a Gesù, se lasciamo che Lui sia dentro la nostra storia, se condividiamo con Lui le gioie e i dolori, sperimenteremo una pace e una gioia che solo Dio, amore infinito, può dare.

    Le Beatitudini di Gesù sono portatrici di una novità rivoluzionaria, di un modello di felicità opposto a quello che di solito viene comunicato dai media, dal pensiero dominante. Per la mentalità mondana, è uno scandalo che Dio sia venuto a farsi uno di noi, che sia morto su una croce! Nella logica di questo mondo, coloro che Gesù proclama beati sono considerati "perdenti", deboli. Sono esaltati invece il successo ad ogni costo, il benessere, l'arroganza del potere, l'affermazione di sé a scapito degli altri.

    Gesù ci interpella, cari giovani, perché rispondiamo alla sua proposta di vita, perché decidiamo quale strada vogliamo percorrere per arrivare alla vera gioia. Si tratta di una grande sfida di fede. Gesù non ha avuto paura di chiedere ai suoi discepoli se volevano davvero seguirlo o piuttosto andarsene per altre vie (cfr Gv 6,67). E Simone detto Pietro ebbe il coraggio di rispondere: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Gv 6,68). Se saprete anche voi dire "sì" a Gesù, la vostra giovane vita si riempirà di significato, e così sarà feconda.


    2. Il coraggio della felicità

    beati2Ma che cosa significa "beati" (in greco makarioi)? Beati vuol dire felici. Ditemi: voi aspirate davvero alla felicità? In un tempo in cui si è attratti da tante parvenze di felicità, si rischia di accontentarsi di poco, di avere un'idea "in piccolo" della vita. Aspirate invece a cose grandi! Allargate i vostri cuori! Come diceva il beato Piergiorgio Frassati, «vivere senza una fede, senza un patrimonio da difendere, senza sostenere in una lotta continua la verità, non è vivere ma vivacchiare. Noi non dobbiamo mai vivacchiare, ma vivere» (Lettera a I. Bonini, 27 febbraio 1925). Nel giorno della Beatificazione di Piergiorgio Frassati, il 20 maggio 1990, Giovanni Paolo II lo chiamò «uomo delle Beatitudini» (Omelia nella S. Messa: AAS 82 [1990], 1518).

    Se veramente fate emergere le aspirazioni più profonde del vostro cuore, vi renderete conto che in voi c'è un desiderio inestinguibile di felicità, e questo vi permetterà di smascherare e respingere le tante offerte "a basso prezzo" che trovate intorno a voi. Quando cerchiamo il successo, il piacere, l'avere in modo egoistico e ne facciamo degli idoli, possiamo anche provare momenti di ebbrezza, un falso senso di appagamento; ma alla fine diventiamo schiavi, non siamo mai soddisfatti, siamo spinti a cercare sempre di più. È molto triste vedere una gioventù "sazia", ma debole.

    San Giovanni scrivendo ai giovani diceva: «Siete forti e la parola di Dio rimane in voi e avete vinto il Maligno» (1 Gv 2,14). I giovani che scelgono Cristo sono forti, si nutrono della sua Parola e non si "abbuffano" di altre cose! Abbiate il coraggio di andare contro corrente. Abbiate il coraggio della vera felicità! Dite no alla cultura del provvisorio, della superficialità e dello scarto, che non vi ritiene in grado di assumere responsabilità e affrontare le grandi sfide della vita!


    3. Beati i poveri in spirito...

    La prima Beatitudine, tema della prossima Giornata Mondiale della Gioventù, dichiara felici i poveri in spirito, perché a loro appartiene il Regno dei cieli. In un tempo in cui tante persone soffrono a causa della crisi economica, accostare povertà e felicità può sembrare fuori luogo. In che senso possiamo concepire la povertà come una benedizione?

    beati3Prima di tutto cerchiamo di capire che cosa significa «poveri in spirito». Quando il Figlio di Dio si è fatto uomo, ha scelto una via di povertà, di spogliazione. Come dice san Paolo nella Lettera ai Filippesi: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini» (2,5-7). Gesù è Dio che si spoglia della sua gloria. Qui vediamo la scelta di povertà di Dio: da ricco che era, si è fatto povero per arricchirci per mezzo della sua povertà (cfr 2 Cor 8,9). E' il mistero che contempliamo nel presepio, vedendo il Figlio di Dio in una mangiatoia; e poi sulla croce, dove la spogliazione giunge al culmine.

    L'aggettivo greco ptochós (povero) non ha un significato soltanto materiale, ma vuol dire "mendicante". Va legato al concetto ebraico di anawim, i "poveri di Iahweh", che evoca umiltà, consapevolezza dei propri limiti, della propria condizione esistenziale di povertà. Gli anawim si fidano del Signore, sanno di dipendere da Lui.

    Gesù, come ha ben saputo vedere santa Teresa di Gesù Bambino, nella sua Incarnazione si presenta come un mendicante, un bisognoso in cerca d'amore. Il Catechismo della Chiesa Cattolica parla dell'uomo come di un «mendicante di Dio» (n. 2559) e ci dice che la preghiera è l'incontro della sete di Dio con la nostra sete (n. 2560).

    San Francesco d'Assisi ha compreso molto bene il segreto della Beatitudine dei poveri in spirito. Infatti, quando Gesù gli parlò nella persona del lebbroso e nel Crocifisso, egli riconobbe la grandezza di Dio e la propria condizione di umiltà. Nella sua preghiera il Poverello passava ore a domandare al Signore: «Chi sei tu? Chi sono io?». Si spogliò di una vita agiata e spensierata per sposare "Madonna Povertà", per imitare Gesù e seguire il Vangelo alla lettera. Francesco ha vissuto l'imitazione di Cristo povero e l'amore per i poveri in modo inscindibile, come le due facce di una stessa medaglia.

    Voi dunque mi potreste domandare: come possiamo concretamente far sì che questa povertà in spirito si trasformi in stile di vita, incida concretamente nella nostra esistenza? Vi rispondo in tre punti.

    Prima di tutto cercate di essere liberi nei confronti delle cose. Il Signore ci chiama a uno stile di vita evangelico segnato dalla sobrietà, a non cedere alla cultura del consumo. Si tratta di cercare l'essenzialità, di imparare a spogliarci di tante cose superflue e inutili che ci soffocano. Distacchiamoci dalla brama di avere, dal denaro idolatrato e poi sprecato. Mettiamo Gesù al primo posto. Lui ci può liberare dalle idolatrie che ci rendono schiavi. Fidatevi di Dio, cari giovani! Egli ci conosce, ci ama e non si dimentica mai di noi. Come provvede ai gigli del campo (cfr Mt 6,28), non lascerà che ci manchi nulla! Anche per superare la crisi economica bisogna essere pronti a cambiare stile di vita, a evitare i tanti sprechi. Così come è necessario il coraggio della felicità, ci vuole anche il coraggio della sobrietà.

    In secondo luogo, per vivere questa Beatitudine abbiamo tutti bisogno di conversione per quanto riguarda i poveri. Dobbiamo prenderci cura di loro, essere sensibili alle loro necessità spirituali e materiali. A voi giovani affido in modo particolare il compito di rimettere al centro della cultura umana la solidarietà. Di fronte a vecchie e nuove forme di povertà – la disoccupazione, l'emigrazione, tante dipendenze di vario tipo –, abbiamo il dovere di essere vigilanti e consapevoli, vincendo la tentazione dell'indifferenza. Pensiamo anche a coloro che non si sentono amati, non hanno speranza per il futuro, rinunciano a impegnarsi nella vita perché sono scoraggiati, delusi, intimoriti. Dobbiamo imparare a stare con i poveri. Non riempiamoci la bocca di belle parole sui poveri! Incontriamoli, guardiamoli negli occhi, ascoltiamoli. I poveri sono per noi un'occasione concreta di incontrare Cristo stesso, di toccare la sua carne sofferente.

    Ma – e questo è il terzo punto – i poveri non sono soltanto persone alle quali possiamo dare qualcosa. Anche loro hanno tanto da offrirci, da insegnarci. Abbiamo tanto da imparare dalla saggezza dei poveri! Pensate che un santo del secolo XVIII, Benedetto Giuseppe Labre, il quale dormiva per strada a Roma e viveva delle offerte della gente, era diventato consigliere spirituale di tante persone, tra cui anche nobili e prelati. In un certo senso i poveri sono come maestri per noi. Ci insegnano che una persona non vale per quanto possiede, per quanto ha sul conto in banca. Un povero, una persona priva di beni materiali, conserva sempre la sua dignità. I poveri possono insegnarci tanto anche sull'umiltà e la fiducia in Dio. Nella parabola del fariseo e del pubblicano (Lc 18,9-14), Gesù presenta quest'ultimo come modello perché è umile e si riconosce peccatore. Anche la vedova che getta due piccole monete nel tesoro del tempio è esempio della generosità di chi, anche avendo poco o nulla, dona tutto (Lc 21,1-4).


    4.... perché di essi è il Regno dei cieli

    Tema centrale nel Vangelo di Gesù è il Regno di Dio. Gesù è il Regno di Dio in persona, è l'Emmanuele, Dio-con-noi. Ed è nel cuore dell'uomo che il Regno, la signoria di Dio si stabilisce e cresce. Il Regno è allo stesso tempo dono e promessa. Ci è già stato dato in Gesù, ma deve ancora compiersi in pienezza. Perciò ogni giorno preghiamo il Padre: «Venga il tuo regno».

    C'è un legame profondo tra povertà ed evangelizzazione, tra il tema della scorsa Giornata Mondiale della Gioventù - «Andate e fate discepoli tutti i popoli» (Mt 28,19) - e quello di quest'anno: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3). Il Signore vuole una Chiesa povera che evangelizzi i poveri. Quando inviò i Dodici in missione, Gesù disse loro: «Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento» (Mt 10,9-10). La povertà evangelica è condizione fondamentale affinché il Regno di Dio si diffonda. Le gioie più belle e spontanee che ho visto nel corso della mia vita sono quelle di persone povere che hanno poco a cui aggrapparsi. L'evangelizzazione, nel nostro tempo, sarà possibile soltanto per contagio di gioia.

    Come abbiamo visto, la Beatitudine dei poveri in spirito orienta il nostro rapporto con Dio, con i beni materiali e con i poveri. Davanti all'esempio e alle parole di Gesù, avvertiamo quanto abbiamo bisogno di conversione, di far sì che sulla logica dell'avere di più prevalga quella dell'essere di più! I santi sono coloro che più ci possono aiutare a capire il significato profondo delle Beatitudini. La canonizzazione di Giovanni Paolo II nella seconda domenica di Pasqua, in questo senso, è un evento che riempie il nostro cuore di gioia. Lui sarà il grande patrono delle GMG, di cui è stato l'iniziatore e il trascinatore. E nella comunione dei santi continuerà ad essere per tutti voi un padre e un amico.

    Nel prossimo mese di aprile ricorre anche il trentesimo anniversario della consegna ai giovani della Croce del Giubileo della Redenzione. Proprio a partire da quell'atto simbolico di Giovanni Paolo II iniziò il grande pellegrinaggio giovanile che da allora continua ad attraversare i cinque continenti. Molti ricordano le parole con cui il Papa, la domenica di Pasqua del 1984, accompagnò il suo gesto: «Carissimi giovani, al termine dell'Anno Santo affido a voi il segno stesso di quest'Anno Giubilare: la Croce di Cristo! Portatela nel mondo, come segno dell'amore del Signore Gesù per l'umanità, ed annunciate a tutti che solo in Cristo morto e risorto c'è salvezza e redenzione».

    Cari giovani, il Magnificat, il cantico di Maria, povera in spirito, è anche il canto di chi vive le Beatitudini. La gioia del Vangelo sgorga da un cuore povero, che sa esultare e meravigliarsi per le opere di Dio, come il cuore della Vergine, che tutte le generazioni chiamano "beata" (cfr Lc 1,48). Lei, la madre dei poveri e la stella della nuova evangelizzazione, ci aiuti a vivere il Vangelo, a incarnare le Beatitudini nella nostra vita, ad avere il coraggio della felicità.

    Dal Vaticano, 21 gennaio 2014, memoria di Sant'Agnese, vergine e martire


    FRANCESCO


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    "AMATE I VOSTRI NEMICI E PREGATE PER QUELLI CHE VI PERSEGUITANO"Mt 5,44

    Dal Vangelo secondo Matteo (5,38-48)

    amate vostri nemiciIn quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

    «Avete inteso che fu detto:

    "Occhio per occhio e dente per dente". Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l'altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da' a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle.

    Avete inteso che fu detto:

    "Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico". Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».


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    il parroco

    Il Vangelo chiude così: "Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste". Questa è la meta alta, sublime di ogni discepolo. E quale è il volto della perfezione del Padre? E' l'Amore pieno, totale verso tutti. "Egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti". Nell'incarnazione di Gesù, l'amore del Padre raggiunge il culmine. Con questa premessa, è naturale che Gesù, nel suo vangelo, annunci con forza e autorità: "Avete inteso...ma io vi dico". Il vecchio criterio non basta più, alla legge del taglione "occhio per occhio e dente per dente", che metteva un limite alla vendetta, ora la nuova proposta "di non opporsi al malvagio, ma di porgere l'altra guancia", che certamente susciterà un facile sorriso colmo di ironia solo al pensarlo. E che aggiungere al " ma io vi dico amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano"? E' un linguaggio duro e difficile a capirsi, qui sta la novità del vangelo di Gesù. Anche noi ci diciamo: è impossibile, è troppo quello che viene chiesto! Come è possibile quando sono aggredito o maltrattato ingiustamente? Le motivazioni umane, non solo sono insufficienti, anzi portano a farsi giustizia da soli e subito, tristi conseguenze. Un'amara constatazione sotto gli occhi di tutti. Però nel contempo quanti testimoni di amore misericordioso. Che dice a noi il Crocifisso, che risponde con parole di amore e di perdono? E con Lui una moltitudine di uomini e donne che hanno sperimentato e testimoniato l'amore misericordioso? Tra questi S. Paolo, il persecutore, che ai cristiani di allora e di oggi, ricorda: "Non rendete a nessuno male per male... non fatevi giustizia da voi stessi,... non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene", e "Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, e avessi ogni altro dono, ma non avessi la carità, non sarei nulla". E' bello riconoscere in molti cristiani, missionari, uomini, donne che hanno testimoniato anche con il sangue il vangelo dell'amore con il perdono. Non mancano testimoni civili: Gandhi, Martin Luther King e tanti altri. Solo l'azione dello Spirito che apre i cuori al perdono e li plasmi secondo il vangelo di Gesù, può renderci capaci di amare e perdonare come lui.

    La gratitudine a Nicola Massari per il suo contributo al Vangelo.

    P. Raffaele Angelo Tosto(tostangelo@yahoo.it)



    NOVITA' DI VITA

    Nel vangelo di questa domenica Gesù Cristo insegna il comandamento dell'amore, che alla vecchia legge: "Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico" propone il nuovo comandamento: "amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano". E' più facile aggredire chi ci aggredisce e amare chi ci ama. La vita di ogni giorno ci spinge a fare questo, quando il cuore non è raggiunto dalla luce di Dio. Ecco perché la carità è un concetto insolito, che apre un nuovo orizzonte umano. Da questo punto di vista l'uomo creato a immagine di Dio, che ha sacrificato suo Figlio per la nostra salvezza, deve saper perdonare se gli viene fatto un torto, amare se viene odiato. Impariamo a seguire Gesù amando i nostri fratelli incondizionatamente e a cuore aperto.

    Nicola Massari


    a cuore aperto

    "Aiutami ad amare il mio nemico"





    MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO PER LA XXIX GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ 2014

    «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5, 3)

    Cari giovani,

    è impresso nella mia memoria lo straordinario incontro che abbiamo vissuto a Rio de Janeiro, nella XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù: una grande festa della fede e della fraternità! La brava gente brasiliana ci ha accolto con le braccia spalancate, come la statua del Cristo Redentore che dall'alto del Corcovado domina il magnifico scenario della spiaggia di Copacabana. Sulle rive del mare Gesù ha rinnovato la sua chiamata affinché ognuno di noi diventi suo discepolo missionario, lo scopra come il tesoro più prezioso della propria vita e condivida questa ricchezza con gli altri, vicini e lontani, fino alle estreme periferie geografiche ed esistenziali del nostro tempo.

    beati poveriLa prossima tappa del pellegrinaggio intercontinentale dei giovani sarà a Cracovia, nel 2016. Per scandire il nostro cammino, nei prossimi tre anni vorrei riflettere insieme a voi sulle Beatitudini evangeliche, che leggiamo nel Vangelo di san Matteo (5,1-12). Quest'anno inizieremo meditando sulla prima: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3); per il 2015 propongo «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8); e infine, nel 2016, il tema sarà «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5,7).

    1. La forza rivoluzionaria delle Beatitudini

    Ci fa sempre molto bene leggere e meditare le Beatitudini! Gesù le ha proclamate nella sua prima grande predicazione, sulla riva del lago di Galilea. C'era tanta folla e Lui salì sulla collina, per ammaestrare i suoi discepoli, perciò quella predica viene chiamata "discorso della montagna". Nella Bibbia, il monte è visto come luogo dove Dio si rivela, e Gesù che predica sulla collina si presenta come maestro divino, come nuovo Mosè. E che cosa comunica? Gesù comunica la via della vita, quella via che Lui stesso percorre, anzi, che Lui stesso è, e la propone come via della vera felicità. In tutta la sua vita, dalla nascita nella grotta di Betlemme fino alla morte in croce e alla risurrezione, Gesù ha incarnato le Beatitudini. Tutte le promesse del Regno di Dio si sono compiute in Lui.

    Nel proclamare le Beatitudini Gesù ci invita a seguirlo, a percorrere con Lui la via dell'amore, la sola che conduce alla vita eterna. Non è una strada facile, ma il Signore ci assicura la sua grazia e non ci lascia mai soli. Povertà, afflizioni, umiliazioni, lotta per la giustizia, fatiche della conversione quotidiana, combattimenti per vivere la chiamata alla santità, persecuzioni e tante altre sfide sono presenti nella nostra vita. Ma se apriamo la porta a Gesù, se lasciamo che Lui sia dentro la nostra storia, se condividiamo con Lui le gioie e i dolori, sperimenteremo una pace e una gioia che solo Dio, amore infinito, può dare.

    Le Beatitudini di Gesù sono portatrici di una novità rivoluzionaria, di un modello di felicità opposto a quello che di solito viene comunicato dai media, dal pensiero dominante. Per la mentalità mondana, è uno scandalo che Dio sia venuto a farsi uno di noi, che sia morto su una croce! Nella logica di questo mondo, coloro che Gesù proclama beati sono considerati "perdenti", deboli. Sono esaltati invece il successo ad ogni costo, il benessere, l'arroganza del potere, l'affermazione di sé a scapito degli altri.

    Gesù ci interpella, cari giovani, perché rispondiamo alla sua proposta di vita, perché decidiamo quale strada vogliamo percorrere per arrivare alla vera gioia. Si tratta di una grande sfida di fede. Gesù non ha avuto paura di chiedere ai suoi discepoli se volevano davvero seguirlo o piuttosto andarsene per altre vie (cfr Gv 6,67). E Simone detto Pietro ebbe il coraggio di rispondere: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Gv 6,68). Se saprete anche voi dire "sì" a Gesù, la vostra giovane vita si riempirà di significato, e così sarà feconda.

    2. Il coraggio della felicità

    beati2Ma che cosa significa "beati" (in greco makarioi)? Beati vuol dire felici. Ditemi: voi aspirate davvero alla felicità? In un tempo in cui si è attratti da tante parvenze di felicità, si rischia di accontentarsi di poco, di avere un'idea "in piccolo" della vita. Aspirate invece a cose grandi! Allargate i vostri cuori! Come diceva il beato Piergiorgio Frassati, «vivere senza una fede, senza un patrimonio da difendere, senza sostenere in una lotta continua la verità, non è vivere ma vivacchiare. Noi non dobbiamo mai vivacchiare, ma vivere» (Lettera a I. Bonini, 27 febbraio 1925). Nel giorno della Beatificazione di Piergiorgio Frassati, il 20 maggio 1990, Giovanni Paolo II lo chiamò «uomo delle Beatitudini» (Omelia nella S. Messa: AAS 82 [1990], 1518).

    Se veramente fate emergere le aspirazioni più profonde del vostro cuore, vi renderete conto che in voi c'è un desiderio inestinguibile di felicità, e questo vi permetterà di smascherare e respingere le tante offerte "a basso prezzo" che trovate intorno a voi. Quando cerchiamo il successo, il piacere, l'avere in modo egoistico e ne facciamo degli idoli, possiamo anche provare momenti di ebbrezza, un falso senso di appagamento; ma alla fine diventiamo schiavi, non siamo mai soddisfatti, siamo spinti a cercare sempre di più. È molto triste vedere una gioventù "sazia", ma debole.

    San Giovanni scrivendo ai giovani diceva: «Siete forti e la parola di Dio rimane in voi e avete vinto il Maligno» (1 Gv 2,14). I giovani che scelgono Cristo sono forti, si nutrono della sua Parola e non si "abbuffano" di altre cose! Abbiate il coraggio di andare contro corrente. Abbiate il coraggio della vera felicità! Dite no alla cultura del provvisorio, della superficialità e dello scarto, che non vi ritiene in grado di assumere responsabilità e affrontare le grandi sfide della vita!

    3. Beati i poveri in spirito...

    La prima Beatitudine, tema della prossima Giornata Mondiale della Gioventù, dichiara felici i poveri in spirito, perché a loro appartiene il Regno dei cieli. In un tempo in cui tante persone soffrono a causa della crisi economica, accostare povertà e felicità può sembrare fuori luogo. In che senso possiamo concepire la povertà come una benedizione?

    Prima di tutto cerchiamo di capire che cosa significa «poveri in spirito». Quando il Figlio di Dio si è fatto uomo, ha scelto una via di povertà, di spogliazione. Come dice san Paolo nella Lettera ai Filippesi: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini» (2,5-7). Gesù è Dio che si spoglia della sua gloria. Qui vediamo la scelta di povertà di Dio: da ricco che era, si è fatto povero per arricchirci per mezzo della sua povertà (cfr 2 Cor 8,9). E' il mistero che contempliamo nel presepio, vedendo il Figlio di Dio in una mangiatoia; e poi sulla croce, dove la spogliazione giunge al culmine.

    L'aggettivo greco ptochós (povero) non ha un significato soltanto materiale, ma vuol dire "mendicante". Va legato al concetto ebraico di anawim, i "poveri di Iahweh", che evoca umiltà, consapevolezza dei propri limiti, della propria condizione esistenziale di povertà. Gli anawim si fidano del Signore, sanno di dipendere da Lui.

    Gesù, come ha ben saputo vedere santa Teresa di Gesù Bambino, nella sua Incarnazione si presenta come un mendicante, un bisognoso in cerca d'amore. Il Catechismo della Chiesa Cattolica parla dell'uomo come di un «mendicante di Dio» (n. 2559) e ci dice che la preghiera è l'incontro della sete di Dio con la nostra sete (n. 2560).

    San Francesco d'Assisi ha compreso molto bene il segreto della Beatitudine dei poveri in spirito. Infatti, quando Gesù gli parlò nella persona del lebbroso e nel Crocifisso, egli riconobbe la grandezza di Dio e la propria condizione di umiltà. Nella sua preghiera il Poverello passava ore a domandare al Signore: «Chi sei tu? Chi sono io?». Si spogliò di una vita agiata e spensierata per sposare "Madonna Povertà", per imitare Gesù e seguire il Vangelo alla lettera. Francesco ha vissuto l'imitazione di Cristo povero e l'amore per i poveri in modo inscindibile, come le due facce di una stessa medaglia.

    Voi dunque mi potreste domandare: come possiamo concretamente far sì che questa povertà in spirito si trasformi in stile di vita, incida concretamente nella nostra esistenza? Vi rispondo in tre punti.

    Prima di tutto cercate di essere liberi nei confronti delle cose. Il Signore ci chiama a uno stile di vita evangelico segnato dalla sobrietà, a non cedere alla cultura del consumo. Si tratta di cercare l'essenzialità, di imparare a spogliarci di tante cose superflue e inutili che ci soffocano. Distacchiamoci dalla brama di avere, dal denaro idolatrato e poi sprecato. Mettiamo Gesù al primo posto. Lui ci può liberare dalle idolatrie che ci rendono schiavi. Fidatevi di Dio, cari giovani! Egli ci conosce, ci ama e non si dimentica mai di noi. Come provvede ai gigli del campo (cfr Mt 6,28), non lascerà che ci manchi nulla! Anche per superare la crisi economica bisogna essere pronti a cambiare stile di vita, a evitare i tanti sprechi. Così come è necessario il coraggio della felicità, ci vuole anche il coraggio della sobrietà.

    In secondo luogo, per vivere questa Beatitudine abbiamo tutti bisogno di conversione per quanto riguarda i poveri. Dobbiamo prenderci cura di loro, essere sensibili alle loro necessità spirituali e materiali. A voi giovani affido in modo particolare il compito di rimettere al centro della cultura umana la solidarietà. Di fronte a vecchie e nuove forme di povertà – la disoccupazione, l'emigrazione, tante dipendenze di vario tipo –, abbiamo il dovere di essere vigilanti e consapevoli, vincendo la tentazione dell'indifferenza. Pensiamo anche a coloro che non si sentono amati, non hanno speranza per il futuro, rinunciano a impegnarsi nella vita perché sono scoraggiati, delusi, intimoriti. Dobbiamo imparare a stare con i poveri. Non riempiamoci la bocca di belle parole sui poveri! Incontriamoli, guardiamoli negli occhi, ascoltiamoli. I poveri sono per noi un'occasione concreta di incontrare Cristo stesso, di toccare la sua carne sofferente.

    Ma – e questo è il terzo punto – i poveri non sono soltanto persone alle quali possiamo dare qualcosa. Anche loro hanno tanto da offrirci, da insegnarci. Abbiamo tanto da imparare dalla saggezza dei poveri! Pensate che un santo del secolo XVIII, Benedetto Giuseppe Labre, il quale dormiva per strada a Roma e viveva delle offerte della gente, era diventato consigliere spirituale di tante persone, tra cui anche nobili e prelati. In un certo senso i poveri sono come maestri per noi. Ci insegnano che una persona non vale per quanto possiede, per quanto ha sul conto in banca. Un povero, una persona priva di beni materiali, conserva sempre la sua dignità. I poveri possono insegnarci tanto anche sull'umiltà e la fiducia in Dio. Nella parabola del fariseo e del pubblicano (Lc 18,9-14), Gesù presenta quest'ultimo come modello perché è umile e si riconosce peccatore. Anche la vedova che getta due piccole monete nel tesoro del tempio è esempio della generosità di chi, anche avendo poco o nulla, dona tutto (Lc 21,1-4).

    4.... perché di essi è il Regno dei cieli

    Tema centrale nel Vangelo di Gesù è il Regno di Dio. Gesù è il Regno di Dio in persona, è l'Emmanuele, Dio-con-noi. Ed è nel cuore dell'uomo che il Regno, la signoria di Dio si stabilisce e cresce. Il Regno è allo stesso tempo dono e promessa. Ci è già stato dato in Gesù, ma deve ancora compiersi in pienezza. Perciò ogni giorno preghiamo il Padre: «Venga il tuo regno».

    C'è un legame profondo tra povertà ed evangelizzazione, tra il tema della scorsa Giornata Mondiale della Gioventù - «Andate e fate discepoli tutti i popoli» (Mt 28,19) - e quello di quest'anno: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3). Il Signore vuole una Chiesa povera che evangelizzi i poveri. Quando inviò i Dodici in missione, Gesù disse loro: «Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento» (Mt 10,9-10). La povertà evangelica è condizione fondamentale affinché il Regno di Dio si diffonda. Le gioie più belle e spontanee che ho visto nel corso della mia vita sono quelle di persone povere che hanno poco a cui aggrapparsi. L'evangelizzazione, nel nostro tempo, sarà possibile soltanto per contagio di gioia.

    Come abbiamo visto, la Beatitudine dei poveri in spirito orienta il nostro rapporto con Dio, con i beni materiali e con i poveri. Davanti all'esempio e alle parole di Gesù, avvertiamo quanto abbiamo bisogno di conversione, di far sì che sulla logica dell'avere di più prevalga quella dell'essere di più! I santi sono coloro che più ci possono aiutare a capire il significato profondo delle Beatitudini. La canonizzazione di Giovanni Paolo II nella seconda domenica di Pasqua, in questo senso, è un evento che riempie il nostro cuore di gioia. Lui sarà il grande patrono delle GMG, di cui è stato l'iniziatore e il trascinatore. E nella comunione dei santi continuerà ad essere per tutti voi un padre e un amico.

    Nel prossimo mese di aprile ricorre anche il trentesimo anniversario della consegna ai giovani della Croce del Giubileo della Redenzione. Proprio a partire da quell'atto simbolico di Giovanni Paolo II iniziò il grande pellegrinaggio giovanile che da allora continua ad attraversare i cinque continenti. Molti ricordano le parole con cui il Papa, la domenica di Pasqua del 1984, accompagnò il suo gesto: «Carissimi giovani, al termine dell'Anno Santo affido a voi il segno stesso di quest'Anno Giubilare: la Croce di Cristo! Portatela nel mondo, come segno dell'amore del Signore Gesù per l'umanità, ed annunciate a tutti che solo in Cristo morto e risorto c'è salvezza e redenzione».

    Cari giovani, il Magnificat, il cantico di Maria, povera in spirito, è anche il canto di chi vive le Beatitudini. La gioia del Vangelo sgorga da un cuore povero, che sa esultare e meravigliarsi per le opere di Dio, come il cuore della Vergine, che tutte le generazioni chiamano "beata" (cfr Lc 1,48). Lei, la madre dei poveri e la stella della nuova evangelizzazione, ci aiuti a vivere il Vangelo, a incarnare le Beatitudini nella nostra vita, ad avere il coraggio della felicità.

    Dal Vaticano, 21 gennaio 2014, memoria di Sant'Agnese, vergine e martire


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    VII DOMENICA TEMPO ORDINARIO(2014) (Mt5, 38-48)


    Essere sale del mondo, lampioni piantati sul cammino dell'uomo del nostro tempo, specchio del volto di Dio Padre, seme di felicità, sorgente di beatitudine, custode dell'amore indefettibile ed eterno. Tutto questo è un buon cristiano. Ma a quale prezzo? Gesu' chiama a vivere ad un livello alto la nostra fede in Lui che si mette al fianco di ogni uomo perché ciascuno possa scoprire con Lui la strada della felicità e percorrerla sempre anche quando è scoscesa o inerpicata e insidiosa.

    Gesù non fa sconti, è un coach che ci spinge sempre a superare noi stessi alza sempre l'asticella del salto in alto dell'amore che può diventare divinamente umano nella misura in cui supera il buon senso secondo gli uomini per raggiungere la stoltezza della croce, la sapienza di Colui che è pronto a morire per amore ed in questo morire inaugura il nostro vivere da Dio.

    Domenica scorsa abbiamo affrontato con lui quattro aspetti molto importanti nella vita di tutti: l'omicidio che non è solo quello fisico, il perdono che vale più del culto, l'adulterio come tradimento al sogno di Dio e il giuramento come visione pagana di Dio e del fratello.

    Questa settimana siamo chiamati ad uscire fuori dalle nostre logiche circa la vendetta e la giustizia per lanciarci a vivere secondo la logica di Dio che fa piovere sui giusti e sugli ingiusti, fa splendere il sole sui buoni e sui cattivi, siamo chiamati ad divenire perfetti in questa logica del volere il bene di tutti anche di coloro che oggi o ieri mi sono stati di inciampo, o avversi, o scomodi

    La cosiddetta legge del taglione, "occhio per occhio, dente per dente, mano per mano..", che a noi sembra barbara e incivile, in realtà fissa una norma di giustizia sociale ancora attuale: la reazione deve essere proporzionata al danno, all'offesa. L'uomo non è in grado di ponderare la reazione ai torti subiti e tende alla vendetta, a rendere il doppio o il triplo per il male ricevuto, innescando un circolo di violenza distruttivo e devastante. Quante volte la reazione è sproporzionata, abnorme. E senza andare a cercare le grandi relazioni internazionali, pensiamo ai rapporti in famiglia, in ufficio, in auto: un piccolo gesto, una parola di troppo, scatena una reazione eccessiva, uno scatto d'ira.

    Eppure Gesù propone a noi suoi discepoli di volare più in alto, di andare oltre: dice non opporti al malvagio, cioè non resistere al male facendo il male, non fronteggiare il male secondo la sua logica perché non faresti il bene per nessuno, porteresti solo male nell'altrui e nella tua vita!.

    Certo: se un pazzo mi sta accoltellando oppure attenta alla vita di mio figlio la difesa diventa naturale ed è bene che lo faccia.

    Ma, in determinate occasioni, lo Spirito può infiammare i nostri cuori rendendoci capaci, come Cristo, di donare la vita. Certo, nel quotidiano succede di rado di rischiare la pelle – per fortuna- ma spesso dobbiamo scegliere se reagire ad una provocazione, questo ci capita quasi tutti i giorni e anche più volte al giorno. Ripensiamo alle tante volte in cui ci siamo trovati nella situazione di reagire in malo modo, di assecondare la stanchezza o l'irritazione e di prendercela con qualcuno e magari questa parola del vangelo mi ha frenato o ha cercato di farlo e io non ho sentito magari e mi sono reso sordo al bene pur di appagare il mio impulso di rivalsa o di difesa o di attacco!

    Eppure, la storia della santità, la storia dei cristiani e degli uomini di buona volontà, che ci hanno preceduto o hanno vissuto o vivono questo nostro stesso tempo, da Santo Stefano a Francesco, passando per santa Rita o santa Giuseppina Bakita, fino a uomini come Gandhi e tanti testimoni dell'oggi, ci dice che la pace vissuta con profondità può scardinare le logiche violente del mondo.

    Amate i vostri nemici e pregate per loro, dice Gesù ai suoi, sapendo che vivono una logica di amore verso un prossimo ben identificato, colui che appartiene al popolo di Israele. Gli altri non sono prossimi e quindi non vi è alcun obbligo di amarli, ma Gesù anche qui alza il tiro e mostra la volontà del Padre di essere annunciato come tale a tutti gli uomini proprio in questo amore folle ma fondato sulla medesima origine d'appartenenza: Lui. Amare chi ti ama non è così meritorio o eccezionale; amare invece chi ti odia o ti ha fatto del male, pregare perché cambi il suo cuore d'odio e scopra l'amore, questo ti farà imitatore del Padre, ti renderà simile al Figlio che per primo dalla croce perdona tutti. Il suo sangue ricade sulla testa dei carnefici non come pegno della vendetta ma come acqua scrosciante che spazza il risentimento, l'odio, il rancore. E dal costato trafitto un fiume d'amore ci avvolge, lava e leviga i nostri cuori di pietra, ci restituisce i nostri cuori di carne.

    Certo lo sappiamo tutti che possiamo provare antipatia per una persona e simpatia per un'altra, ma il Signore ci insegna che possiamo andare oltre le antipatie per trovare quello che ci unisce rimanendo ciascuno se stesso. Ugualmente possiamo difendere ciò che è nostro, le nostre cose, la nostra casa le nostre terre ma il vangelo ci offre la possibilità alta di farlo attraverso il dialogo, il confronto, la reciproca conoscenza e se questo non dovesse bastare, dice il vangelo, consegna guancie, mantelli e tuniche, rendi saldo e salvo il tuo cuore, sottrailo alla logica della violenza. Se non lo farai, da questo tuo corrotto, verranno le guerre: tra popoli di una stessa terra, nelle famiglie, addirittura tra chi si è promesso amore eterno, o tra chi si allattato allo stesso seno.

    Gesù conosce la nostra umanità, la nostra parte in ombra, ed è per questo che ci chiede di alimentare quella piccola lucerna che è in noi in modo che le tenebre non ci travolgano e i nostri passi non vadano perduti. Ci dice come alimentare questa fiamma affinché sia sempre viva. Solo così la parte luminosa di noi può sconfiggere l'oscurità emergente, può sconfiggere la parte peggiore di noi stessi. Le tenebre sono tali da richiedere un grande dispendio di energie. Ho bisogno d'amore dice il verso di una canzone, di un overdose d'amore. Ma attenzione non dobbiamo vivere dell'amore ricevuto ma di quello donato. Se essere cristiani non cambia le nostre scelte, non cambia la nostra vita, le nostre reazioni, significa che il Vangelo non è scritto nel nostro cuore. La Parola non ha la mia carne!

    Gesù è diretto e trasparente; è esigente, chiede tanto perché dona tanto.

    Non vuole discepoli superficiali, distratti, assoggettati a logiche comode ma distruttive, ad un vivere scialbo e contingente. Gesù vuole uomini e donne capaci di dire, vivendo, chi è veramente Dio, chi è davvero l'uomo.

    L'evangelista Matteo conclude: imitate il Padre, imitate Dio, siate perfetti come lui.

    Luca esplica questa perfezione, dice infatti: siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro. Non si tratta quindi di uno sforzo impossibile, ma di accogliere l'opera di Dio in noi.

    Rendere possibile la manifestazione di Dio in noi in quella sua caratteristica: la Misericordia. Guardare col cuore alla nostra miseria. Dare il cuore "per senza niente". GRATIS!

    Diventiamo perfetti come il Padre quando ci ricordiamo che anche in chi è violento può esserci una scintilla di bontà che alimentata dal nostro amore può illuminare la creatura bella che le tenebre hanno offuscato.

    Diventiamo perfetti quando guardiamo al lato positivo della realtà e delle persone, alla luce che è in noi e a quella che è negli altri.

    Diventiamo perfetti come il Padre quando è la compassione a prevalere, quando lasciamo che sia la misericordia a vincere, quando consentiamo alla misericordia di avere la meglio nella nostra storia e nella storia dell'umanità.

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    "AVETE INTESO CHE FU DETTO...
    MA IO VI DICO..."


    Dal Vangelo secondo Matteo 
    (5,17-37 - passim)

    avete intesoIn quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.

    Avete inteso che fu detto agli antichi: "Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio". Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio.

    Avete inteso che fu detto: "Non commetterai adulterio". Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore.

    Avete anche inteso che fu detto agli antichi: "Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti". Ma io vi dico: non giurate affatto. Sia invece il vostro parlare: "sì, sì", "no, no"; il di più viene dal Maligno».



    PREGHIERA

    O Gesù, come sono esigenti le tue parole!
    Tante volte vorremmo non averle ascoltate
    per dare libero sfogo ai nostri impulsi
    di una giustizia terra terra,
    di un amore che tradisce,
    di una fraternità molto interessata.
    «Ma io vi dico», e la tua parola risuona in noi,
    scuote la coscienza e obbliga a guardarci dentro,
    nel profondo.
    Vieni in noi
    e aiutaci a non avere paura di Te,
    delle tue esigenze d'amore,
    per essere come Te
    liberi di amare come ami Tu.



    il parroco

    cuore tagliato"Non crediate che io sia venuto ad abolire... ma a dare pieno compimento". Così l'inizio del vangelo odierno, che porta alle estreme conseguenze "il discorso della montagna", le beatitudini. Tra quanto è stato detto e proposto nell'antico, non solo non viene abolito, ma portato alla perfezione, superando la stessa osservanza della Legge. Gesù non si presenta come tanti "capi" che con promesse illusorie offrono facili ed immediati cambiamenti di leggi e tutto tornerà bello, utile. La prima assoluta novità è la sua Persona, è Lui il primo obbediente al Padre, che con la sua morte porta a pieno compimento la Legge. San Paolo lo esprime con chiarezza: "Si è fatto obbediente fino alla morte e alla morte di croce". La semplice osservanza legale non è sufficiente per essere suoi discepoli. Ed ecco che scende nella vita reale dell'uomo per entrare nell'intimo del cuore umano. In breve: Se ti accontenti di non uccidere e poi non ami il fratello, hai osservato la legge, ma il tuo cuore è omicida. Se, dai dello stupido o matto al fratello sarai sottoposto a giudizio severo. In questo, chi si salva da giudizio, se il linguaggio che usiamo è così spregiudicato, offensivo? " Se guardi una donna per desiderarla hai già commesso adulterio con lei nel tuo cuore". Gesù ci offre una misura alta di purità interiore, di rispetto dell'altro per non far prevalere la fame insaziabile di possesso dell'altro, del suo cuore, del suo corpo. Il comandamento "non desiderare la donna d'altri" viene portato alla perfezione con il rispetto totale, scoprendo l'immagine stessa di Dio e non un oggetto da usare a proprio piacimento o una merce da comprare per soddisfare le proprie passioni. Così "il vostro parlare: sì, sì, no" riduce le tante, troppe parole, che vendono fumo e tradiscono la verità, portando all'essenziale la comunicazione umana e fa crescere la comunione. Le beatitudini sono punto di arrivo per ogni discepolo che vuol vivere il Vangelo, rappresentano la prova del nove e nel contempo fanno sperimentare tutta la loro verità fin d'ora. Apriamoci con fiducia al Vangelo, Lui ci donerà lo Spirito per accoglierlo e viverlo. Grazie a Pasquale Calorio per quanto la sua lettura evangelica !

    P. Raffaele Angelo Tosto(tostangelo@yahoo.it)



    NOVITA' DI VITA

    "Se io presento le mie offerte all'altare e lì mi ricordo che mio fratello ha qualcosa contro di me, lascio lì il mio dono, vado prima a riconciliarmi con lui e poi torno a offrire il mio dono". La vita con la sua realtà ci mette continuamente alla prova e il male, in ogni sua forma, ci induce al tradimento, alla calunnia, alla falsità. In ogni uomo si nasconde Caino e Abele e quando prevale la cattiveria si rivelano soprusi, guerre, oppressioni di chi si crede forte verso chi è più debole. È il Signore a guidarci al perdono, all'onestà, all'amore fraterno, soprattutto quando qualcuno ci volta le spalle. In questo modo superiamo l'egoismo e la superbia che rompono le relazioni umane e con Dio. L'evangelista Matteo quando parla di giustizia superiore non l'associa alla quantità, ma alla qualità, come appare nell'adulterio, nel giuramento. La parola di Gesù, se la sappiamo accogliere, ci dona quella novità di vita che è venuto a portarci.

    Calorio Pasquale





    MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO PER LA XXIX GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ 2014

    «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5, 3)

    Cari giovani,

    è impresso nella mia memoria lo straordinario incontro che abbiamo vissuto a Rio de Janeiro, nella XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù: una grande festa della fede e della fraternità! La brava gente brasiliana ci ha accolto con le braccia spalancate, come la statua del Cristo Redentore che dall'alto del Corcovado domina il magnifico scenario della spiaggia di Copacabana. Sulle rive del mare Gesù ha rinnovato la sua chiamata affinché ognuno di noi diventi suo discepolo missionario, lo scopra come il tesoro più prezioso della propria vita e condivida questa ricchezza con gli altri, vicini e lontani, fino alle estreme periferie geografiche ed esistenziali del nostro tempo.

    beati poveriLa prossima tappa del pellegrinaggio intercontinentale dei giovani sarà a Cracovia, nel 2016. Per scandire il nostro cammino, nei prossimi tre anni vorrei riflettere insieme a voi sulle Beatitudini evangeliche, che leggiamo nel Vangelo di san Matteo (5,1-12). Quest'anno inizieremo meditando sulla prima: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3); per il 2015 propongo «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8); e infine, nel 2016, il tema sarà «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5,7).

    1. La forza rivoluzionaria delle Beatitudini

    Ci fa sempre molto bene leggere e meditare le Beatitudini! Gesù le ha proclamate nella sua prima grande predicazione, sulla riva del lago di Galilea. C'era tanta folla e Lui salì sulla collina, per ammaestrare i suoi discepoli, perciò quella predica viene chiamata "discorso della montagna". Nella Bibbia, il monte è visto come luogo dove Dio si rivela, e Gesù che predica sulla collina si presenta come maestro divino, come nuovo Mosè. E che cosa comunica? Gesù comunica la via della vita, quella via che Lui stesso percorre, anzi, che Lui stesso è, e la propone come via della vera felicità. In tutta la sua vita, dalla nascita nella grotta di Betlemme fino alla morte in croce e alla risurrezione, Gesù ha incarnato le Beatitudini. Tutte le promesse del Regno di Dio si sono compiute in Lui.

    Nel proclamare le Beatitudini Gesù ci invita a seguirlo, a percorrere con Lui la via dell'amore, la sola che conduce alla vita eterna. Non è una strada facile, ma il Signore ci assicura la sua grazia e non ci lascia mai soli. Povertà, afflizioni, umiliazioni, lotta per la giustizia, fatiche della conversione quotidiana, combattimenti per vivere la chiamata alla santità, persecuzioni e tante altre sfide sono presenti nella nostra vita. Ma se apriamo la porta a Gesù, se lasciamo che Lui sia dentro la nostra storia, se condividiamo con Lui le gioie e i dolori, sperimenteremo una pace e una gioia che solo Dio, amore infinito, può dare.

    Le Beatitudini di Gesù sono portatrici di una novità rivoluzionaria, di un modello di felicità opposto a quello che di solito viene comunicato dai media, dal pensiero dominante. Per la mentalità mondana, è uno scandalo che Dio sia venuto a farsi uno di noi, che sia morto su una croce! Nella logica di questo mondo, coloro che Gesù proclama beati sono considerati "perdenti", deboli. Sono esaltati invece il successo ad ogni costo, il benessere, l'arroganza del potere, l'affermazione di sé a scapito degli altri.

    Gesù ci interpella, cari giovani, perché rispondiamo alla sua proposta di vita, perché decidiamo quale strada vogliamo percorrere per arrivare alla vera gioia. Si tratta di una grande sfida di fede. Gesù non ha avuto paura di chiedere ai suoi discepoli se volevano davvero seguirlo o piuttosto andarsene per altre vie (cfr Gv 6,67). E Simone detto Pietro ebbe il coraggio di rispondere: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Gv 6,68). Se saprete anche voi dire "sì" a Gesù, la vostra giovane vita si riempirà di significato, e così sarà feconda.

    2. Il coraggio della felicità

    Ma che cosa significa "beati" (in greco makarioi)? Beati vuol dire felici. Ditemi: voi aspirate davvero alla felicità? In un tempo in cui si è attratti da tante parvenze di felicità, si rischia di accontentarsi di poco, di avere un'idea "in piccolo" della vita. Aspirate invece a cose grandi! Allargate i vostri cuori! Come diceva il beato Piergiorgio Frassati, «vivere senza una fede, senza un patrimonio da difendere, senza sostenere in una lotta continua la verità, non è vivere ma vivacchiare. Noi non dobbiamo mai vivacchiare, ma vivere» (Lettera a I. Bonini, 27 febbraio 1925). Nel giorno della Beatificazione di Piergiorgio Frassati, il 20 maggio 1990, Giovanni Paolo II lo chiamò «uomo delle Beatitudini» (Omelia nella S. Messa: AAS 82 [1990], 1518).

    Se veramente fate emergere le aspirazioni più profonde del vostro cuore, vi renderete conto che in voi c'è un desiderio inestinguibile di felicità, e questo vi permetterà di smascherare e respingere le tante offerte "a basso prezzo" che trovate intorno a voi. Quando cerchiamo il successo, il piacere, l'avere in modo egoistico e ne facciamo degli idoli, possiamo anche provare momenti di ebbrezza, un falso senso di appagamento; ma alla fine diventiamo schiavi, non siamo mai soddisfatti, siamo spinti a cercare sempre di più. È molto triste vedere una gioventù "sazia", ma debole.

    San Giovanni scrivendo ai giovani diceva: «Siete forti e la parola di Dio rimane in voi e avete vinto il Maligno» (1 Gv 2,14). I giovani che scelgono Cristo sono forti, si nutrono della sua Parola e non si "abbuffano" di altre cose! Abbiate il coraggio di andare contro corrente. Abbiate il coraggio della vera felicità! Dite no alla cultura del provvisorio, della superficialità e dello scarto, che non vi ritiene in grado di assumere responsabilità e affrontare le grandi sfide della vita!

    3. Beati i poveri in spirito...

    La prima Beatitudine, tema della prossima Giornata Mondiale della Gioventù, dichiara felici i poveri in spirito, perché a loro appartiene il Regno dei cieli. In un tempo in cui tante persone soffrono a causa della crisi economica, accostare povertà e felicità può sembrare fuori luogo. In che senso possiamo concepire la povertà come una benedizione?

    Prima di tutto cerchiamo di capire che cosa significa «poveri in spirito». Quando il Figlio di Dio si è fatto uomo, ha scelto una via di povertà, di spogliazione. Come dice san Paolo nella Lettera ai Filippesi: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l'essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini» (2,5-7). Gesù è Dio che si spoglia della sua gloria. Qui vediamo la scelta di povertà di Dio: da ricco che era, si è fatto povero per arricchirci per mezzo della sua povertà (cfr 2 Cor 8,9). E' il mistero che contempliamo nel presepio, vedendo il Figlio di Dio in una mangiatoia; e poi sulla croce, dove la spogliazione giunge al culmine.

    L'aggettivo greco ptochós (povero) non ha un significato soltanto materiale, ma vuol dire "mendicante". Va legato al concetto ebraico di anawim, i "poveri di Iahweh", che evoca umiltà, consapevolezza dei propri limiti, della propria condizione esistenziale di povertà. Gli anawim si fidano del Signore, sanno di dipendere da Lui.

    Gesù, come ha ben saputo vedere santa Teresa di Gesù Bambino, nella sua Incarnazione si presenta come un mendicante, un bisognoso in cerca d'amore. Il Catechismo della Chiesa Cattolica parla dell'uomo come di un «mendicante di Dio» (n. 2559) e ci dice che la preghiera è l'incontro della sete di Dio con la nostra sete (n. 2560).

    San Francesco d'Assisi ha compreso molto bene il segreto della Beatitudine dei poveri in spirito. Infatti, quando Gesù gli parlò nella persona del lebbroso e nel Crocifisso, egli riconobbe la grandezza di Dio e la propria condizione di umiltà. Nella sua preghiera il Poverello passava ore a domandare al Signore: «Chi sei tu? Chi sono io?». Si spogliò di una vita agiata e spensierata per sposare "Madonna Povertà", per imitare Gesù e seguire il Vangelo alla lettera. Francesco ha vissuto l'imitazione di Cristo povero e l'amore per i poveri in modo inscindibile, come le due facce di una stessa medaglia.

    Voi dunque mi potreste domandare: come possiamo concretamente far sì che questa povertà in spirito si trasformi in stile di vita, incida concretamente nella nostra esistenza? Vi rispondo in tre punti.

    Prima di tutto cercate di essere liberi nei confronti delle cose. Il Signore ci chiama a uno stile di vita evangelico segnato dalla sobrietà, a non cedere alla cultura del consumo. Si tratta di cercare l'essenzialità, di imparare a spogliarci di tante cose superflue e inutili che ci soffocano. Distacchiamoci dalla brama di avere, dal denaro idolatrato e poi sprecato. Mettiamo Gesù al primo posto. Lui ci può liberare dalle idolatrie che ci rendono schiavi. Fidatevi di Dio, cari giovani! Egli ci conosce, ci ama e non si dimentica mai di noi. Come provvede ai gigli del campo (cfr Mt 6,28), non lascerà che ci manchi nulla! Anche per superare la crisi economica bisogna essere pronti a cambiare stile di vita, a evitare i tanti sprechi. Così come è necessario il coraggio della felicità, ci vuole anche il coraggio della sobrietà.

    In secondo luogo, per vivere questa Beatitudine abbiamo tutti bisogno di conversione per quanto riguarda i poveri. Dobbiamo prenderci cura di loro, essere sensibili alle loro necessità spirituali e materiali. A voi giovani affido in modo particolare il compito di rimettere al centro della cultura umana la solidarietà. Di fronte a vecchie e nuove forme di povertà – la disoccupazione, l'emigrazione, tante dipendenze di vario tipo –, abbiamo il dovere di essere vigilanti e consapevoli, vincendo la tentazione dell'indifferenza. Pensiamo anche a coloro che non si sentono amati, non hanno speranza per il futuro, rinunciano a impegnarsi nella vita perché sono scoraggiati, delusi, intimoriti. Dobbiamo imparare a stare con i poveri. Non riempiamoci la bocca di belle parole sui poveri! Incontriamoli, guardiamoli negli occhi, ascoltiamoli. I poveri sono per noi un'occasione concreta di incontrare Cristo stesso, di toccare la sua carne sofferente.

    Ma – e questo è il terzo punto – i poveri non sono soltanto persone alle quali possiamo dare qualcosa. Anche loro hanno tanto da offrirci, da insegnarci. Abbiamo tanto da imparare dalla saggezza dei poveri! Pensate che un santo del secolo XVIII, Benedetto Giuseppe Labre, il quale dormiva per strada a Roma e viveva delle offerte della gente, era diventato consigliere spirituale di tante persone, tra cui anche nobili e prelati. In un certo senso i poveri sono come maestri per noi. Ci insegnano che una persona non vale per quanto possiede, per quanto ha sul conto in banca. Un povero, una persona priva di beni materiali, conserva sempre la sua dignità. I poveri possono insegnarci tanto anche sull'umiltà e la fiducia in Dio. Nella parabola del fariseo e del pubblicano (Lc 18,9-14), Gesù presenta quest'ultimo come modello perché è umile e si riconosce peccatore. Anche la vedova che getta due piccole monete nel tesoro del tempio è esempio della generosità di chi, anche avendo poco o nulla, dona tutto (Lc 21,1-4).

    4.... perché di essi è il Regno dei cieli

    Tema centrale nel Vangelo di Gesù è il Regno di Dio. Gesù è il Regno di Dio in persona, è l'Emmanuele, Dio-con-noi. Ed è nel cuore dell'uomo che il Regno, la signoria di Dio si stabilisce e cresce. Il Regno è allo stesso tempo dono e promessa. Ci è già stato dato in Gesù, ma deve ancora compiersi in pienezza. Perciò ogni giorno preghiamo il Padre: «Venga il tuo regno».

    C'è un legame profondo tra povertà ed evangelizzazione, tra il tema della scorsa Giornata Mondiale della Gioventù - «Andate e fate discepoli tutti i popoli» (Mt 28,19) - e quello di quest'anno: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3). Il Signore vuole una Chiesa povera che evangelizzi i poveri. Quando inviò i Dodici in missione, Gesù disse loro: «Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento» (Mt 10,9-10). La povertà evangelica è condizione fondamentale affinché il Regno di Dio si diffonda. Le gioie più belle e spontanee che ho visto nel corso della mia vita sono quelle di persone povere che hanno poco a cui aggrapparsi. L'evangelizzazione, nel nostro tempo, sarà possibile soltanto per contagio di gioia.

    Come abbiamo visto, la Beatitudine dei poveri in spirito orienta il nostro rapporto con Dio, con i beni materiali e con i poveri. Davanti all'esempio e alle parole di Gesù, avvertiamo quanto abbiamo bisogno di conversione, di far sì che sulla logica dell'avere di più prevalga quella dell'essere di più! I santi sono coloro che più ci possono aiutare a capire il significato profondo delle Beatitudini. La canonizzazione di Giovanni Paolo II nella seconda domenica di Pasqua, in questo senso, è un evento che riempie il nostro cuore di gioia. Lui sarà il grande patrono delle GMG, di cui è stato l'iniziatore e il trascinatore. E nella comunione dei santi continuerà ad essere per tutti voi un padre e un amico.

    Nel prossimo mese di aprile ricorre anche il trentesimo anniversario della consegna ai giovani della Croce del Giubileo della Redenzione. Proprio a partire da quell'atto simbolico di Giovanni Paolo II iniziò il grande pellegrinaggio giovanile che da allora continua ad attraversare i cinque continenti. Molti ricordano le parole con cui il Papa, la domenica di Pasqua del 1984, accompagnò il suo gesto: «Carissimi giovani, al termine dell'Anno Santo affido a voi il segno stesso di quest'Anno Giubilare: la Croce di Cristo! Portatela nel mondo, come segno dell'amore del Signore Gesù per l'umanità, ed annunciate a tutti che solo in Cristo morto e risorto c'è salvezza e redenzione».

    Cari giovani, il Magnificat, il cantico di Maria, povera in spirito, è anche il canto di chi vive le Beatitudini. La gioia del Vangelo sgorga da un cuore povero, che sa esultare e meravigliarsi per le opere di Dio, come il cuore della Vergine, che tutte le generazioni chiamano "beata" (cfr Lc 1,48). Lei, la madre dei poveri e la stella della nuova evangelizzazione, ci aiuti a vivere il Vangelo, a incarnare le Beatitudini nella nostra vita, ad avere il coraggio della felicità.

    Dal Vaticano, 21 gennaio 2014, memoria di Sant'Agnese, vergine e martire


    FRANCESCO


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    VI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (2014)


    "Qui Gesù proprio non mi piace!"

    E' stato questo il primo pensiero che mi è venuto in mente leggendo il brano del Vangelo. Questo brano è la continuazione del lungo discorso iniziato con le beatitudini, ma sinceramente mi sembra che lo spirito delle parole pronunciate sulla montagna sia lontano migliaia di chilometri, anche se è collocato nello stesso luogo.

    Gesù parla di regole da osservare minuziosamente; parla di punizioni e giudizi anche per una semplice offesa. Gesù è duro anche con un solo sguardo di desiderio. Parla di occhi da cavare e mani da tagliare e menziona più volte il fuoco della Geena .

    Gesù proprio non mi piace, e vorrei saltare alle pagine successive, e sento quasi la nostalgia del discorso arioso e liberante delle beatitudini.

    Tuttavia più leggo queste parole, anche se sono dure, più mi accorgo che Gesù non le pronuncia per spaventarmi e per schiacciare la mia vita di fede coi sensi di colpa. Al contrario Gesù, amico e maestro, mi vuole vero e mi vuole libero e d è per questo che mi provoca a comprendere in pienezza i comandamenti secondo l'amore vero che Lui ha vissuto e annunciato.

    Le Beatitudini sono la leva del cuore per dare sapore alla nostra vita e diventare luce, diventare lampioni posti sul cammino dell'uomo del nostro tempo, città sul monte aperta a tutti gli uomini desiderosi di innalzarsi a Dio: ecco perché Gesù con fermezza assoluta oggi ci provoca a diventare autentici cristiani.

    Gesù insiste su questa rivoluzione interiore. Non è uno che abolisce le norme, o un buontempone che dice "liberi tutti" come vorrebbero alcuni che confondono l'amore con i propri appetiti e piegano Dio alle proprie teorie.

    Non vuole gettare alle ortiche la Torah, ma riportarla alla sua origine, al suo cuore. Perché la parola stessa – Torah - tradotta come Legge, in realtà deriva dalla radice iaràh, che descrive il volo della freccia: fulmineo, diretto, sibilante. La Torah, quindi, è stata lanciata da Dio come indicazione certa per la felicità dell'uomo, la scia da seguire per librarsi e volare in alto, essere liberi. E la norma diventa la veste dell'amore, la forma dell'impegno, la struttura che sorregge e rende credibile l'emozione. E Gesù, con le Beatitudini, è venuto a completare quella indicazione.

    Guai a chi si permette di cambiare anche solo una virgola di quelle indicazioni, guai a trasgredire anche un solo precetto del discorso della montagna, anche solo minimo. Significa diventare minimo davanti a Dio.

    Solo che, siamo sinceri, forse nemmeno ci ricordiamo quali siano le beatitudini.

    Gesù, tanto per non essere frainteso, affronta cinque questioni specifiche, cinque interpretazioni della Legge che, dal suo punto di vista, sono state ampiamente tradite. Tre ce le propone la liturgia di oggi, con le altre due ci confronteremo domenica prossima.

    Accusato di non voler rispettare le prescrizioni, Gesù ribalta le accuse mostrando come sono proprio i suoi avversari a non volerci avere nulla a che fare.

    E allora rilegge la Scrittura e la riporta all'origine. Prende le leggi fatte dagli uomini per tentare di "proteggere" la Legge di Dio e le smonta.

    Quel ma io vi dico, perentorio, provocatorio, scomodo perché pronunciato da un falegname fattosi profeta, ci dice la misura dell'autorevolezza di Gesù, capace di mettere in discussione ciò che nessuno mai avrebbe osato contestare.

    Sull'invito a non uccidere c'è poco da discutere. E, in un modo o nell'altro, tutti rispettavano tale norma, eccetto il caso di legittima difesa.

    Quello che fa Gesù è molto più radicale: ricorda a tutti che possiamo uccidere in mille modi.

    Col giudizio, con la critica, con l'indifferenza, con il pettegolezzo...

    Mille modi di uccidere che contrastano chi osserva i comandamenti senza fare la volontà di Dio. I miei avversari politici, quei parenti scorretti, il compagno arrivista e sleale non sono pazzi, folli, stupidi ma, dice bene il Signore, sono anzitutto fratelli.

    E se posso avere usato violenza interiore, e accade, allora ho uno strumento prezioso: la richiesta di perdono, l'ammettere di avere oltrepassato il limite, chiedere scusa.

    Un perdono che è superiore al culto.

    Per i rabbini non bisogna interrompere lo Shemà, la preghiera più sacra per un ebreo, nemmeno se un serpente sale sulla gamba. Gesù chiede di interrompere la preghiera e l'offerta al tempio (!) per tentare di riconciliarsi col fratello che ce l'ha con te.

    Non farlo, non mettersi d'accordo, non tentare una conciliazione, significa rischiare di presentarsi davanti al giudice, a Dio, senza essere ascoltati.

    I farisei e i rabbini interpretavano la Legge a svantaggio delle donne, autorizzando il divorzio maschilista. Gesù nega questa opportunità, chiarisce che questo modo di fare piega la volontà di Dio, la tradisce. Dio pensa che un uomo e una donna possano vivere insieme tutta la vita e che le passioni e i sentimenti sono al servizio della persona e non dominano le sue scelte.

    Dio ha un progetto d'amore sulla coppia: dire oggi questo in cui tutto è permesso, la fedeltà è cosa ridicola, una coppia stabile sta diventando una eccezione e non la norma è difficile ma Gesù ci mette in guardia: se tu non custodisci il tuo sguardo, non controlli il tuo cuore se tu non sai gestire le tue emozioni e ti abbandoni ad esse mettendole come metro di giudizio di quello che fai allora finirai nella Geena.

    La geenna è una della due valli che circondano Gerusalemme e quando Davide prende la città ai Gebusei sapendo che lì si consumavano sacrifici umani viene considerata area maledetta da Dio e non si costruisce là, si finisce per buttare la spazzatura per poi bruciarla. Ecco Gesù dice se tu alla tua affettività non sei in grado di dare ordine, di dare uno scopo alto e bello, di vivere nella fedeltà, se non vigili su te stesso diventi immondizia pronta per lo smaltimento in una discarica.

    Occorre vigilare con lo sguardo e con le azioni sapendo che la tentazione di tradire un progetto, una persona è sempre presente ed implica la perdita della parte più autentica di noi stessi.

    E sempre di autenticità Gesù parla condannando severamente la brutta abitudine, ereditata dall'esilio in Babilonia, di intercalare il discorso giurando continuamente. Abitudine orribile che ha alle spalle una visione superstiziosa di Dio, chiamato a giudice e vendicatore degli uomini e una sfiducia totale verso i fratelli.

    Il nostro linguaggio deve essere trasparente e libero, autentico e corretto.

    Il di più viene dal maligno.

    Gesù non va per il sottile ed è esigente quando dice "se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli".. Le beatitudini devono concretizzarsi, i comandamenti vanno accolti nella loro divina profondità per diventare uomini giusti e non farisei osservanti un culto esteriore, non essere tra coloro che vengono a messa per poi aggiustarsi la vita a modo proprio. La vita nella fede, la vita in Dio come ce la insegna Gesù Cristo è esigente quanto beata se riusciamo a viverla in pienezza senza compromessi e slabbrature.

    Potrei dire che ora mi piace questo Gesù, ma sarebbe una bugia perché quello mite e compassionevole mi fa sentire protetto e amato. Questo invece rimane duro e con parole di fuoco. Che strano però! Pensavo le stesse cose anche di mio padre o di mia madre quando mi dicevano: "così é! Si è si, No è no!"

    Preferivo ricevere anche da loro abbracci e carezze; e tuttavia, senza quei "NO", sarei mai diventato adulto? I divieti fanno crescere tanto quanto gli abbracci. L'erba amara cura quanto il miele.

    E il fuoco d'amore di Gesù divampa non per distruggere piuttosto per illuminare anche le parte più buie del nostro essere e portare quella fiamma viva che scalda l'anima.

    Chiudo meditando le parole di una poetessa che ha fatto della sua esperienza di Gesù poesia:

    [e vedo un...] uomo
    più grande,
    più severo,
    più possente,
    un uomo che mi indica
    la guarigione dell'anima.
    ...
    Gesù,
    sei certamente un poderoso mantello,
    sei una spiaggia illimitata,
    sei un prato che non ha mai agonie,
    sei un fiore che si risveglia ogni mattino,
    sei un canto,
    sei il mio stesso sguardo.
    Molti mi guardano negli occhi
    e rimangono estatici
    perché capiscono che io ti ho visto,
    che ti ho sentito,
    o che perlomeno qualche volta
    ti ho anche tradito.

    Alda Merini
  • eco della parola


    V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

    Voi siete sale della terra e luce del mondo


    Passata la parentesi della Candelora o festa della presentazione al tempio, torniamo alla lettura continua del vangelo di Matteo. Purtroppo riprendiamo il filo avendo "saltato" una puntata, quella del discorso della montagna, di cui il Vangelo di oggi è il seguito. Gesu' dopo aver espresso il cuore del suo messaggio con le beatitudini continua a parlare e dice "Voi siete il sale... voi siete luce.... risplenda la vostra luce...".

    Gesu' dice "voi" perché parla a noi. Siamo noi tra i suoi discepoli, siamo noi su quelle rive del lago, noi su quella spianata, noi che mangeremo il suo pane.

    Tu, Giovanni, sei sale della terra... tu, Giovanni, sei luce del mondo...! Voi, dice Gesu', raggiunti dalla mia Parola, che la ascoltiate o le leggiate, siete sale e luce, e la vostra luce rispenda!

    Per cui mentre ascoltiamo queste parole o le leggiamo nell'intimità della nostra mura non assumiamo l'atteggiamento di chi sta origliando discorsi fatti ad altri, ma sentiamo che quel messaggio Gesù lo dice a noi, a me, discepoli di oggi, con tutto il nostro carico di umanità fatta di limiti, dubbi, cammini diversi. E' un "voi" che ha come unica condizione il credere.

    Non dice "voi siete..." condizionandolo a qualche particolare qualità o irreprensibilità morale, del tipo "voi siete sale e luce se siete senza peccati, se obbedite a tutte le leggi e regole...." Tantomeno Gesu' lo vincola al perfetto stato di salute o di efficienza fisica o all'appartenenza etnica o culturale. Tutti i credenti siamo sale e luce!

    Ma che significa essere sale e luce della terra secondo la logica di Dio? Che dicono queste affermazioni di Gesù della nostra identità di cristiani?E perché proprio sale e luce?

    E' cosa nota che il sale era talmente prezioso nell'antichità da rappresentare, per molte categorie fra cui i soldati, la paga per il proprio lavoro, il "salario"appunto. Il sale è stato per secoli l'unica sostanza e anche il modo di conservare il cibo. Il sale infatti assicura l'incorruttibilità. Anche oggi senza sale non avremmo il prosciutto, gli altri salumi, il baccalà, le sardine ma anche i capperi si conservano sotto sale e le olive. Se quindi il sale ha il potere di evitare la corruzione, ossia il disfacimento degli alimenti, può in maniera simbolica divenire simbolo di sicurezza e permanenza. Per assicurarsi una pace tra popoli o clan familiari si celebrava un banchetto, con cui era sigillata l'alleanza usando appunto il sale: come il sale conserva senza danneggiare così sia la nostra alleanza, mantenga i rapporti tra noi stabili e duraturi. I patti che si realizzavano secondo questo rito si chiamavano «patti di sale». In modo speciale allora, anche il sacrificio rituale, come segno della permanenza dell'Alleanza, doveva essere salato, (Lv 2,13; cf. Nm 18,19: «un'alleanza di sale è perenne»; 2 Cr 13,5: «Il Signore con patto di sale concesse a Davide e ai suoi discendenti il trono di Israele per sempre»). I rabbini dicevano che la Torah è il sale del mondo.

    Il sale quindi come simbolo di quanto impedisce la corruzione morale, il predomino del male e della parte oscura nel mondo. Ancora oggi il gesto superstizioso di gettare del sale dietro le spalle è fatto per tenere lontani gli spiriti avversi.

    Ma conservare non è il solo potere del sale. Sappiamo bene quanto sia difficile mangiare un cibo "povero di sale", lo definiamo senza sapore, insipido.

    E il sapore ha a che fare con la sapienza, dono di Dio. È sapiente chi mette sapore nella propria vita, e il sapore ci è donato dalla Parola vissuta e incarnata giorno per giorno.

    Diamo sapore alle cose che facciamo, alle parole che usiamo (niente discorsi insipidi per favore!). mettiamo sale in zucca ponendo sempre la Parola al centro dei nostri discorsi.

    Ma Gesu' va ancora oltre dice: siate il sale della terra! Ricordo ancora il gesto di un contadino che assaggiava la terra per capire se fosse ancora fertile. Le nostre verdure contengono i sali minerali che sono fondamentali per la nostra salute. Se per caso il sodio e il potassio dovessero sbilanciarsi nel nostro organismo andremmo incontro a morte certa! Essere sale vuol dire garantire la vita di chi ci è affianco, diventare la nuova Legge di Dio che cammina per le strade, che si fa concretezza e scelta, fiducia e pazienza, abbandono e passione. Noi discepoli siamo chiamati ad essere per il mondo d'oggi come la Torah per il mondo di Mosè. Guida sicura per chi si è smarrito.

    Nella Palestina del tempo di Gesù, i pastori che portavano le pecore al campo durante il giorno, le lasciavano libere pascolando. Di notte, le facevano entrare nel chiuso per salvarle dagli animali selvatici. Tornavano leccando il sale della terra che si trovava sulle rive del lago di Tiberiade o del Mar Morto. Il sale della terra conduceva le pecore di ritorno al gregge. Non è, perciò, difficile immaginare che, quando Gesù dice alla sua comunità "voi siete il sale della terra", stava dicendo: "Voi avete la funzione di riunire il popolo disperso nel gregge del Padre, perché non si perda e non rimanga esposto alle fiere del mondo". La missione dei discepoli è quella di unire l'umanità nel regno di Dio. C'era anche l'abitudine in Palestina di usare il sale per attivare i fuochi nelle fredde notti d'inverno, e quando il sale perdeva i suoi componenti chimici per attivare il fuoco, non serviva più come combustibile. La raccomandazione di Gesù: "Abbiate sale in voi" (Mc 9,50) voleva dire "mantenete il calore in voi, la capacità di sostenere la vita". La comunità è "sale della terra", nella misura in cui é testimone delle beatitudini, é capace di portare questo fuoco dentro, é capace anche di portarlo agli altri. Gesù insiste nella capacità della comunità per convocare, per raccogliere, per unire, per animare, per accompagnare. Quando perde questa capacità "già non serve più che per essere gettato fuori ed essere calpestato dagli uomini". Compito permanente della comunità sarà dunque di vegliare per non perdere il suo sapore e il suo gusto, che la sua testimonianza non sia compromessa, e le ragioni per cui é beata non si perdano.

    Noi cristiani siamo sale del mondo, chiamati a testimoniare a tutti gli uomini il perdurante amore di Dio nei nostri confronti. Cosa può renderci insipidi? Il sale non può perdere il suo sapore a meno di non mischiarlo con altre sostanze che lo sviliscono. Così anche noi se cediamo a compromessi, se lasciamo che la parola del vangelo venga mischiata col buon senso, le abitudini, le consuetudini nostre e attribuite a Dio, perdiamo la capacità di salare.

    La luce. L'evidenza di quanto la Vita, nostra e di tutto il creato, sia dipendente da questo elemento lascia poco spazio ad un ulteriori commenti. Eppure Gesu' non dice siate brillanti, quindi capaci di bagliori anche intensi ma di scarsa utilità. Se fosse tutto limitato alla valenza esteriore della luce ci sentiremmo capaci ed adatti. Viviamo in città eternamente sveglie, dove le tenebre non calano mai. Siamo e viviamo eternamente per apparire il piu' possibile e "brillare" sempre piu' degli altri. Shine, gloss, light questi i termini del vivere quotidiano. Ma Gesu' dipinge un'immagine precisa. Parla di moggio, lucerniere. Parla di una luce piccola, affatto forte o violenta. Ai tempi di Gesu' e fino a qualche decennio fa all'imbrunire il capo famiglia, alla fine della giornata, prendeva una lucerna d'argilla riempita di olio d'oliva e, una volta accesa, la poneva in alto, su un lucerniere appeso al soffitto affinché la piccola fiammella illuminasse tutta la stanza. Una luce sufficiente a guardarsi negli occhi, a riconoscersi e potersi parlare. Una luce che non dissipa tutte le nostre tenebre "ma lampada che guida nella notte i nostri passi, e questo basta per il cammino" (Lumen fidei, 57). Questa luce, la vera luce è la Fede. Noi cristiani spesso la mettiamo sotto lo sgabello o la copriamo con una coppa, il moggio! Ci vergogniamo di essere discepoli o, se lo siamo, lo si vede solo durante la preghiera domenicale. Quanta poca luce cristiana fra i cittadini, i commercianti, i politici e quante famiglie brancolano nel buio. Un cristianesimo fatto di abitudine, che non incide sulla vita, che non cambia la storia! La vigorosa pagina del vangelo di oggi ci scuota, ci convinca, ci inorgoglisca. Siamo già insaporiti, siamo già costruiti sul monte, siamo già accesi e illuminati. La comunità dei cristiani ha questo grande dono, che non è però mai da dare scontato. A volte ci si dimentica di essere luce della terra e si pensa che la fede sia una cosa "privata" e solamente "di culto" (sono cristiano perché credo intimamente in Dio e vado in chiesa). Essere cristiani è qualcosa che ci rimanda al mondo nel quale siamo quotidianamente inseriti. E' lì che si vede se siamo veramente portatori di luce. Dove c'è un cristiano dovrebbe esserci più luce che tenebre, più pace che guerra, più amore che odio, più solidarietà che egoismo. Una vera comunità cristiana è un luogo fatto di persone che illuminano anche giornate nere di dissapori, travagli, lutti. Perché se ognuno di noi si contentasse di esser una piccola fiamma e cercasse gli altri abbiamo idea quale bellezza e potenza sarebbe la nostra? Ognuno brilla poco se è solo ma insieme agli altri può guidare popoli e nazioni.

    Diamo sapore vero di fraternità nei rapporti spesso insipidi e smorti della società moderna, sempre di corsa e altamente conflittuale. Regaliamo a chi ci è intorno il gusto per la Vita.

    Riprendiamo in mano con insistenza questo vangelo. Rileggiamo e ripensiamo da soli, in famiglia, in coppia, tra amici questo "voi siete sale della terra... voi siete la luce del mondo...". Siete, ossia tu + gli altri. Non sono quindi ma siamo io e gli altri luce e sale del mondo.

    Facciamo penetrare le parole di Gesù fin dentro l'animo, in modo che la nostra Sapienza non perda sapore e la nostra Fede non si spenga. Il mondo ha bisogno della luce di Cristo e del sapore forte del suo vangelo.

  • rosone small



     Lunedì 10 Febbraio 2014 - ore 19.30:



    "La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberarti dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall'isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia". Così l'inizio della esortazione di Papa Francesco Evangelii Gaudium. Il Sinodo diocesano è dono e via per far rinascere la gioia dell'incontro con il Signore in una "Chiesa mistero di comunione e di missione".

    LUNEDI' 10 FEBBRAIO ORE 19.30, il CPP è chiamato ad indicare i percorsi di Vangelo, nel discernimento personale ed ecclesiale, con i LINEAMENTA del Sinodo e del tempo di grazia della santa Quaresima.

    "Lineamenta" per la seconda consultazione sinodale. Formazione dei gruppi (4), tempi e metodo.

    Vivere la Quaresima: liturgia delle ore, Via Crucis, Sacramento del Perdono, Adorazione Eucaristica, ritiro,...

    Visita pastorale delle famiglie.

    Le tue proposte.

    Nella preghiera personale, familiare e comunitaria, la forza per formulare proposte umili ed efficaci per essere docili strumenti di Vangelo nella Chiesa del Signore, che vive nel territorio parrocchiale del Rosario.

     

    P. Raffaele Angelo Tosto, parroco e il Consiglio di Presidenza.

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    "VOI SIETE IL SALE...
    VOI SIETE LA LUCE..."

    voi siete sale luceDal Vangelo secondo Matteo (5,13-16)

    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

    «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.

    Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».



    il parroco

    "Voi siete il sale della terra e la luce del mondo". In queste due immagini è racchiuso il vangelo di questa domenica. Nel breve brano di Matteo, che segue la pagina delle Beatitudini, colpisce subito lo stile di Gesù, quello affermativo, lo da per certo, "voi siete", senza se e senza ma, come si dice. Forse più di qualcuno resta sorpreso della parola di Gesù, guardando nel proprio intimo e scoprendo i tanti risvolti di ombre e tenebre. Il nostro Dio, che è luce da luce, fa riflettere su ciascuno questa naturale luminosità. Non ci dice: " siate, sforzatevi di essere luce", lo siete già. Il linguaggio parabolico, così immediato e semplice, ci provoca ad interiorizzare il Vangelo.

    sale luce terraChi di noi non ha fatto l'esperienza di una candela accesa nel buio della notte? O di una piccola dose di sale per rendere gustoso il cibo? La luce non può non illuminare e il sale non può non dare sapore. Questa è la grande fiducia che il Signore ripone in ciascuno. Una parola è rivolta a tutti, e che avverrà se ogni discepolo la fa sua, sprigionando dalla sua vita lo splendore una luminosità interiore e una bontà di sapienza? Quando vogliamo evidenziare il tratto positivo di una persona, spesso diciamo: ha un volto luminoso, uno sguardo trasparente, e questo ancora più vero quando seguono le opere di luce e di bontà.

    Nella liturgia di questa domenica la parola di Isaia offre la misura per conoscere se siamo nella luce: "Se toglierai di mezzo a te l'oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se aprirai il tuo cuore all'affamato, se sazierai l'afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio". E' il percorso delle opere di misericordia, corporali e spirituali, che farà brillare la luce come aurora, guarendo le ferite. Piccoli gesti che acquistano un grande valore per chi li dona e chi li riceve. Un sorriso costa poco, ma quanta luce diffonde nel fratello e quanta pace rimane in chi lo offre, rimarginando ferite. Altrettanto si può affermare per il sale, dare sapore, sapienza, rendere buona la vita. Uno dei nomi della domenica è "il giorno del Sole" è fin troppo chiaro il riferimento alla luce del mattino di Pasqua che vince le tenebre della morte, del sepolcro. Per noi credenti la domenica è il giorno dell'incontro con Cristo, nostra Luce e nostra Gioia.

    Allora di domenica in domenica attingiamo alla sorgente della Luce per essere luminosi e diffonderla dove viviamo.

    Che bella missione!

    P. Raffaele Angelo Tosto(tostangelo@yahoo.it)




    FEDE E CARITÀ: «ANCHE NOI DOBBIAMO DARE LA VITA PER I FRATELLI» (1 Gv 3,16)

    Messaggio del Santo Padre Francesco per la XXII Giornata Mondiale del Malato


    Cari fratelli e sorelle,

    fede carita1. In occasione della XXII Giornata Mondiale del Malato, che quest'anno ha come tema Fede e carità: «Anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1 Gv 3,16), mi rivolgo in modo particolare alle persone ammalate e a tutti coloro che prestano loro assistenza e cura. La Chiesa riconosce in voi, cari ammalati, una speciale presenza di Cristo sofferente. E' così: accanto, anzi, dentro la nostra sofferenza c'è quella di Gesù, che ne porta insieme a noi il peso e ne rivela il senso. Quando il Figlio di Dio è salito sulla croce ha distrutto la solitudine della sofferenza e ne ha illuminato l'oscurità. Siamo posti in tal modo dinanzi al mistero dell'amore di Dio per noi, che ci infonde speranza e coraggio: speranza, perché nel disegno d'amore di Dio anche la notte del dolore si apre alla luce pasquale; e coraggio, per affrontare ogni avversità in sua compagnia, uniti a Lui.

    2. Il Figlio di Dio fatto uomo non ha tolto dall'esperienza umana la malattia e la sofferenza, ma, assumendole in sé, le ha trasformate e ridimensionate. Ridimensionate, perché non hanno più l'ultima parola, che invece è la vita nuova in pienezza; trasformate, perché in unione a Cristo da negative possono diventare positive. Gesù è la via, e con il suo Spirito possiamo seguirlo. Come il Padre ha donato il Figlio per amore, e il Figlio ha donato se stesso per lo stesso amore, anche noi possiamo amare gli altri come Dio ha amato noi, dando la vita per i fratelli. La fede nel Dio buono diventa bontà, la fede nel Cristo Crocifisso diventa forza di amare fino alla fine e anche i nemici. La prova della fede autentica in Cristo è il dono di sé diffondersi dell'amore per il prossimo, specialmente per chi non lo merita, per chi soffre, per chi è emarginato.

    3. In forza del Battesimo e della Confermazione siamo chiamati a conformarci a Cristo, Buon Samaritano di tutti i sofferenti. «In questo abbiamo conosciuto l'amore; nel fatto che egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1 Gv 3,16). Quando ci accostiamo con tenerezza a coloro che sono bisognosi di cure, portiamo la speranza e il sorriso di Dio nelle contraddizioni del mondo. Quando la dedizione generosa verso gli altri diventa lo stile delle nostre azioni, facciamo spazio al Cuore di Cristo e ne siamo riscaldati, offrendo così il nostro contributo all'avvento del Regno di Dio.

    4. Per crescere nella tenerezza, nella carità rispettosa e delicata, noi abbiamo un modello cristiano a cui dirigere con sicurezza lo sguardo. È la Madre di Gesù e Madre nostra, attenta alla voce di Dio e ai bisogni e difficoltà dei suoi figli. Maria, spinta dalla divina misericordia che in lei si fa carne, dimentica se stessa e si incammina in fretta dalla Galilea alla Giudea per incontrare e aiutare la cugina Elisabetta; intercede presso il suo Figlio alle nozze di Cana, quando vede che viene a mancare il vino della festa; porta nel suo cuore, lungo il pellegrinaggio della vita, le parole del vecchio Simeone che le preannunciano una spada che trafiggerà la sua anima, e con fortezza rimane ai piedi della Croce di Gesù. Lei sa come si fa questa strada e per questo è la Madre di tutti i malati e i sofferenti. Possiamo ricorrere fiduciosi a lei con filiale devozione, sicuri che ci assisterà, ci sosterrà e non ci abbandonerà. È la Madre del Crocifisso Risorto: rimane accanto alle nostre croci e ci accompagna nel cammino verso la risurrezione e la vita piena.

    5. San Giovanni, il discepolo che stava con Maria ai piedi della Croce, ci fa risalire alle sorgenti della fede e della carità, al cuore di Dio che «è amore» (1 Gv 4,8.16), e ci ricorda che non possiamo amare Dio se non amiamo i fratelli. Chi sta sotto la Croce con Maria, impara ad amare come Gesù. La Croce «è la certezza dell'amore fedele di Dio per noi. Un amore così grande che entra nel nostro peccato e lo perdona, entra nella nostra sofferenza e ci dona la forza per portarla, entra anche nella morte per vincerla e salvarci...La Croce di Cristo invita anche a lasciarci contagiare da questo amore, ci insegna a guardare sempre l'altro con misericordia e amore, soprattutto chi soffre, chi ha bisogno di aiuto» (Via Crucis con i giovani, Rio de Janeiro, 26 luglio 2013).

    Affido questa Giornata Mondiale del Malato all'intercessione di Maria, affinché aiuti le persone ammalate a vivere la propria sofferenza in comunione con Gesù Cristo, e sostenga coloro che se ne prendono cura. A tutti, malati, operatori sanitari e volontari, imparto di cuore la Benedizione Apostolica.

     

    libro animato

  • Operosi nella Carità

    operosi carita

    Il contributo personale è diventato aiuto concreto:

    600 € a favore dei malati di lebbra

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    SECONDO LA TUA PAROLA

    Dal Vangelo secondo Luca (2,22-40)

    secondo la tua parolaQuando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.

    Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d'Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.

    Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch'egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:

    «Ora puoi lasciare, o Signore,
    che il tuo servo
    vada in pace, secondo la tua parola,
    perché i miei occhi hanno visto
    la tua salvezza,
    preparata da te
    davanti a tutti i popoli:
    luce per rivelarti alle genti
    e gloria del tuo popolo, Israele».

    Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione - e anche a te una spada trafiggerà l'anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».

    C'era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.

    Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.



    il parroco

    Il 2 febbraio è la Candelora nel linguaggio popolare, e la coincidenza della domenica ci offre una gioia ancora più grande. Sono trascorsi 40 giorni dalla nascita di Gesù e Maria Giuseppe, obbedienti alla legge di Mosè compiono il rito della presentazione del figlio e della purificazione della madre. Tutti lo fanno nel modo "rituale", senza conseguenze. Invece quel giorno nel tempio avviene qualcosa di completamente nuovo. L'evangelista Luca narra il tutto alla luce dello Spirito. L'incontro tra due giovani sposi e due anziani: Simeone e Anna. Un bambino tra le braccia di Simeone che vede realizzare la speranza della sua vita, il bambino luce, salvezza delle genti e segno di contraddizione ed infine per Maria la spada trafiggerà il suo cuore. Una voce quella della profetessa Anna che loda e benedice Dio per tutto quello che vede, rendendo partecipi tutti i presenti. Anche noi siamo a chiamati ad incontrare Gesù, a prenderlo tra le nostre braccia, a vedere in Lui il segno della nostra speranza, la luce che illumina la nostra vita, a lasciarli trafiggere dalla spada dell'impegno alla fedeltà fino alla croce, ad essere annunciatori di gioia negli incontri quotidiani della vita. Ogni domenica ci presentiamo al tempio: viviamo l'incontro con il Signore con la fede di Maria, con l'attesa di Simeone e Anna, i nostri cuori si riempiono di gioia? Porteremo a casa la candela segno di quella luce che illumina le genti e che deve rischiarare la nostra vita dalle tenebre che tentano di prevalere. Bella la conclusione del Vangelo: " Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era con lui." Ce lo facciamo anche noi questo augurio di crescita e di grazia.

    A Capuano Michele la nostra gratitudine per quanto ci ha comunicato del vangelo.

    P. Raffaele Angelo Tosto(tostangelo@yahoo.it)



    ALL'INCONTRO CON GESU', VERA LUCE

    incontro gesu vera luceQuesta è una domenica particolare perché ricorre la festa della "presentazione del Signore"; infatti il Vangelo di Luca ci mostra Giuseppe e Maria che seguendo la legge del Signore, presentano al Tempio il loro figlio Gesù, Dio fatto uomo. Nel tempio vi è un uomo anziano, Simeone, definito giusto e pio che, mosso dallo Spirito Santo, si reca al tempio e, vedendo Gesù lo riconosce come Dio, come luce che illumina le genti. Spesso nella nostra vita siamo al buio, il buio che ci allontana da Gesù che è luce e salvezza. Quante volte ci allontaniamo dalla sua parola che dona gioia e consolazione per rincorrere false ed effimere soddisfazioni! Spesso con il nostro stile di vita non riconosciamo Gesù, non lo incontriamo anzi lo evitiamo e ci allontaniamo da lui che dona la vera salvezza. Chiedo allo Spirito Santo che come Simeone, ci prenda per mano e ci conduca all'incontro con Gesù vera luce. Cosicché anche noi, illuminati da Cristo, possiamo diventare luce per gli altri annunciando la gioia del vangelo secondo l'invito di Papa Francesco. Uno sguardo dolce a Maria, tenera Madre, che conosce e vive il dolore che le trafiggerà l'anima, eppure continua a dire il suo sì al Signore.

    Michele Capuano



    LA CANDELORA

    candeloraA quaranta giorni dal Natale, la Chiesa ci invita a celebrare la festa della Presentazione di Gesù al Tempio, in conformità alla legge ebraica che imponeva questo spazio di tempo tra la nascita di un bambino e la purificazione di sua madre.

    Il nome "Candelora" dato popolarmente alla festa deriva dalla somiglianza del rito del Lucernare, di cui parla Egeria, autrice nel IV-V secolo di un "diario" in cui racconta il suo viaggio nei luoghi santi della cristianità: "Si accendono tutte le lampade e i ceri, facendo così una luce grandissima".

    La Presentazione del Signore è la festa di Cristo, luce delle genti, e dell'incontro del Messia con il suo popolo nel tempio di Gerusalemme. Il gesto di obbedienza alla legge e di offerta a Dio, compiuto da Maria e Giuseppe, che portano il bambino Gesù per offrirlo al Signore, invita ogni battezzato a ripercorrere le tappe della sua fede, a sottomettersi alla legge del Signore, a divenire con Cristo luce del mondo.

    Simeone (letteralmente Esaudimento) ed Anna attendono Gesù nel tempio di Gerusalemme, lì ci sarà la proclamazione della divinità e della missione redentrice. Il vegliardo Simeone rappresenta l'ideale dell'uomo credente aperto all'intervento di Dio e alla sua azione. Prendendolo tra le braccia, Simeone, proclama Gesù Luce di tutte le genti e gloria del popolo d'Israele. Le parole del santo vegliardo invitano a riflettere sull'importanza di Cristo, Luce che illumina l'uomo e il suo agire nella storia. Da Cristo e per Cristo fluisce la luce che purifica e invita il credente ad andare oltre, la luce affascina, avviluppa l'umanità, invita alla conversione e alla proclamazione della nuova e buona novella.

    La luce calda delle candela ricevuta in questo giorno vuol essere l'espressione evidente della luce più grande che si sprigiona in tutti i tempi dalla figura di Gesù ed è segno più eloquente di ciò che siamo e ciò a cui siamo chiamati, a trasformare la nostra esistenza in una candela nella mani di Dio, a passare dalle tenebre alla luce di Cristo, essa con la sua forza-bellezza salverà l'uomo, lo condurrà sulla via del bene, allargherà i suoi stretti orizzonti, lo spoglierà dei suoi egoismi e lo vestirà di verità e bellezza.

    Il Beato Giovanni Paolo II nel 1997, stabilì che in questo giorno si celebrasse la della Giornata della Vita consacrata, un "grande dono che arricchisce ed allieta la Comunità cristiana con la molteplicità dei suoi carismi e con i frutti di edificazione di tante esistenze totalmente donate alla causa del Regno. "Che sarebbe del mondo se non vi fossero i religiosi?", si domandava giustamente santa Teresa . Ecco una domanda che ci spinge a rendere incessantemente grazie al Signore, il quale con questo singolare dono dello Spirito continua ad animare e sostenere la Chiesa nel suo impegnativo cammino nel mondo".

    Questa Giornata ha quindi lo scopo di promuovere la conoscenza e la stima per la vita consacrata da parte dell'intero popolo di Dio, essendo la vita di speciale consacrazione, nelle sue molteplici espressioni, "al servizio della consacrazione battesimale di tutti i fedeli. Nel contemplare il dono della vita consacrata, la Chiesa contempla la sua intima vocazione di appartenere solo al suo Signore, desiderosa d'essere ai suoi occhi "senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa ed immacolata" (Ef 5, 27)".

    Nella festa della Presentazione del Signore al Tempio, "si rivela il mistero di Gesù, il consacrato del Padre, venuto nel mondo per compierne fedelmente la volontà (cfr Eb 10, 5-7). Simeone lo addita come "luce per illuminare le genti" (Lc 2, 32) e preannunzia con parola profetica l'offerta suprema di Gesù al Padre e la sua vittoria finale (cfr Lc 2, 32-35).

    La Presentazione di Gesù al Tempio costituisce così un'eloquente icona della totale donazione della propria vita per quanti sono stati chiamati a riprodurre nella Chiesa e nel mondo, mediante i consigli evangelici, "i tratti caratteristici di Gesù vergine, povero ed obbediente" (Vita consacrata, n.1).

    Alla presentazione di Cristo si associa Maria.

    La Vergine Madre, che porta al Tempio il Figlio perché sia offerto al Padre, esprime bene la figura della Chiesa che continua ad offrire i suoi figli e le sue figlie al Padre celeste, associandoli all'unica oblazione di Cristo, causa e modello di ogni consacrazione nella Chiesa".

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  • eco della parola



    IV Domenica del Tempo Ordinario (2014)

    Presentazione del Signore


    Questa domenica, IV del tempo ordinario, XXXVI Giornata della Vita, si fonde con la festa della Presentazione al tempio di Gesù, nota anche come la festa della Candelora perché nel passato in questa giornata si benedivano i ceri che servivano ad illuminare le nostre chiese quando ancora non esisteva l'illuminazione elettrica.

    Il valore di questa festa è rimasto talmente inciso nella memoria della liturgia che quest'anno, cadendo di domenica, finisce col sostituirla.

    È una festa che richiama il tempo di Natale appena concluso, tanto che alcuni aspettano la festa odierna per mettere via il presepe. Seguendo i fumi dell'incenso, con la fantasia, possiamo vedere le alte colonne che sorreggevano il portico di Salomone e i vasti cortili lastricati che immettevano nella zona più sacra del tempio di Gerusalemme.

    Quì arriva una giovane coppia della Galilea.

    Sono Maria e Giuseppe che un po' spauriti, con questo bimbo-Dio, adempiono il precetto della Legge di riscattare il primogenito, offrendo un sacrificio a Dio. Forte segno nella carne che testimonia l'appartenenza del popolo di Israele al Dio rivelatosi a Mosè.

    Un segno che consacra ogni vita al Dio che l'ha donata. Ecco perché questa giornata, rappresenta un momento importante per le persone consacrate che rinnovano la loro totale adesione a Cristo, il dono di sé al Padre, gesto richiamato dalla presentazione al tempio di Gesù per cui tale festa è divenuta Giornata Mondiale della Vita Consacrata.

    Affascina questo gesto compiuto da Maria e Giuseppe, un gesto di obbedienza alla tradizione, di rispetto per le Leggi di Israele. Sanno bene che quel bambino è ben più di un primogenito da consacrare, sanno e hanno appena fatto esperienza del mistero infinito che lo abita.

    Potrebbero pensare di essere superiori alle Leggi, di non averne bisogno perché sorreggono fra le braccia colui che ha dato la Legge e che, misteriosamente, ha deciso di diventare uomo. Tanto più che al tempo la prescrizione poteva essere assolta mandando l'offerta al tempio, due tortore per la purificazione di Maria e cinque scicli d'argento per il riscatto del primogenito Gesù.

    Invece no, vanno al tempio per compiere quel gesto senza farsi troppe domande.

    Fa tenerezza questa immagine della coppia di Nazareth che incede, timidamente, negli ampi spazi del ricostruito tempio, in mezzo ad un viavai di gente indaffarata, alle preghiere pronunciate ad alta voce, all'odore acre dell'incenso mischiato alla carne bruciata.

    Sono lì perché consapevoli che quel rito ricorda che la vita appartiene a Dio e a lui ne va riconosciuto il dono. E loro appartengono totalmente a Dio. Si sono fatti suoi strumenti accettando di esserne genitori. Gesù obbedisce alla Legge; Dio si sottomette alle tradizioni degli uomini. Nell'obbedienza vuole cambiare le regole, nel solco della tradizione vuole ridare vitalità e senso ai gesti del suo popolo. Gesù è offerto al Padre, è donato da subito e quel gesto si ripeterà infinite volte nella sua luminosa vita. Gesù è e resta dono, diventa dono al Padre che ne fa dono all'umanità.

    E in questa logica del dono, oggi, desideriamo fortemente fare della nostra piccola vita un'offerta a Dio. Da lui l'abbiamo ricevuta, a lui vogliamo donarla: ciò che siamo sia utile alla realizzazione del Regno, ci aiuti a fare di ogni gesto, di ogni giorno, un atto consapevole di amore verso Dio e il suo progetto di salvezza.

    Gesù non rigetterà le prescrizioni rituali, non si porrà al di sopra della tradizione religiosa del suo popolo, non farà l'anarchico e il prepotente oltranzista ma vivrà con autenticità e verità le norme della Torah.

    Il gesto di andare al tempio ci incoraggia a vivere la nostra fede, autenticamente rivoluzionaria nella sua essenza, attraversando i sentieri della tradizione, ripercorrendo e accogliendo quanto di buono l'esperienza dei discepoli ci ha lasciato. Celebrando nella vita la presenza del Signore anche attraverso segni ben concreti, come i Sacramenti.

    Troppe volte chi cerca di vivere con maggiore intensità la fede, che per noi cristiani non è mai distante dalla Verità, si sente "migliore" di chi, invece, la vive senza grande coinvolgimento. La tentazione, però, è quella di costruirsi una fede che guarda dall'alto le devozioni, le tradizioni, i percorsi abituali della santità.

    Non dobbiamo ignorarli od evitarli, ci suggeriscono Maria e Giuseppe, ma riempirli di autenticità.

    Gesù è portato al Tempio: è un segno di obbedienza alla Legge da parte dei suoi genitori che non si sentono diversi o migliori, ma appartenenti ad un popolo ricco di tradizioni religiose che essi vogliono rispettare. Nel momento dell'offerta del primogenito a Dio, Maria e Giuseppe incontrano il vecchio e sconfortato Simeone.

    Simeone è il simbolo della fedeltà del popolo di Israele che aspetta con fiducia la venuta del Messia, da tutta la vita sale al Tempio sperando di vedere il Messia, ma ora è anziano e Luca ci lascia intuire la sua stanchezza interiore, che è la stanchezza di tanti anziani che incontro ogni giorno.

    Simeone è il simbolo dell'ansia profonda di ogni uomo, perché la vita è desiderio insoddisfatto, la vita è cammino, la vita è attesa.

    Attesa di luce, di salvezza, di un qualche senso che sbrogli la matassa delle nostre inquietudini e dei nostri "perché".

    La preghiera intensa di Simeone che finalmente vede l'atteso è bellissima: ora è sazio, soddisfatto, ora ha capito, ora può andare, ora tutto torna. E' sufficiente uno sguardo, lo spazio di un incontro, per dare senso e luce a tutta una vita di attese e speranze miste a sofferenze, pochi minuti bastano per dare luce ad una vita di attesa.

    Il vecchio Simeone vede il neonato e capisce. Anni dopo, già lo sappiamo, Giovanni Battista ultimo profeta, vedrà e saprà.

    Nella splendida preghiera che ci riporta Luca, il sacerdote vede in quel bambino la luce che illumina ogni uomo, la luce delle nazioni.

    In realtà Gesù non emana luce, non ha nessuna caratteristica che lo distingua da qualunque altro bambino. Nessun prodigio, nessun discorso edificante, nessun gesto miracoloso: solo un bambino che sonnecchia, beato, fra le braccia della mamma.

    È nel cuore di Simeone la luce. Nel suo sguardo. E' la luce della fede che illumina il suo cuore e il suo sguardo e lo rende lampada per quanti incontrerà.

    Così è la fede: anche noi siamo chiamati a vedere con lo sguardo del cuore, a capire che ogni cosa è illuminata.

    E di quanta luce necessitiamo, oggi!

    Di una chiave di interpretazione che ci aiuti a vedere al di là, al di sopra e al di dentro delle evidenze sconfortanti di una società ripiegata su se stessa.

    Agli inizi del cristianesimo i seguaci del Nazareno venivano chiamati, fra altri modi, anche "illuminati".

    Ma quanta luce occorre per vedere in un mondo sfavillante!

    Quanta lungimiranza occorre per distinguere la voce di Cristo, benigna, accogliente, da quella di tanti falsi profeti che incitano alla violenza verbale, psicologica e purtroppo a volte anche fisica!

    Portiamo luce, rimaniamo accesi come le candele che oggi abbiamo benedetto: diventiamo portatori di luce annunciando la gioia della salvezza trovata in Gesù.

    Che il Signore ci conceda, nell'arco della nostra vita, magari in questa eucaristia, magari nella frazione del pane, di realizzare questo incontro con Lui, di vedere la sua luce splendere per noi e vederci nella sua luce e vederla irraggiarsi dal nostro volto, in quello degli altri, e per tutta la terra laddove la nostra bocca e le nostre opere la diffondono come semi di speranza e gioia per ogni uomo.

  • papa benedetto xvi

    Per questa pagina di umiltà e amore profondo per la Chiesa..

    Grazie Benedetto XVI !!!

  • padre pio

    Giovedì 21 Marzo

    PELLEGRINAGGIO PENITENZIALE

    a San Giovanni Rotondo

    Via crucis - Confessioni - Eucaristia

    Partenza ore 14 e rientro ore 20 ca.

    Costo € 12. Informazioni e prenotazioni

    presso l'ufficio parrocchiale

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    MENTRE PREGAVA
    Dal Vangelo secondo Luca (9,28b-36)

    mentre pregavaIn quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme.

    Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.

    Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva.

    Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All'entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo!».

    Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.



    il parroco
    Dal deserto della prova alla montagna della gloria, della gioia e della bellezza. E' quanto ci propone il vangelo di Luca di questa seconda domenica di Quaresima. Poco prima Gesù aveva rivelato ai discepoli: "il Figlio dell'uomo deve soffrire molto, essere rifiutato, venire ucciso", lasciando gli animi nello sconcerto e nell'angoscia, ed ora per sostenerli in questo momento così critico, si reca sul monte per pregare invitando Pietro, Giacomo e Giovanni. Mettiamoci anche noi sulla loro scia per seguire il Maestro e vivere la loro esperienza: essere trasfigurati! Gesù in preghiera, vive la comunione perfetta con il Padre, e "mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto, si trasformò". L'effetto della preghiera: trasformare il cuore dell'uomo, non, per quanto diciamo, ma perché è Lui che entra nel nostro intimo, illumina la mente, riscalda i cuori, dà forza e serenità nell'ora della croce, si diventa belli! L'esperienza dei discepoli che, pur oppressi dal sonno, esclamano: " E' bello per noi essere qui". La forza della bellezza che risveglia i cuori, riporta entusiasmo nel continuare il cammino dal Tabor al Calvario. E' quanto ci vogliono comunicare Urso Giuseppe e Messinese Sabrina del gruppo fidanzati offrendoci la loro lettura del Vangelo. A loro tutta la nostra gratitudine.

    P. Raffaele Angelo Tosto


    UN CUORE TRASFIGURATO

    Siamo giunti alla seconda domenica di Quaresima, tempo di preparazione alla Pasqua di Risurrezione. Non un tempo qualsiasi, pur continuando la nostra vita ordinaria, siamo chiamati a riconsiderare il nostro rapporto con Dio rafforzando la nostra preghiera, convertendo il cuore al Signore. Quest'oggi il Vangelo ci presenta la trasfigurazione di Gesù, preludio dell'esodo "fisico" dello stesso dal suo cammino terreno. Il Vangelo ci presenta Gesù che sale sul monte insieme ai tre discepoli a lui più legati. Potremmo anche noi oggi, in questo cammino da fidanzati, dire che siamo stati condotti in un luogo alto, più alto di quello ove ci tengono legati le nostre abitudini egoistiche e meschine.

    Partecipare alla Liturgia della parola e pregare, è venire strappati dal proprio egocentrismo ed essere portati più in alto. Il Vangelo infatti scrive: "Li prese con sé". E' a dire che li strappò da se stessi per associarli alla sua vita, alla sua missione, al suo cammino. Egli si lega a noi, impasta la sua vita con la nostra pur sapendo che siamo deboli, fragili, limitati. Gesù è sempre con noi anche se non lo vediamo, si trasfigura e ci mostra tutta la sua gloria, tutto questo lo possiamo scoprire solo se crediamo e nella preghiera mezzo di totale contatto con Dio.

    Saremo capaci di riconoscere Cristo? Di credere in qualcosa che non vediamo ma che è eternamente presente nella nostra vita?

    L'Evangelista Luca dice: "Una nube avvolse i tre discepoli ed ebbero paura. Subito si udì una voce dal cielo; Questi è il Figlio mio l'eletto, ascoltatelo!". Nella nube e nei nostri momenti di paura si fa chiara una voce, il Vangelo che indica Colui nel quale riporre la nostra speranza, solo Gesù è maestro della vita; solo lui può salvarci.

    Saremo capaci di ascoltarlo e seguire i suoi insegnamenti? Se ci lasciamo condurre da Gesù, parteciperemo a realtà ed a insegnamenti più grandi, la nostra vita ed il nostro cuore si trasfigureranno, diventeremo più simili a lui.

    Restiamogli uniti, scendiamo dal monte e non saremo soli a camminare, Gesù sarà con noi, perché egli è  luce, forza, consolazione e sostegno.

    I fidanzati Giuseppe e Sabrina

     


    UN ESAME DI COSCIENZA PER LA QUARESIMA

    esame coscienza quaresimaLa Storia di Zaccheo è un po' la storia di tutti coloro che desiderano incontrare Gesù che passa e vengono trasformati dal suo amore, al punto che diventano capaci di gesti inaspettati.

    Entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, quand'ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: "Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua". Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: "È entrato in casa di un peccatore!". Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: "Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto". Gesù gli rispose: "Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch'egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto". (Lc 19,1-10)

    LA SUA PAROLA È LUCE SUL NOSTRO CAMMINO

    • Sono disposto a trovare il tempo per leggere e meditare un po' il Vangelo?
    • Partecipo alla messa domenicale con puntualità ed attenzione? Seguo le letture? Cerco di applicare questa Parola che mi raggiunge alla mia vita?
    • Quando devo prendere delle decisioni: decido in base al mio interesse, a quello che mi piace, oppure sono disposto ad ascoltare la voce di Gesù, a rivedere i miei comportamenti ed atteggiamenti?
    • Quando giudico ciò che accade attorno a me, nella vita di famiglia, di lavoro o di scuola, nella vita del mio paese, penso a quello che farebbe, direbbe Gesù, se si trovasse al mio posto?

    LA SUA PAROLA Cl RIVELA LE TENEBRE CHE SONO IN NOI

    • Sono pronto a riconoscere il male che è in me e a chiamare per nome i miei difetti e il mio peccato?
    • Sento il bisogno di chiedere perdono al Signore e di accostarmi di tanto in tanto al sacramento della Penitenza?
    • Sono pronto a chiedere scusa al mio prossimo se mi sono comportato male?
    • Sono capace di riconoscere i miei torti, le mie valutazioni e i miei giudizi sbagliati?

    LA SUA PAROLA CI INVITA A GUARDARE GLI ALTRI CON OCCHI DIVERSI

    Ci sono persone che hanno bisogno di aiuto: faccio finta di non vederli oppure presto il mio soccorso con generosità?

    • Ci sono poveri che domandano un sostegno: sono disposto ad ascoltarli? Oppure li liquido in modo sbrigativo?
    • Ci sono persone che, patiscono, solitudine: sono disposto a donare loro parte del mio tempo?


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    NON DI SOLO PANE VIVRA' L'UOMO

    non di solo paneDal Vangelo secondo Luca ( 4,1-13 )

    In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di' a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: "Non di solo pane vivrà l'uomo"».

    Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: "Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto"».

    Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: "Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano"; e anche: "Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra"». Gesù gli rispose: «È stato detto: "Non metterai alla prova il Signore Dio tuo"».

    Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.



    il parroco
    13 febbraio: Le sacre ceneri. Un rito antico legato all'inizio della Quaresima, nell'imposizione delle ceneri sul capo accompagnate dalle parole: "Ricordati, uomo, che sei polvere e in polvere ritornerai!" Parole così reali da costituire un pugno nello stomaco per l'uomo di sempre, e di oggi in particolare, immerso in altri pensieri e stili di vita. Parole belle e di grande impatto anche quelle di Papa Benedetto XVI per una notizia che ha colto non solo la Chiesa, ma tutto il mondo, impreparati ad un simile evento. Le motivazioni con cui rinuncia al ministero petrino il Papa le ha espresse con chiarezza e semplicità: "Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l'età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino...Per questo ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma...Vi ringrazio di vero cuore per tutto l'amore e il lavoro con cui avete portato con me il peso del mio ministero, e chiedo perdono per tutti i miei difetti." Il commento più autentico viene dallo stesso pontefice: "Mi sostiene e mi illumina la certezza che la Chiesa è di Cristo, il Quale non le farà mai mancare la sua guida e la sua cura".

    "Strada facendo" si fa voce di tutta la Comunità parrocchiale nell'esprimere la vicinanza affettiva e di preghiera per tutta la Chiesa e per Papa Benedetto XVI, accogliendo la preziosa catechesi svolta nel giorno delle Ceneri, un autentico dono quaresimale. Dopo l'introduzione sul significato dei "quaranta anni del popolo nel deserto, dei quaranta giorni del profeta Elia per raggiungere il Monte di Dio, l'Horeb" presenta l' esperienza di Gesù raccolta nel vangelo di questa prima domenica di Quaresima. "Anzitutto – ci dice il Papa – il deserto, dove Gesù si ritira, è il luogo del silenzio, della povertà, dove l'uomo è privato degli appoggi materiali e si trova di fronte alle domande fondamentali dell'esistenza, è spinto ad andare all'essenziale e proprio per questo gli è più facile incontrare Dio.... Gesù va nel deserto e là subisce la tentazione di lasciare la via indicata dal Padre per seguire altre strade più facili e mondane. Così Egli si carica delle nostre tentazioni, porta con Sé la nostra miseria, per vincere il maligno e aprirci il cammino verso Dio, il cammino della conversione." Il Papa prosegue e si chiede: " Qual è il nocciolo delle tre tentazioni che subisce Gesù? E' la proposta di strumentalizzare Dio, di usarlo per i propri interessi, per la propria gloria e per il proprio successo. E dunque in sostanza, di mettere se stessi al posto di Dio, rimuovendo dalla propria esistenza e facendolo sembrare superfluo. Ognuno dovrebbe chiedersi allora: che posto ha Dio nella mia vita? E' Lui il Signore o sono io? Superare la tentazione di sottomettere Dio a sé e ai propri interessi o di metterlo in un angolo e convertirsi al giusto ordine di priorità dare a Dio il primo posto, è un cammino che ogni cristiano deve percorrere sempre di nuovo. 'Convertirsi', un invito che ascolteremo molte volte in Quaresima, significa seguire Gesù in modo che il suo Vangelo sia guida concreta della vita... Questo esige di operare le nostre scelte alla luce della Parola di Dio. Oggi non si può essere cristiani come semplice conseguenza del fatto di vivere in una società che ha radici cristiane: anche chi nasce da una famiglia cristiana ed è educato religiosamente deve, ogni giorno, rinnovare la scelta di essere cristiano, cioè dare a Dio il primo posto".

    Grazie, Santo Padre, del Vangelo che ci hai donato ci accompagnerà verso la Pasqua. Ti vogliamo bene, il Signore Ti benedica e la Madonna del Rosario Ti accompagni!

    P. Raffaele Angelo Tosto

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  • cattedra s pietro

    “per esprimere al Santo Padre amore e riconoscenza per il magistero luminosissimo e l’esempio di coerenza e di fedeltà a Gesù cristo e alla Sua Chiesa … pregheremo secondo le intenzioni del Santo Padre, per la Chiesa Universale e per il nuovo Pontefice in una solenne Concelebrazione Eucaristica”


    Per poter partecipare alla solenne Concelebrazione Eucaristica,

    la Messa vespertina di Venerdì 22 sarà anticipata alle ore 17.30

    e a seguire la Via Crucis per le strade:

    Chiesa – Via Imbriani – Via Ginevra – Via Nicotera - Via Maroncelli – Via Cairoli – Via Ginevra – Via Bovio – Chiesa.


  • IL SENSO CRISTIANO DEL DIGIUNO E DELL'ASTINENZA

    - Dal Documento CEI -

    Con la pratica penitenziale del digiuno e dell'astinenza la Chiesa accoglie e vive l'invito di Gesù ai discepoli ad abbandonarsi fiduciosi alla provvidenza di Dio, senza alcuna ansia per il cibo: "La vita vale più del cibo e il corpo più del vestito.... Non cercate perciò che cosa mangerete e berrete, e non  state con l'anima in ansia.... cercate piuttosto il regno di Dio, e queste cose vi saranno date in aggiunta"(Lc 12,23.29.31).

    La legge del digiuno obbliga a fare un unico pasto durante la giornata, ma non proibisce di prendere un pò di cibo al mattino e alla sera.

    La legge dell'astinenza proibisce l'uso delle carni, come pure dei cibi e delle bevande che, ad un prudente giudizio, sono da considerarsi come particolarmente ricercati e costosi. Il digiuno e l'astinenza, devono essere osservati il mercoledì delle ceneri e il venerdì santo; sono consigliati il sabato santo sino alla veglia pasquale.

    L'astinenza deve essere osservata in tutti e singoli i venerdì di Quaresima, a meno che coincidano con un giorno annoverato tra le solennità.

    Alla legge del digiuno sono tenuti tutti i maggiorenni fino al 60° anno iniziato; alla legge dell'astinenza coloro che hanno compiuto il 14° anno di età.

    Ai fanciulli e ai ragazzi si propongano forme semplici e concrete di astinenza e di carità, aiutandoli a vincere la mentalità non poco diffusa per la quale il cibo e i beni materiali sarebbero fonte unica e sicura di felicità e a sperimentare la gioia di dedicare il frutto di una rinuncia a colmare la necessità del fratello: "Vi è più gioia nel dare che nel ricevere" (At 20,35).

  • quaresima 2013
      
    Dal Lunedì al Venerdì
    ore 6.45 Ufficio letture e lodi
    Sabato
    ore 19.45 Primi Vespri della domenica.

    Durante il tempo di quaresima:
    Visita pastorale del parroco e benedizione delle famiglie

    la condurro nel deserto
    "La condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore" (Os 2,16)
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    SULLA TUA PAROLA GETTERO' LE RETI

    Dal Vangelo secondo Luca(5,1-11)

    sulla tua parola gettero le retiIn quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.

    Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell'altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.

    Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini».

    E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.



    il parroco
    Dalla sinagoga di Nazareth Gesù si trasferisce al mare di Gennesaret. Una folla lo segue e deve salire su di una barca per dare a tutti la possibilità di vederlo e di ascoltarlo. Anche noi confondiamoci con la folla, anzi saliamo sulla barca di Pietro, lasciamoci avvolgere dalla brezza marina, avvertendo il soffio dello Spirito perché la sua Parola ci coinvolga come è avvenuto per Pietro. Per lui, esperto nel pescare, quella notte neanche un pesciolino cade nella rete, possiamo immaginare la sua delusione unita a quella dei soci. "Prendi il largo, butta le reti", senza troppe domande si fida e , lanciando le reti, si ritrova una pesca inattesa, abbondante da chiedere aiuto ai compagni e da riempire le due barche. Ecco dove porta la fiducia alla Parola, dal nulla dell'uomo all'abbondanza del dono! Quanto è capitato a Pietro è quello che succede a ciascuno di noi tutte le volte che dopo aver lavorato tutta la notte ci troviamo con le reti...vuote! E perché? Abbiamo voluto affrontare, da soli, una pesca che riserva sempre fatica e i risultati non sono secondo le previsioni. Pietro ci insegna: "sulla tua Parola getterò le reti". E' Lui che dà forza, fiducia e risultato al nostro operare. Alla pesca generosa si aggiunge la chiamata: "Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini" e la sequela: "lasciarono tutto e lo seguirono". Che bello che ciascuno possa fare la stessa esperienza di Pietro! Un grazie alla Confraternita del Rosario per il Vangelo offerto in queste domeniche.

    P. Raffaele Angelo Tosto


    LA PESCA MIRACOLOSA

    Il Vangelo di oggi richiama l'attenzione su due temi fondamentali per la vita di un cristiano: la chiamata di Gesù alla sua missione e la fede nella Parola.

    Una Parola forte, che attira - "la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare" - che vince la resistenza e si oppone alla volontà di allontanarsi da Cristo, ma al tempo stesso docile poiché rivolta non solo al pubblico scelto delle sinagoghe, ma a chiunque voglia ascoltarla e sappia accoglierla nel proprio cuore.

    Anche Pietro, che è lì con la sua barca, ascolta la Parola e, aprendo il suo cuore, l'accoglie dentro di sé e quando il Signore lo invita a prendere il largo e a gettare le reti per la pesca, Pietro si fida del suo Maestro, crede alle sue parole e si affida totalmente a lui. La sua fede così, sarà sovrabbondante tanto che "le reti quasi si rompevano". A quel punto l'apostolo comprende la santità di Gesù e gettandosi alle sue ginocchia gli chiede di allontanarsi da lui poiché è un peccatore.

    Questa è la reazione dell'uomo dinanzi a Dio: percepisce miseramente il suo peccato e mentre rimane terrorizzato ne subisce il fascino e si sente attratto da lui. Ma Dio allontana la paura: "Non temere"! Chiama Pietro e lo impegna nella missione ordinandogli di essere pescatore di uomini. Ancora una volta, l'Apostolo sperimenta la forza della Parola: Parola viva che concretizza ciò che afferma. Infine "lasciarono tutto e lo seguirono". Si! Perché per essere autentici discepoli di Cristo bisogna veramente rinunciare a tutto, anche alla propria vita.

    E noi siamo pronti a dire "si" a Gesù e a rinunciare a tutto per seguirlo?

     La Confraternita del Rosario



    QUALE DIGIUNO?

    I Detti dei padri

    Giovanni il Nano disse: "Se un re vuole conquistare una città nemica, prima di tutto taglia l'acqua e i viveri e così i nemici, affamati, si sottomettono. Avviene così anche per le passioni della carne: se l'uomo combatte con il digiuno e la fame, i nemici che combattono contro l'anima si indeboliscono".

    Giovanni il Nano, 3


    Abba Isidoro disse: "Se osservate l'ascesi di un regolare digiuno, non inorgoglitevi; ma se per questo vi insuperbite, mangiate carne! È bene per l'uomo mangiare carne, piuttosto che inorgoglirsi e vantarsi".

    Isidoro il Presbitero, 4


    Abba Iperichio disse: "È cosa buona mangiare carne e bere vino, e non mangiare con la maldicenza la carne dei fratelli" .

    Iperichio, 4


    i detti dei padriAbba Menas ci raccontò questo episodio: "Un giorno mentre stavo nella mia cella, giunse un fratello da un paese straniero e mi disse: 'Conducimi da Abba Macario'. Io mi alzai e lo accompagnai dall'anziano e, dopo aver fatto una preghiera, ci sedemmo. Il fratello disse all'anziano: 'Padre, da trent'anni non mangio carne e sono ancora tentato da essa'. L'anziano gli disse 'non mi dire, fratello, che hai trascorso trent'anni senza mangiare carne; ma ti prego, figlio mio, dimmi la verità: quanti giorni hai trascorso senza dir male del tuo fratello, senza giudicare il prossimo e senza far uscire dalle tue labbra una parola inutile?'. Il fratello si prostrò e disse: 'Prega per me, padre, affinché io cominci'"

    Anonimo, 746

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    NESSUN PROFETA E' BEN ACCETTO NELLA SUA PATRIA

    nessun profetaDal Vangelo secondo Luca ( 4,21-30)
    In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
    Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: "Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!"». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c'erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
    All'udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.



    il parroco
    Siamo ancora nella sinagoga di Nazareth, dove Gesù al suo presentarsi quale Messia - che compie le parole profetiche di Isaia: libertà per i prigionieri, la vista ai ciechi con l'annuncio dell'anno di grazia - suscita meraviglia e stupore, gli occhi si fissano su di lui, dovrebbe essere naturale, logico seguirlo, invece proprio Nazareth, la sua città, si rivela "una piazza difficile" per l'annuncio che Gesù rivolge a tutti. I suoi paesani oppongono un rifiuto netto, frutto di gelosia, così veemente da progettarne la morte. La loro conoscenza è superficiale e interessata. Lo considerano un "Messia politico" che dovrebbe pensare prima ai paesani e poi agli altri... ma Lui non si piega a nessun favoritismo: il Vangelo, oggi nella sinagoga e poi "strada facendo" è per tutti e se ci sarà una preferenza, questa è per i poveri, i lontani, i peccatori. Negli ascoltatori della sinagoga e in quelli di oggi si nasconde una ipocrita ammirazione per chi esprime il suo pensiero.

    Sì, tutto bello, ma alla fine la mia parola, il mio giudizio sono quelli che contano e che devono prevalere e, se non ci stai ti faccio fuori! Gesù non cambia un "iota" del suo Vangelo, è l'uomo che deve convertirsi dalla sua visione di meschinità, di superbia per aprirsi alla Parola che compie quanto proclama. Chiediamo a Gesù, presente nella nostra assemblea domenicale di aprirci il cuore per accogliere in umiltà e gioia la sua Parola che compie, oggi, meraviglie!

    P. Raffaele Angelo Tosto


    ACCOGLIENZA

    Il brano del vangelo di oggi ci presenta un quadro piuttosto duro delle relazioni di Gesù con i suoi concittadini e perfino con alcuni membri della sua famiglia: i concittadini stessi di Gesù rifiutano di conoscere in lui il Messia.
    Noi abbiamo ricevuto Cristo: il battesimo ci ha inseriti in lui per farci vivere la sua vita.
    Ma noi abbiamo veramente accolto Cristo?
    Oppure abbiamo deformato e falsificato il messaggio del suo Vangelo per adattarlo alla nostra mentalità, alle nostre passioni, ai nostri punti di vista di vista talvolta meschini ed egoisti?
    E' necessario che la carità evangelica entri in noi, così che ci impegni e ci trasformi la vita, ed è assolutamente necessario che ci sbarazziamo di tutto ciò che può essere di ostacolo al suo entrare nel più intimo del nostro essere: quindi liberarsi da pregiudizi, abitudini e ambizioni.
    Per realizzare tutto questo è necessaria l'umiltà di spirito. Gesù ci dice imparate da me che sono mite ed umile di cuore. Così facendo lavoreremo con Cristo per l'estensione del suo regno di verità e di amore. Missione meravigliosa! Però ricordiamoci che vivere la propria fede in questo modo, irradiare la propria fede suscita certamente contraddizioni e resistenze: e Cristo ci ha prevenuti.
    Abbiamo questo coraggio e questa forza? Abbiamo la forza e l'umiltà di supplicare lo Spirito Santo affinché ce la conceda?

     La Confraternita del Rosario



    Lettera Pastorale dell'Arcivescovo
    in occasione della 35ª Giornata Nazionale per la Vita
    (3 Febbraio 2013)

    CREDO NELL'UOMO
    NELLA DONNA
    NELLA FAMIGLIA
    CREATI DA DIO

    CREDO NELL'UOMO NELLA DONNA NELLA FAMIGLIA CREATI DA DIO page 001 


    testimoni annunciatori fede 

     Messaggio della Commissione Episcopale per il clero e la vita consacrata
    per la 17ª Giornata mondiale della vita consacrata
    (2 febbraio 2013)
     
    Testimoni e annunciatori della fede
    La celebrazione della Presentazione di Gesù al tempio ci orienta a Cristo, vera luce di tutte le genti, principio e fondamento della fede e della vita cristiana. Tale orientamento è sostenuto anche dall'Anno della fede che, come ci dice Benedetto XVI, «è un invito ad un'autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo» (Motu proprio Porta Fidei, n. 6). In Cristo, ci riscopriamo amati da Dio, già consacrati a Lui mediante il battesimo, chiamati all'offerta di noi stessi nell'amore, sostenuti dalla grazia dello Spirito. In Lui ritroviamo ogni giorno il senso della nostra vocazione e la gioia di essere discepoli e testimoni. Ora, se la celebrazione della Presentazione di Gesù parla a tutti, essa parla in modo del tutto particolare a coloro che sono chiamati a una speciale consacrazione, nelle diverse forme ed espressioni, siano essi dediti principalmente alla contemplazione o all'apostolato, alla vita comunitaria o eremitica, siano essi appartenenti a Ordini o Istituti religiosi, Istituti secolari o Società di vita apostolica, a comunità antiche o nuove. È a loro – a voi, carissime consacrate e consacrati – che si rivolge particolarmente questo nostro messaggio, nella 17ª Giornata mondiale della vita consacrata; ma esso vuole raggiungere anche tutti i cristiani, nel desiderio di promuovere sempre più, in tutti, la comprensione, l'apprezzamento e la riconoscenza a Dio per la vita consacrata.

    La Chiesa sente forte, in questo tempo, l'impegno di «una nuova evangelizzazione per riscoprire la gioia nel credere e ritrovare l'entusiasmo nel comunicare la fede» (BENEDETTO XVI, Motu proprio Porta Fidei, n. 7); impegno che il recente Sinodo dei Vescovi su La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana ha richiamato con forza, esortandoci alla responsabilità di testimoniare e annunciare la fede, con coraggio, serenità e fiducia, a tutti e in particolare alle nuove generazioni: «Ovunque infatti si sente il bisogno di ravvivare una fede che rischia di oscurarsi in contesti culturali che ne ostacolano il radicamento personale e la presenza sociale, la chiarezza dei contenuti e i frutti coerenti» (XIII ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI, Messaggio al popolo di Dio, n. 2). In questo contesto ecclesiale e culturale e in questo tempo peculiare si inserisce la testimonianza dei consacrati. Il Messaggio finale del Sinodo interpreta tale testimonianza in rapporto al senso profondo della vita, ponendola in relazione, con felice intuizione, con la testimonianza della famiglia, come a dire: mentre la famiglia è custode della sacralità della vita nella sua origine, la vita consacrata, in quanto chiamata alla conformazione a Cristo, è custode del senso ultimo, pieno e radicale della vita. La testimonianza dei consacrati, come il Sinodo riconosce, ha un intrinseco significato escatologico. Voi consacrati siete testimoni dell'«orizzonte ultraterreno del senso dell'esistenza umana», e la vostra vita, in quanto «totalmente consacrata a lui [al Signore], nell'esercizio di povertà, castità e obbedienza, è il segno di un mondo futuro che relativizza ogni bene di questo mondo» (XIII ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI, Messaggio al popolo di Dio, n. 7).

    La vostra missione apostolica dà un apporto importante e insostituibile alla nuova evangelizzazione, in conformità ai vostri specifici carismi. Voi operate in vari modi perché gli uomini e le donne del nostro tempo aprano la porta del loro cuore al dono della fede. Molti di voi siete impegnati nella catechesi e nella formazione cristiana; molti operate in vari ambiti educativi (a servizio delle famiglie, nella scuola, in centri giovanili, in centri di formazione professionale, a favore dell'integrazione degli emigrati, in luoghi di emarginazione, ecc.); molti siete impegnati principalmente nel servizio della carità nei confronti di chi è solo, escluso, povero, malato; molti lavorate sul piano sociale e della cultura, con iniziative che promuovono la giustizia, la pace, l'integrazione degli immigrati, il senso della solidarietà e della ricerca di Dio. Sapete mostrare, col vostro impegno, come la fede abbia un significato culturale ed educativo, di promozione e di garanzia di vera umanità. Il mondo ha bisogno della vostra testimonianza fedele e gioiosa. La richiedono tante situazioni di smarrimento, che pure sono attraversate anche dal desiderio di cose autentiche e vere e, ancor più, da una domanda su Dio, per quanto possa sembrare tacitata o rimossa.

    E tuttavia, prima che per ciò che fate, è per il vostro stesso essere, per la generosità e radicalità della vostra consacrazione, che voi parlate all'uomo di oggi. Vivendo con fedeltà la vostra vocazione tenete vivo, nella Chiesa, il senso della fedeltà al vangelo. Con la vostra vita ci ricordate anche che la nuova evangelizzazione comincia da noi stessi e che c'è un intimo legame tra «autoevangelizzazione e testimonianza, rinnovamento interiore e ardore apostolico, tra essere e agire, evidenziando che il dinamismo promana sempre dal primo elemento del binomio» (GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica Vita consecrata, n. 81). Quest'idea è stata ripresa dai Padri Sinodali quando affermano: «Guai... a pensare che la nuova evangelizzazione non ci riguardi in prima persona. In questi giorni – aggiungono riferendosi all'esperienza vissuta nel Sinodo – più volte tra noi Vescovi si sono levate voci a ricordare che, per poter evangelizzare il mondo, la Chiesa deve anzitutto porsi in ascolto della Parola. L'invito ad evangelizzare si traduce in un appello alla conversione» (XIII ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI, Messaggio al popolo di Dio, n. 5).

    Vi incoraggiamo dunque a proseguire il vostro cammino con gioia. Siete tutti impegnati, personalmente, comunitariamente e come Istituti, in sintonia con quanto la Chiesa intera sta vivendo, in percorsi di rinnovamento per essere sempre di più all'altezza della chiamata di Dio e delle sfide del nostro tempo, nella fedeltà al carisma che il Signore vi ha donato. Siate sempre più veri discepoli di Cristo; alimentate la consapevolezza della vostra missione. Vivete le situazioni umane, sociali, culturali, nelle quali operate, facendovi segno dell'agire di Dio e siate sempre presenza profetica di vera umanità anche quando ciò esige di andare controcorrente. Siate fedeli alla vostra tradizione carismatica e allo stesso tempo siate capaci di interpretare in modo attuale il carisma, mostrandone la fecondità. Siate testimoni e annunciatori della fede con la qualità della vostra vita spirituale, della vostra vita comunitaria e del vostro servizio al prossimo.

    La vita spirituale è docilità allo Spirito di Cristo e si nutre della Parola di Dio, che deve essere, specialmente per voi consacrati, cibo quotidiano, da accogliere, gustare, assimilare, così da conformarvi al «pensiero di Cristo» (1 Cor 2,16) e al sentire di Cristo (cfr Fil 2,5). È per questo che vanno curati i tempi dell'incontro personale con Cristo, della preghiera, dell'adorazione eucaristica; ed è per questo che l'Eucaristia dovrà essere al centro della vostra vita personale e della vostra comunità. Anche i consigli evangelici, che voi professate, esprimeranno la vostra comunione con Cristo e saranno segno, allo stesso tempo, di vera umanità: professando la castità, testimoniate il vero amore che è dedizione e gratuità; vivendo nella povertà e nella comunione dei beni, aiutate tutti a vivere con sobrietà senza perdere di vista l'essenziale; praticando l'obbedienza, siete profeti della verità della libertà, che è disponibilità all'accoglienza della vocazione di Dio. I consigli evangelici testimoniano così che la vita trova senso nell'affidamento a Dio e che la fede apre l'umano ad orizzonti di senso e di verità.

    La vostra testimonianza di vita comunitaria è un segno importante e da coltivare con coraggio, umiltà e pazienza. La comunione – lo sappiamo – si nutre del rapporto con Dio, è riflesso della comunione delle Persone divine, si costruisce nell'Eucaristia, è condizione, secondo la parola di Gesù, «perché il mondo creda» (Gv 17,21). Essa è dono di Dio ed esige allo stesso tempo una pratica quotidiana. Può essere facile, oggi, scoraggiarsi di fronte alle difficoltà relazionali che sembrano così insormontabili da fuggirle, rifugiandosi in attivismi esasperati che, al di là delle apparenze, trasmettono chiusure e unilateralità. In realtà, i segni di comunione sono ciò che più esige il nostro tempo e diventano via privilegiata per mostrare la novità del Vangelo ed essere segno di una Chiesa che è esperta in umanità. I contesti che viviamo sono segnati spesso da problemi relazionali, solitudini, divisioni, lacerazioni, sul piano familiare e sociale; essi attendono presenze amorevoli, segni di fiducia nei rapporti umani, inviti concreti alla speranza che la comunione è possibile. Una proposta credibile del Vangelo esige una particolare cura dei processi relazionali e ha bisogno di appoggiarsi a segni di vera comunione.

    La vostra carità apostolica sia animata da vero spirito di servizio dal desiderio di suscitare la fede. Il vostro apostolato ha una sua specificità nella missione della Chiesa: sa partire dalla persona, dal malato, dal povero, dal più debole, tante volte dal più lontano dall'esperienza ecclesiale. Siete chiamati a essere segno dell'amore e della grazia di Dio sin dal primo contatto con le persone che incontrate. Siete chiamati – soprattutto coloro che operano coi giovani e nell'educazione – a integrare profondamente e dinamicamente la preoccupazione evangelizzatrice e la preoccupazione educativa. Il servizio all'uomo ha sostegno e garanzia nella fedeltà a Dio e nel tener sempre vivo lo sguardo e il cuore sul Regno di Dio.

    Lo Spirito di Dio sostenga la vostra testimonianza di fede e il vostro annuncio, rendendovi sempre più credibili e gioiosi. Susciti nel cuore di tanti giovani il desiderio di seguire Cristo con generosità e radicalità, intraprendendo il cammino di speciale consacrazione. Egli renda tutti noi dei veri credenti, sempre più sensibili e responsabili nella testimonianza e nell'annuncio. Ci sostenga nella comunione ecclesiale, ci faccia crescere in unità, nel riconoscimento dei diversi carismi e nella fedeltà a Dio. Maria e Giuseppe, che presentarono al tempio Gesù, nella disponibilità piena ai disegni di Dio, presentino al Signore anche noi, perché cresca nella nostra vita la fede e la capacità di trasmetterla.
     
    Roma, 13 gennaio 2013
    Festa del Battesimo del Signore


    LA COMMISSIONE EPISCOPALE
    PER IL CLERO E LA VITA CONSACRATA

    libro animato


  • NEL DESERTO RIMASE QUARANTA GIORNI

    Dal Vangelo secondoMarco (1, 12-15)

    In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.

    Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».



                                                                             

    Tanti auguri a te, “Strada facendo”, alla prima candelina della tua vita! 

    Era l’inizio della Quaresima 2011 quando in umiltà hai iniziato a muovere i primi passi e di domenica in domenica hai accompagnato il cammino della nostra famiglia parrocchiale. Così ti sei presentato: «Strada facendo… e certamente più di qualcuno continuerà a canticchiare il ritornello di un noto cantautore, che ha dato motivi di gioia a giovani e adulti degli anni 90». Però ti sei subito presentato quale parola di Gesù che diceva ai suoi discepoli: “Strada facendo, predicate.. risuscitate… purificate… scacciate i demoni…”. E tu hai tentato di farlo, i frutti sono maturati a livello di annuncio, di comunicazione, di voce per creare comunione, ma quelli più belli sono quelli segreti nell’intimità di cuori che hanno accolto e custodito il Vangelo. E ultimamente ti sei fatto voce di catechisti, famiglie, fidanzati, che hanno dato la loro lettura personale della pagina evangelica, rendendola ancora più vera, attuale del vissuto quotidiano partecipazione.

    Così in questa domenica sono i cresimandi che ci aprono al tempo di grazia, sacramentale della Quaresima, offrendoci le loro emozioni vedendo Gesù sottoposto alla tentazione, e la cosa più bella, trasformare in preghiera la lettura del Vangelo. E’ un dono straordinario, così deve concludersi ogni lettura di Vangelo; grazie di come sapete rendere giovane il Vangelo, calandolo nella realtà della vita. Come Gesù non ha mollato davanti al nemico, così ci insegnate ad essere forti e costanti. Così la preghiera conclusiva: “Aiutami ad essere una persona che non molla mai, aiutami ad essere perseverante”. Un augurio che si fa impegno per tutti per vivere in pienezza i giorni della Quaresima per giungere alla Pasqua.

     

    P. Raffaele Angelo Tosto


    CONFIDANDO IN DIO

    Gesù è tentato nel deserto. Il diavolo lo vuole spingere a fare il male ed ad accettare dei cattivi consigli. Il diavolo vorrebbe che Gesù usasse la sua forza per mettersi in mostra. Invece Gesù usa la sua forza per resistere al diavolo, per resistere al male. Nelle tentazioni  Gesù ci  mostra come, confidando in Dio e solo in LUI, con fermezza possiamo dire no al diavolo in ogni circostanza della nostra vita.

    Gesù ci chiede di essere come i maratoneti: chi corre la maratona non parte come un razzo, perché sa che deve risparmiare le forze per arrivare fino in fondo.

    Gesù ci chiede di essere perseveranti, ci chiede di andare sempre fino in fondo, ci chiede di stringere i denti, ci chiede di non arrenderci mai, proprio come Lui che non si è tirato indietro quando le cose si mettevano male: Gesù ha continuato ad amare anche quando lo hanno messo in croce.


    .

    La riflessione si fa preghiera


    Signore,

    quante volte inizio le cose con entusiasmo,

    ma poi quando cominciano a costarmi fatica,

    le lascio perdere.

    Quante volte inizio una cosa

    e poi la pianto a metà!

    Quante volte, di fronte alle difficoltà,

    mi abbatto e lascio perdere.

    Quante volte, di fronte alle delusioni,

    mi lascio andare.

    Aiutami, Signore,

    a non arrendermi di fronte alla fatica

    e a non scoraggiarmi di fronte alle difficoltà.

    Aiutami ad essere una persona

    che non molla mai,

    aiutami ad essere perseverante.

    Il gruppo cresimandi 2012




    QUARESIMA DELLA CARITA'  Lettera dell'Arcivescovo alla comunità diocesana - 22 febbraio 2012 (passim)

    “Prestiamo attenzione 

    gli uni agli altri,

    per stimolarci a vicenda nella carità

    e nelle opere buone”

    (Eb 10,24)



    Carissimi fratelli e sorelle,

    ...Come impegno concreto di carità, che ormai da anni si chiama “Quaresima della carità”, daremo insieme attenzione ai poveri di questo tempo così critico: i senza lavoro e le famiglie che non arrivano più alla fine del mese.

    Nella mappa di aiuti che la Caritas diocesana offre attraverso le Caritas parrocchiali e quelle cittadine ci sono gli aiuti ai singoli poveri, il sostegno a famiglie, il servizio mensa, il centro di solidarietà “Recuperiamoci”, l’accoglienza dormitorio, ecc. …

    Incoraggiato dalle Commissioni diocesane Caritas, Lavoro, Pastorale giovanile, ho ritenuto opportuno finalizzarela colletta della Quaresima per la costituzione di un fondo di solidarietà, detto “microcredito”, per incoraggiare, attraverso ilprogetto Policoro l’avvio di iniziative imprenditoriali da parte dei giovani; e per famiglie senza lavoro.

    ...Sentiamoci tutti coinvolti nel rendere la carità visibile attraverso l’opera buona del “microcredito” di solidarietà ai giovani e alle famiglie senza lavoro.

    Tutti nello stile del Samaritano viviamo la Quaresima dimostrandoci vicendevolmente l’amore di Dio.

    Come esortavaSan Gregorio Nazianzeno vescovo, nel discorso 14 dell’amore verso i poveri, così vi dico anch’io: «Guardiamoci, cari amici, dal diventare cattivi amministratori di quanto ci è stato dato in dono da Dio». Meriteremmo allora l’ammonizione di Pietro: «Vergognatevi, voi che trattenete le cose altrui, imitate piuttosto la bontà divina e così nessuno sarà povero» (cf. Ufficio delle letture di lunedì 1asettimana di Quaresima).

    La carità sia impreziosita dal digiuno, dalla preghiera, dalla misericordia. DicevaSan Pietro Crisologo, vescovo: «Il digiuno è l’anima della preghiera, e  la  misericordia è la vita del digiuno … chi digiuna abbia misericordia. Chi nel domandare desidera di essere esaudito, esaudisca chi gli rivolge domanda. Chi vuol trovare aperto verso di sé il cuore di Dio non chiuda il suo a chi lo supplica» (cf. Ufficio delle letture, martedì 2asettimana di Quaresima).

    Se non ci apriamo gli uni agli altri nella carità e nelle opere buone, come possiamo pregare con verità: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,11)?

    Vi auguro un cammino di sincera conversione, perché trionfi in ciascuno e in tuttiDio amore!

    Vi benedico con affetto di padre.

     X Giovan Battista Pichierri

    arcivescovo



    La condurrò nel deserto

     parlerò al suo cuore”  ( Os 2,16)



    Dal Lunedì al Venerdì

    ore 6:30 Ufficio letture e lodi

    Sabato

    ore19:45 Primi Vespri della domenica.


  • Grazie a tutti voi che avete partecipato alla manifestazione!

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  • NE EBBE COMPASSIONE

    Dal Vangelo secondoMarco(2,1-12)

    In Gesù entrò di nuovo a Cafàrnao, dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone che non vi era più posto neanche davanti alla porta; ed egli annunciava loro la Parola.

    Si recarono da lui portando un paralitico, sorretto da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico. Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Figlio, ti sono perdonati i peccati».

    Erano seduti là alcuni scribi e pensavano in cuor loro: «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?». E subito Gesù, conoscendo nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate queste cose nel vostro cuore? Che cosa è più facile: dire al paralitico “Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire “Àlzati, prendi la tua barella e cammina”? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te – disse al paralitico –: àlzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua».

    Quello si alzò e subito prese la sua barella e sotto gli occhi di tutti se ne andò, e tutti si meravigliarono e lodavano Dio, dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!».




    La via del perdono

    Il ritorno di Gesù a Cafarnao, dopo la guarigione del lebbroso, suscita nella gente il desiderio di ascoltarlo, di vederlo, un passa parola che rende angusto ogni spazio tanto più quello di una casa. “Egli annunciava la Parola” ci riferisce Marco, un annuncio che supera ogni attesa, va direttamente al cuore, è la buona novella,   presenta  le risposte alle  attese di sempre che sono custodite nel cuore dell’uomo che nessuno, prima di lui, aveva saputo dare. In questa situazione si inserisce l’azione coraggiosa di alcuni di portare in barella un paralitico e trovando l’ingresso ostruito dalla folla, decidono un’azione spericolata scoperchiare il tetto per calare davanti a Gesù il paralitico. Da quel  momento una cascata di meraviglie: di Gesù nel vedersi calare il paralitico, di rabbia degli scribi per il perdono dato all’ammalato, di stupore per la guarigione, di meraviglia di tutti nell’essere testimoni di cose incredibili e dicono: “Non abbiamo mai visto nulla di simile!”. Ma lasciamo al catechista Mimmo Binetti che ci offre il dono del Vangelo, a lui un grazie di cuore.

    P. Raffaele Angelo Tosto, parroco.



    La collocazione di questo racconto, più che nella guarigione del paralitico di Cafarnao, o nella fede che muove e raduna una folla immensa alla casa dove stava Gesù o l'ingegno di alcuni che ne scoperchiano addirittura il tetto calandovi un paralitico in barella proprio davanti a Lui, sta nella dichiarazione del perdono elargito da Gesù al paralitico che simboleggia l'uomo bloccato dal peccato: «Figlio, ti sono perdonati i peccati»: Egli parla col cuore del Padre. I presenti lo capiscono, scandalizzandosi: "Perché costui parla così? Chi può perdonare i peccati se non Dio solo?".

    Gesù attesta che è il peccato la radice e l’origine di tutti i mali, dell'uomo. Annuncia apertamente che il Figlio dell'uomo ha il potere di liberarci da questo male radicale. Affermando di poter perdonare i peccati Gesù si manifesta come Dio, come colui nel quale tutte le promesse divine trovano compimento. È Lui la novità che, riportando tutto nello schema del progetto di Dio, uno schema che parla di gioia, giustizia, benedizione e vita, fa "nuove tutte le cose"; la sua parola è capace di perdonare e salvare, guarire e ridare vita.

    Il volto di Dio che Gesù ci rivela è quello della misericordia, quello di un padre «in cui la collera dura un istante e la bontà per tutta la vita»; Dio «non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva». Gesù sceglie la via del perdono e ne fa comprendere il primato rispetto a tutti gli altri doni. Il potere di guarire i corpi è temporaneo e limitato, se non coinvolge l'uomo nella sua radicalità peccatrice.

    Mimmo Binetti


    Mercoledì delle Ceneri e l'inizio della Quaresima

    Con ilMercoledì delle Ceneri, ha inizio il cammino quaresimale, un cammino che si snoda per quaranta giorni e che ci porta alla gioia della Pasqua del Signore. La teologia biblica rivela un duplice significato dell'uso delle ceneri.

    1. Anzitutto sono segno della debole e fragile condizione dell'uomo. Abramo rivolgendosi a Dio dice: "Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere..." (Gen 18,27). Giobbe riconoscendo il limite profondo della propria esistenza, con senso di estrema prostrazione, afferma: "Mi ha gettato nel fango: son diventato polvere e cenere" (Gb 30,19).
    2. Ma la cenere è anche il segno esterno di colui che si pente del proprio agire malvagio e decide di compiere un rinnovato cammino verso il Signore.  "I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, dal più grande al più piccolo. Giunta la notizia fino al re di Ninive, egli si alzò dal trono, si tolse il manto, si coprì di sacco e si mise a sedere sulla cenere" (Gio 3,5-9).

    Durante l’imposizione delle ceneri, viene recitata una formula che dice: “Convertitevi e credete al vangelo!”; questo invito, diceva Benedetto XVI in una catechesi del 2010, è «appello alla conversione, mette a nudo e denuncia la facile superficialità che caratterizza molto spesso il nostro vivere. Convertirsi significa cambiare direzione nel cammino della vita: non, però, con un piccolo aggiustamento, ma con una vera e propria inversione di marcia. Conversione è andare controcorrente, dove la “corrente” è lo stile di vita superficiale, incoerente ed illusorio, che spesso ci trascina, ci domina e ci rende schiavi del male o comunque prigionieri della mediocrità morale. Con la conversione, invece, si punta alla misura alta della vita cristiana, ci si affida al Vangelo vivente e personale, che è Cristo Gesù. E’ la sua persona la meta finale e il senso profondo della conversione, è lui la via sulla quale tutti sono chiamati a camminare nella vita, lasciandosi illuminare dalla sua luce e sostenere dalla sua forza che muove i nostri passi. In tal modo la conversione manifesta il suo volto più splendido e affascinante: non è una semplice decisione morale, che rettifica la nostra condotta di vita, ma è una scelta di fede, che ci coinvolge interamente nella comunione intima con la persona viva e concreta di Gesù. Convertirsi e credere al Vangelo non sono due cose diverse o in qualche modo soltanto accostate tra loro, ma esprimono la medesima realtà. La conversione è il “sì” totale di chi consegna la propria esistenza al Vangelo, rispondendo liberamente a Cristo che per primo si offre all’uomo come via, verità e vita, come colui che solo lo libera e lo salva. Proprio questo è il senso delle prime parole con cui, secondo l’evangelista Marco, Gesù apre la predicazione del “Vangelo di Dio”: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo” (Mc 1,15)»



    La condurrò nel deserto

     parlerò al suo cuore”  ( Os 2,16)



    Dal Lunedì al Venerdì

    ore 6:30 Ufficio letture e lodi

    Sabato

    ore19:45 Primi Vespri della domenica.



  • NE EBBE COMPASSIONE

    Dal Vangelo secondoMarco(1, 40-45)

    In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.

    E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».

    Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.



    L'esperienza della guarigione

    “Lebbroso per un giorno” è lo spot provocante proposto nella giornata dei malati di lebbra per richiamare l’attenzione di tutti verso questi nostri fratelli e sorelle che soffrono di questa malattia. Il primo effetto di questa malattia è isolarsi, non avere contatto, vivere segregati, la paura del contagio, li condanna inesorabilmente. Se oggi è dura la realtà dei malati di lebbra, al tempo di Gesù era ancora più sofferente, non potevano partecipare a nulla della vita sociale, era considerato impuro non solo nei confronti della società, ma perfino da Dio. In tale contesto Gesù vince ogni remora e “va” verso il lebbroso, che lo supplica: “Se vuoi, puoi purificarmi!”. E Gesù “ebbe compassione, lo toccò e gli disse: Lo voglio, sii purificato!”. Da qui la guarigione, la meraviglia, lo stupore, il ritorno alla vita nella vita ordinaria, sociale. Anche oggi c’è una lebbra che non tocca il corpo, ma deturpa il cuore dell’uomo: è il peccato! Desideri di essere guarito? Se avverti nel tuo intimo questa sofferenza che ti fa “lebbroso” e gridi il tuo male, il tuo peccato, Gesù, oggi, ha compassione, ti ascolta, ti viene incontro, ti tocca e dice anche a te:” Lo voglio, sii purificato”, perdonato, torna a vivere. Ritrova la fiducia del lebbroso del vangelo, sentirai nell’intimo la meraviglia del perdono. Lasciamo ad Anna e Michele che ci offrono la loro lettura personale del vangelo, a loro il nostro grazie.  

    P. Raffaele Angelo Tosto, parroco.


    Nelle letture di oggi si fa presente il dramma di una malattia, la lebbra, che sin dall’antichità si presenta come segno d’impurità nell’uomo. Nel vangelo scopriamo come Gesù è in grado di guarire questa malattia devastante. Anche noi oggi ci sentiamo malati, invasi da queste piaghe dell’anima, rendendola impura. Questa malattia, è il peccato, proprio come nella prima lettura, ci porta a stare soli, ad allontanarci dagli altri, a sentirci esclusi. Ma ancor di più avvertiamo la difficoltà nel riconoscerci malati, peccatori, e il nostro orgoglio non ci dà la possibilità di supplicare in ginocchio, come il lebbroso del vangelo. Gesù tende la sua mano e ci guarisce. Farlo da soli è difficile ma il Signore ci ha dato la sua parola che viene in nostro aiuto e, riscoprendola, diventa salvezza alla nostra vita. Ci permette di dire al Signore se vuoi puoi purificarmi. Quando facciamo l'esperienza di questa guarigione, quando scopriamo la consolazione che troviamo nella parola, è veramente difficile trattenersi, è difficile non essere testimoni di una gioia grande come quella di scoprire che c'è un Dio che ci ama, cosi come siamo, malati, infermi. È questo amore, che sentiamo verso di noi, che ci spinge ad amare gli altri.

    Michele Martire e Anna Dicorato, gruppo fidanzati.



    CARNEVALE  da: J. Ratzinger,Cercate le cose di lassù, ed. Paoline

    Il carnevale non è certo una festa religiosa. Tuttavia non è concepibile senza il calendario delle festività liturgiche. Perciò una riflessione sulla sua origine e sul suo significato può essere utile anche per capire la fede.

    Le radici del carnevale sono molteplici: ebree, pagane, cristiane, e ci rimandano ad aspetti comuni dell’uomo di tutti i luoghi e di tutti i tempi. Nel calendario delle festività ebraiche al carnevale corrisponde grosso modo la festa dei Purim, che ricorda la salvezza di Israele dall’incombente persecuzione degli ebrei nel regno di Persia, salvezza conseguita, secondo il racconto biblico, dalla regina Ester. La gioia scatenata con cui la festa viene celebrata vuol essere espressione del senso di liberazione che, in questo giorno, non è solo memoria , ma promessa: chi è nelle mani del Dio di Israele, è libero in partenza dalle insidie dei suoi nemici. Al tempo stesso, dietro questa festa scatenata e profana, che aveva e ha tuttavia il suo posto nel calendario religioso, c’è quella conoscenza del ritmo del tempo, validamente espressa nel libro di Qoèlet. "Tutto ha la sua ora e c’è un tempo per ogni cosa sotto il sole: un tempo per la nascita e un tempo per la morte,...un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per lamentarsi e un tempo per ballare” (Qo 3,1ss.). Ogni momento non è il momento giusto per ogni cosa: l’uomo ha bisogno di un ritmo, e l’anno gli dà questo ritmo, nel creato e nella storia che la fede presenta nel corso dell’anno.

    Siamo così giunti all’anno liturgico, che fa percorrere all’uomo l’intera storia della salvezza nel ritmo del creato, ordinando e purificando così il caos e la molteplicità del nostro essere. In questo ciclo di creazione e storia non è tralasciato nessun aspetto umano, e solo così viene salvato tutto ciò che è umano, i lati oscuri come quelli luminosi, la sensorialità come la spiritualità. Tutto riceve il proprio posto nell’insieme che gli dà un senso e lo libera dall’isolamento.

    Ma torniamo alle radici del carnevale. Accanto ai precedenti ebraici ci sono quelli pagani, il cui volto truce e minaccioso ci fissa ancora dalle maschere dei paesi alpini e svevo-germanici. Qui si celebravano i riti della cacciata dell'inverno, dell'esorcismo delle potenze demoniache: nel mutare del tempo si avvertiva la minaccia del mondo, la nuova creazione della terra e della sua fertilità doveva essere protetta contro il nulla a cui si avvicinava il mondo nel sonno dell'inverno.

    A questo punto possiamo notare qualcosa di molto significativo: la maschera demoniaca si trasforma, nel mondo cristiano, in una divertente mascherata; la lotta pericolosissima con i demoni si cambia in gaudio prima della gravità della Quaresima. In questa mascherata avviene ciò che riscontriamo spesso nei salmi e nei profeti: essa diviene scherno di quegli dei che chi conosce il vero Dio non deve più temere. Le maschere degli dei sono divenute uno spettacolo divertente, esprimono la gioia sfrenata di coloro che possono trovare motivi di comicità in ciò che prima faceva paura. In questo senso è presente nel carnevale la liberazione cristiana, la libertà dell'unico Dio, che rende perfetta quella libertà ricordata dalla festa ebraica dei Purim.

    Si pone però un interrogativo: possediamo ancora questa libertà? Non è che ci siamo voluti liberare anche di Dio stesso, del creato e della fede, per essere completamente liberi? E la conseguenza non è forse che siamo di nuovo in balìa degli dei, delle potenze del denaro, dell’avidità, dell’opinione pubblica? Dio non è il nemico della nostra libertà, ma il suo fondamento; è questo che dovremmo imparare di nuovo oggi. Solo l’amore che è onnipotente può essere il fondamento di una gioia senza paura.


  • E ANDO' PER TUTTA LA GALILEA PREDICANDO

    Dal Vangelo secondoMarco(1, 29-39)

    In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.

    Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.

    Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!».

    E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.



    Un insegnamento nuovo

    La pagina del Vangelo di questa domenica ci offre come si svolge una giornata di Gesù. Dalla sinagoga alla casa di Pietro, la guarigione della suocera, un buon pranzo, si sofferma in piazza, davanti alla porta della città, ascoltando i fatti della vita, conditi da preoccupazioni e da allegre risate, e nel frattempo guarigioni di malati di ogni genere, da far crescere la sua fama e la voglia di incontrarlo, di stare insieme, ma lui si ritira, si nasconde e al mattino prima dell’alba è sul monte a pregare. Un quadro meraviglioso! Anche per noi oggi è possibile vivere la nostra giornata nella sua amicizia che darà risposte alle nostre attese, purché lo cerchiamo in verità. Claudio Domenico e Annamaria sono rimasti colpiti dalla Parola di Dio e si sono soffermati sul Libro di Giobbe e ci offrono il frutto della loro attenta e scrupolosa ricerca, a loro il nostro grazie.

    P.  Raffaele Angelo Tosto, parroco.


    Nella Parola di Dio ci soffermiamo sula prima lettura presa dal libro di Giobbe che descrive la sofferenza dell’uomo sulla terra con tre immagini, quella del militare, del mercenario e dello schiavo. Nell’antichità il servizio militare era paragonabile al lavoro forzato a causa delle dure punizioni a cui il soldato veniva facilmente sottoposto e dello spietato autoritarismo dei comandanti. Il mercenario era l’operaio pagato a giornata, che faticava tutto il giorno per una misera paga, che gli serviva unicamente per sopravvivere. Non diversa era la situazione dello schiavo, che non aveva diritto ad alcun compenso per il suo lavoro. La condizione del soldato, del mercenario e dello schiavo erano le più basse della scala sociale. Lo schiavo aspetta con impazienza l’ombra della sera, quando la sua fatica quotidiana è terminata, e il mercenario sospira il momento in cui riceverà il salario della giornata. Sia l’uno che l’altro si consolano con la previsione di una sosta, anche se piccola, alla loro sofferenza. Giobbe non ha neppure questa soddisfazione: gli sono toccati mesi di illusione e notti di dolore. Come chi soffre d’insonnia e si rigira nel letto, aspettando l’alba che non sembra arrivare mai, così anche lui passa il suo tempo nell’attesa di qualcosa di impossibile. Poiché il dolore, pur non essendo produttivo, lo affatica più del lavoro, egli passa anche le sue notti nell’angoscia. La sua è una sofferenza senza senso, che gli è ormai diventata insopportabile.

    La sofferenza di Giobbe è causata non tanto dal dolore fisico e dall’incomprensione dei suoi cari e amici, ma piuttosto dalla sensazione di essere abbandonato da Dio, nonostante la fedeltà nei suoi confronti. In questa prospettiva egli vede l’esistenza umana come un seguito di avvenimenti senza senso, di fronte ai quali l’uomo resta pieno di angoscia, mentre il tempo passa troppo in fretta o troppo lentamente a seconda delle circostanze. Egli vorrebbe che Dio intervenisse in suo favore, non tanto perché ciò metterebbe fine alle sue sofferenze, ma perché così egli saprebbe che gli è vicino e lo ama. La sua tentazione è quella di imporre a Dio un comportamento conforme alle sue aspettative, giudicando il suo silenzio come un’ingiustizia insopportabile.

    Alla fine Dio si manifesterà a Giobbe, non per giustificare la propria condotta o per rivelargli qualche verità nascosta, ma semplicemente per renderlo consapevole del mistero che lo circonda, davanti al quale non può far altro che abbassare la testa e credere che Dio è buono, anche se le sue scelte restano misteriose: davanti a Lui l’uomo deve saper accettare fino in fondo i propri limiti, senza facili soluzioni dall’alto.

    Claudio Domenico Terlizzi  e Annamaria Lomuscio - gruppo fidanzati



    XX GIORNATA MONDIALE DEL MALATO - 11 Febbraio 2012 «Àlzati e va'; la tua fede ti ha salvato!» (Lc17,19)

    IN ASCOLTO DEI MALATI :  2 TESTIMONIANZE DI MALATI SULLA FAMIGLIA.

    “Carissimo,

    approfitto di questo giorno particolarmente significativo (San Valentino) per dirti quello che rappresenti per me. Sai bene che non sono molto espansiva e che manifesto poco sia i miei pensieri che i miei sentimenti ma, anche se mi resta difficile, vorrei provare a parlarti. È da un po’ di tempo che ti osservo e vedo un uomo diverso, positivamente diverso. È certo che quello che c’è capitato ha sconvolto la nostra vita ma è anche vero che ci ha cambiati. A me, purtroppo ha regalato sbalzi di umore, momenti di tristezza e momenti di abbattimento. Sicuramente sono diventata più irascibile, meno comprensiva e più egoista. Tu invece sei migliorato. Non deve essere stato facile per te cambiare radicalmente il modo di vivere, tu che eri abituato alla vita comoda, ad essere servito, a fare il signore … ti sei ritrovato ad essere il mio “cavalier servente”.  Non  so se te l’ho mai detto, ma ti ringrazio per quello che hai fatto e ancora stai facendo per me. Anche se sono diventata un rottame umano, sento ancora che mi vuoi bene e trovi sempre l’occasione per valorizzare il mio niente. Grazie, grazie, grazie. Ti voglio bene. Per sempre tua Maria Luce ”

     

    “All’età di 51 anni, improvvisamente da un minuto all’altro la mia vita è cambiata radicalmente quando a causa di un’emorragia cerebrale mi sono ritrovata senza che la parte sinistra del mio corpo rispondesse ai comandi neurologici del cervello. Non è stato facile superare tutto questo, come non è stato facile stare in ospedale per la riabilitazione ben tre mesi senza uscire. Per alleggerire questa situazione come sempre, mi è venuto in aiuto Gesù che mia ha dato un marito meraviglioso che ha saputo capirmi. Pensate che quando sono uscita dalla sala operatoria, non mi ricordo che cosa gli ho detto, ma lui mi ha risposto “nella buona e nella cattiva sorte”. Ha saputo consolarmi e al momento giusto e spronarmi ad andare avanti: questo secondo me è amore, ma quello che più conta è che non mi ha fatto pesare il fatto di dover essere lui a fare tutto ciò che prima facevo io, compreso fare la spesa, cosa che per lui è sempre stata una tortura” (Piera).

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